Rubble and Revelation
Milano. Preceduta da un’eco mediatica molto forte, la mostra «Rubble and Revelation - rivelazioni e rovine» della Fondazione Trussardi stupisce i visitatori accogliendoli in un luogo di grande fascino: il panificio militare della Caserma XXIV Maggio, gioiello di architettura industriale dismesso nel 2005 dopo essere stato utilizzato per la produzione di pane per le caserme della Lombardia e aver garantito il sostentamento alla città di Milano durante la Seconda guerra mondiale, sconosciuto ai più.
In questo luogo-simbolo, anch’esso in qualche modo «rovina» di un’epoca passata, immediata è la rivelazione dei due forni conservati nelle prime due sale, che appaiono quasi come opere d’arte!
L’immediata risonanza dell’evento è dovuta al fatto che Cyprien Gaillard, classe 1980, conosciuto come l’enfant prodige dell’arte francese (benché già affermatissimo ospite dei più grandi musei del mondo) sia stato portato in Italia dal prossimo curatore della Biennale di Venezia, l’ormai ex enfant prodige italiano, Massimiliano Gioni.
L’allestimento molto curato e la contestualizzazione perfetta dei lavori e della poetica di Gaillard nel sito prescelto danno forma e sostanza alla mostra.
Le pareti della prima sala allestita ospitano i frottages di alcuni tombini dell’acquedotto di Los Angeles «made in India»: ha inizio lo straniamento tra luoghi e immaginari totalmente differenti.
Il minimalismo dell’allestimento delle due sale successive, con interventi di misura decisamente ridotta, crea un certo disorientamento a causa del forte stacco tra la maestosità del contenitore e le dimensioni quasi lillipuziane del contenuto: piccole cartoline che riproducono monumenti antichi, rigorosamente in bianco e nero, coperte da fogli di carta strappati che ne lasciano intravedere solo alcuni dettagli.
Vi sono poi dei composit di immagini in bianco e nero con pezzi di meteorite in teche di vetro e, prima e dopo le composizioni in bianco e nero e le teche con le polaroid a colori, si collocano degli intermezzi di immagini in movimento.
Su tutto spicca il suggestivo allestimento delle polaroid composte in gruppi di nove con al centro l’elemento nodale della composizione: sono incolonnate, nel buio più totale, in fila in tre teche illuminate direttamente dall’alto, quasi a dare l’idea di un museo di storia naturale. Trattasi invece di storia dell’archeologia, storia dell’umanità che emerge dalle sue rovine.
I video intervallano le immagini fotografiche: nel primo dei filmati dei ragazzi si tuffano in un corso d’acqua del quale ignorano la profondità e uno di essi viene fuori sanguinante. Qui i palazzi in rovina fanno da sfondo ma poco a poco prevalgono sulle figure umane. Nel secondo si assiste al crollo rallentato di un edificio e nel terzo, proiettato da un proiettore 35 mm, si unisce il sonoro che riproduce degli scoppi alle immagini di paesaggi ripresi dalla balaustra di un castello.
Filo conduttore una colonna sonora appositamente realizzata dalla band americana dei Salem: il brano Prelude (Dragged), composizione che è un re-editing del preludio del «Rheingold – L’oro del Reno» di Richard Wagner.
Nostalgia e maestosità sono le due parole chiave della mostra.
Un altro tassello per la storia della Fondazione Trussardi, ormai avvezza al nomadismo espositivo e una sorta di «prova generale» per Massimiliano Gioni, in un’atmosfera che ricorda molto quella veneziana.
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