La conversione di San Paolo
San Paolo (Brasile). Dal 7 settembre al 9 dicembre si apre la trentesima Biennale di San Paolo d’arte contemporanea. Luis Pérez-Oramas, curatore per l’arte latinoamericana al Museum of Modern Art di New York, e direttore di questa edizione sostiene che «questa non è una mostra dogmatica. Non è intenzione mia e del mio staff stabilire o decidere quale debba essere il tipo “corretto” di arte contemporanea». Affiancano il direttore, in qualità di curatori associati, André Severo e Tobi Maier, e Isabela Villanueva, come assistente curatore. Sotto il titolo «L’imminenza della poetica», l’enfasi è data alle «costellazioni»: gruppi di lavoro che, spiega Pérez-Oramas, «condividono un comune tema, processo o ideologia». In quest’ottica, i curatori hanno invitato i 111 artisti partecipanti a presentare più opere ciascuno. «Contrariamente alla Biennale di Venezia, precisa il direttore, la maggioranza del nostro pubblico non è composta da “gente dell’arte”, ma da studenti, famiglie, bambini e gente comune. Quindi vogliamo mostrare loro opere multiple che offrano un contesto per comprendere lo sviluppo individuale di ciascun artista».
La precedente edizione della Biennale schierava 850 opere di 159 artisti. Quest’anno, nonostante il minor numero di artisti, il numero totale delle opere esposte è balzato a circa 2.900. La sede principale della mostra è il padiglione Ciccillo Matarazzo, lo spazio di 30mila metri quadrati progettato da Oscar Niemeyer e intitolato all’imprenditore di origine italiana fondatore della Biennale di San Paolo.
Biennalopoli e rinascita
Nel 2008, la manifestazione era in grandi difficoltà. La Fundação Bienal, la fondazione privata che ha gestito l’evento dal 1962, era soffocata dalla mancanza di fondi, da anni di corruzione e accuse di cattiva gestione nei confronti dell’allora presidente, Manoel Francisco Pires da Costa. Tutto questo sporcava l’immagine prestigiosa della più grande delle biennali latinoamericane, la seconda al mondo per «anzianità» dopo quella di Venezia. A peggiorare ulteriormente le cose, il budget era stato tagliato da 12 a 3,5 milioni di dollari, un terzo circa del budget della Biennale di Venezia del 2007. La mostra proponeva solo 54 opere, e il padiglione da 250 metri di lunghezza era vuoto, cosa che venne interpretata da molti osservatori come una simbolica protesta contro la corruzione che dominava la rassegna, espressa dal curatore della mostra, Ivo Mesquita.
La 29a edizione andò meglio dopo che Heitor Martins, il nuovo presidente della Fondazione, ancora in carica, rinnovò gli sforzi di raccolta fondi della fondazione e fornì ai curatori un budget di 13 milioni di dollari. Quest’anno, il budget è di circa 11 milioni di dollari (8,7 milioni di euro) raccolti dallo Stato di San Paolo e da sponsor privati che hanno tratto vantaggio dalle esenzioni fiscali offerte dal Governo brasiliano. La mostra presenta «grappoli di opere», dice Pérez-Oramas, distribuiti in quattro aree del padiglione principale. «Sono zone concettuali, aggiunge, che non devono essere interpretate come rigide frontiere». Ad alcuni artisti è stato fornito spazio per allestire una retrospettiva. Per esempio, la serie «People of the 20th Century», 1910-40, del fotografo tedesco August Sander (1876-1964) dovrebbe essere esposta per la prima volta nella sua interezza. Di fronte alla sua opera si innalza un muro di 45 metri dov’è allestita la serie «Photonotes», 1992-2007, dell’artista olandese Hans Eijkelboom, come un moderno contrappunto alle immagini di Sander. La quinta area della mostra è la città stessa, una caotica giungla di cemento di circa 20 milioni di abitanti, attraverso la quale il team dei curatori ha organizzato un ampio programma di interventi urbani ed esposizioni satelliti. «La città non ha bisogno della biennale, ma la biennale necessita della città, dice Pérez-Oramas. Volevamo prendere atto del tessuto antropologico di questo luogo, ma allo stesso tempo siamo stati attenti a mantenere i legami concettuali con la mostra principale, e abbiamo scelto per i nostri interventi le collocazioni più simboliche».
L’artista tedesca Jutta Koether espone nuovi dipinti al Museu de Arte de São Paulo, mentre Bruno Munari (con Meris Angioletti uno dei due italiani rappresentati) viene omaggiato con una retrospettiva all'Instituto Tomie Ohtake. L’artista brasiliano Alexandre Moreira ha invece in progetto l’installazione di chioschi lungo la principale arteria storica di San Paolo, l’Avenida Paulista. Se la selezione degli artisti rimane largamente internazionale, comprese alcune star come Anna Oppermann, Hans-Peter Feldmann, Ian Hamilton Finlay e Robert Smithson, la percentuale è leggermente scesa in favore di artisti locali: 23 i brasiliani e 27 dal resto dell’America Latina.
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da Il Giornale dell'Arte numero 323, settembre 2012