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Musei e pubblico adolescente: l’arte di fare domande

  • Pubblicato il: 15/05/2017 - 15:55
Rubrica: 
CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Anna Chiara Cimoli

“Come fare a conservare fra i più giovani – cresciuti dentro un sistema di stupefazione compulsiva, con i superpoteri nel tatto e nell’assedio materiale tecnologico ed estetizzato – il rapporto con l’arte nell’alveo dell’esperienza, ovvero in quello spazio critico di interrogazione su di sé e il mondo, di ipotesi e ricerca, di attrito e crescita personale”? In che modo i musei possono aiutare gli adolescenti a educare lo sguardo, discernere, tradurre le intuizioni in parole? È il tema del volume corale Che cosa vedi? Musei e pubblico adolescente, appena pubblicato da Nomos Edizioni. Vi hanno contribuito  educatori, ricercatori sociali, museologi che a vario titolo frequentano il pubblico adolescente e si interrogano sui suoi bisogni in una logica di ascolto, apertura e revisione di metodi e pratiche interne al museo, dinamizzati con sperimentalismo e un certo senso di urgenza.
 
 


 
Il Portland Museum of Art, fucina di buone pratiche educative, invita gli adolescenti proponendo loro: “Have Conversations Here”, venite a fare conversazione da noi. Il museo come luogo caldo, adatto a dialoghi di senso in presenza delle opere,  che partano, anzi, proprio dalle opere per arrivare a trattare i temi che tagliano l’esperienza di ciascuno.
La dimensione informale propria dell’apprendimento al museo interseca e integra, dunque, quella formale dell’apprendimento scolastico, con le sue modalità e le sue posture. Ma in che modo i musei possono aiutare gli adolescenti a educare lo sguardo, discernere, tradurre le intuizioni in parole?
È il tema del volume Che cosa vedi? Musei e pubblico adolescente, appena pubblicato da Nomos Edizioni. Vi hanno contribuito educatori, ricercatori sociali, museologi che a vario titolo frequentano il pubblico adolescente e si interrogano sui suoi bisogni in una logica di ascolto, apertura e revisione di metodi e pratiche interne al museo, dinamizzati con sperimentalismo e un certo senso di urgenza.
 
Gli autori – oltre a me sono Maria Elena Santomauro del Museo del Novecento, Alessio Bertini di Fondazione Palazzo Strozzi, Federica Pascotto di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Chiara Ciaccheri di ABCittà, Franca Zuccoli dell’Università di Milano-Bicocca, Lorena Giuranna del Museo MA*GA, Stefano Laffi di Codici – hanno costruito, con le loro riflessioni, un prisma articolato, antiretorico perché scaturito da pratiche di campo e dunque alimentato dalla concretezza di chi progetta e valuta gli impatti, sul breve ma anche sul lungo periodo.
Accessibilità, rilettura critica del rapporto fra scuola e museo, linguaggi, metodi, e quel tema della “meraviglia” ben evidenziato da Laffi quando si chiede: “Come fare a conservare fra i più giovani – cresciuti dentro un sistema di stupefazione compulsiva, con i superpoteri nel tatto e nell’assedio materiale tecnologico ed estetizzato – il rapporto con l’arte nell’alveo dell’esperienza, ovvero in quello spazio critico di interrogazione su di sé e il mondo, di ipotesi e ricerca, di attrito e crescita personale”? L’andirivieni fra teoria ed esperienza, il senso della ricerca proprio dei nostri mestieri, la percezione che tanti assunti del fare educazione stiano cambiando, e in fretta, mi sembrano i temi più ricorrenti fra le pagine del volume.
 
L’occasione per questa riflessione a più voci è stata offerta dal progetto Che cosa vedi?, realizzato presso il Museo del Novecento di Milano da alcuni studenti del liceo Daniele Crespi di Busto Arsizio nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro. Il metodo è nato dall’osservazione profonda di alcune opere dal secondo dopoguerra in poi, fino a intessere una serie di attività basate soprattutto sulla parola, entro il perimetro metodologico della peer education. Lo scopo non era rafforzare l’apprendimento della storia dell’arte, quanto piuttosto facilitare l’esperienza del museo come spazio di espressione, confronto e sviluppo del senso critico, in cui diventano possibili cose che a scuola non si riescono a fare (l’interlocuzione con i realia rappresentati dalle opere d’arte o dagli exhibits in generale, ma anche i tempi distesi, la modalità di discussione orizzontale, la possibilità di muoversi nello spazio, e molto altro). Il frutto del percorso è un kit che accompagna la visione di alcune opere, progettato alla designer Benedetta De Bartolomeis, contentente fra l’altro un vademecum disponibile in quattro lingue.
 
Che cosa vedi? è nato da un bando per progetti didattici nei musei, nei siti archeologici e in istituzioni culturali o scientifiche promosso nel 2015 dal MIUR. Quando il bando è stato pubblicato, non tutti gli operatori museali lo hanno accolto positivamente: in fondo, perché le scuole avrebbero dovuto progettare attività dentro i musei, non conoscendone i bisogni, le dinamiche, le fatiche? Perché non lavorare in termini di partnership, magari proprio appoggiandosi al progetto di alternanza scuola-lavoro? La domanda era reale, e andava presa sul serio. Nel candidare il progetto, infatti, siamo partiti dalla conoscenza di quel museo, delle sue potenzialità e soprattutto della sua collezione; diversamente ogni proposta avrebbe impattato malamente e sarebbe suonata come un’appendice, o peggio un peso. Si è trattato di un lavoro di negoziazione: tra ruoli, responsabilità, metodi. Solo l’apertura culturale e la disponibilità di tutti gli attori hanno permesso al progetto di sviluppare pienamente le sue potenzialità.
Abbiamo lavorato con gli adolescenti concependoci soprattutto come facilitatori: e questo è un aspetto che accomuna tutte le esperienze raccontate nel volume, da Educare al presente della Fondazione Palazzo Strozzi, che porta nelle scuole della Toscana una riflessione retta da discipline che aiutano la lettura della contemporaneità come l’economia o la sociologia dei media; ai progetti di lungo respiro con gli artisti realizzati al Museo MA*GA, all’app Detto tra noi co-progettata a Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
 
I contributi del volume muovono da domande, da esperimenti, e non da saperi acquisiti o da metodi considerati validi tout court, nella consapevolezza che la vera forza dell’attività educativa dei musei risiede soprattutto nella capacità di fare domande adatte al proprio tempo più che fornire risposte, fossero anche provvisorie e interlocutorie. D’altra parte, importante è soprattutto ciò che il museo fa delle risposte a queste domande. Le ascolta, le registra, le archivia? Le utilizza come strumento autoriflessivo e critico? Le considera un bacino di riflessioni cui attingere per le proprie progettualità, un’occasione per intercettare tutte le componenti del proprio potenziale pubblico, un campo magnetico da cui possono sprigionarsi nuove forze? Questa la provocazione, contro la logica delle costellazioni di micro-progetti che si aprono e chiudono episodicamente, senza quasi lasciare traccia. Perciò abbiamo voluto che il volume, nato dalle nostre domande, riflessioni, dubbi, parlasse soprattutto di spazi da coltivare e mondi possibili, non del già acquisito e storicizzato.
 
Negli ultimi mesi, il kit di Che cosa vedi? è passato fra le mani di un centinaio di adolescenti, a ciascuno dei quali è poi stata chiesta una valutazione. La maggior parte di loro ha parlato della sorpresa di essere a proprio agio; del vedere il museo “con altri occhi”, “in modo nuovo”. In realtà non c’è nulla di nuovo: sedersi, osservare, discutere sono tutte attività lo-fi, economiche, insite nella vocazione educativa del museo. Nuova è forse – ma non per chi pratica quella “cultura della partecipazione” di cui si è parlato nella recente presentazione al Museo del Novecento – la rinuncia alla spiegazione, la voglia di ascoltare, la consapevolezza che tutti cerchiamo con fatica un codice per interpretare il contemporaneo, e tutti siamo chiamati a interrogarlo. Prendere la parola, anche se tentativamente, in un luogo protetto e sicuro come il museo diventa allora un allenamento, una misura di cittadinanza.
Anna Chiara Cimoli
 
 
Che cosa vedi? Musei e pubblico adolescente, a cura di Anna Chiara Cimoli, Nomos Edizioni, Busto Arsizio 2017, euro 9,90
 
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