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Riforma del Terzo settore e impresa sociale

  • Pubblicato il: 14/07/2014 - 10:27
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Irene Sanesi

Via libera al Ddl delega per la riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale.
Nell’«agenda per la cultura» lanciata a primavera si era utilizzata una parafrasi semiseria indirizzata al Ministro Franceschini a cui chiedevamo un GAME (governance, accountability, management, mercato del’arte, exemption) endorsement. Con la cultura «si gioca ma non si scherza» era il sottotitolo. Come è facile intuire dalle parole chiave utilizzate, il Ddl delega affronta diverse questioni rimaste aperte nell’ampio panorama dei soggetti senza scopo di lucro.
Vediamole da vicino:
- La razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità (dal reddito) e detraibilità (dall’imposta) per le persone fisiche e giuridiche delle erogazioni liberali, in denaro e in natura. Un passaggio fondamentale, la sburocratizzazione, per avvicinare i donors e sensibilizzare la collettività al formarsi del senso di «individuale collettivo».
- La revisione dell’istituto del 5 per mille con l’introduzione di obblighi di pubblicità dei fondi per il Terzo settore. L’esigenza dell’accountability (rendere conto con trasparenza) non era più rimandabile e dovrebbe abbracciare l’intero «sistema», diventando una buona pratica.
- L’istituzione del servizio civile universale aperto agli stranieri, con la possibilità che le competenze acquisite nel periodo siano riconosciute per l’inserimento lavorativo dei giovani.

Il Ddl delega dispone poi per l’impresa sociale un inquadramento come impresa privata a finalità d’interesse generale, riformando la Legge 155/2006. Il nuovo modello di gestione dell’impresa sociale si configura come:
- responsabile (torna il tema dell’accountability),
- inclusivo (con forme di coinvolgimento per dipendenti e utenti),
- remunerativo (si potranno ripartire utili),
- compatibile (sotto il profilo commerciale),
- agevolato (con un regime di tassazione specifico per le finalità solidaristiche e di utilità sociale dell’ente),
- sostenibile (con la possibilità di attivare una raccolta mirata di capitali di rischio -sulla falsa righe delle start-up innovative-, una leva fiscale finalizzata a investimenti di capitale e un fondo rotativo per agevolare acquisizioni in beni strumentali materiali e immateriali).

Gli interventi previsti rappresentano un passaggio interessante i cui effetti andranno misurati nel medio termine. Si tende a stimolare l’intrapresa solidale e collettiva dall’interno, dopo le misure sulla fiscalità e il 5 per mille che rivelano una funzione di promozione esterna dell’ente no profit.
Ispirata al principio di sussidiarietà, la revisione organica della disciplina degli enti senza scopo di lucro, dovrà individuare a breve la copertura della spesa (trattandosi infatti di un sistema agevolativo comporta la c.d. Tax expenditure).
Sono intanto due a caldo le considerazioni che emergono dalla lettura, ed entrambe vanno al di là degli aspetti amministrativi e fiscali:
La prima riporta al centro la questione dei modelli di governance (non solo di gestione, un aspetto sempre successivo) che dovranno essere pensati anche a livello intermedio (reti, scambi di competenze, ecc.). Non dimentichiamo che i mezzi a disposizione restano scarsi e l’«unione fa la forza» soprattutto quando si è piccoli, come le intraprese italiane. Il no profit in questo non fa eccezione. La seconda considerazione strizza l’occhio all’Europa. L’impianto italiano per il Terzo settore non può prescindere dall’integrarsi con quanto in vigore oltralpe. In particolare può rappresentare una straordinaria occasione di scambio attuando una reale reciprocità sociale e stimolare una progettualità multiculturale così da attrarre (finalmente!) quei fondi europei per troppo tempo inutilizzati dal nostro Paese.

Irene Sanesi è (Presidente Commissione «Economia della Cultura» UNGDCEC, Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili)