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Ibridi organizzativi: nuove forme di impresa ad alto impatto sociale

  • Pubblicato il: 16/03/2015 - 16:40
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni

Come è nato «Ibridi organizzativi» scritto a quattro mani con Flaviano Zandonai?
É un'osservazione che abbiamo effettuato sulla rete del Consorzio CGM. L'allora Presidente Claudia Fiaschi ci aveva segnalato la presenza di cooperative sociali in trasformazione, border line fra l'avere finalità sociali, ma forme organizzative da impresa profit. E in effetti abbiamo scoperto tante imprese for profit, società per azioni, che non ripartiscono gli utili, pur mantenendo finalità sociali e producendo beni e servizi di utilità comune.
Sono a tutti gli effetti “ibridi organizzativi”.
In Europa esistono già modelli di impresa come questi. Pensiamo al mondo anglosassone dove profit e nonprofit operano sul mercato insieme (la cosiddetta formula del low profit), oppure ai Paesi del Nord (la Svezia ad esempio), dove Pubbliche Amministrazioni e Non profit si associano per la produzione di beni e servizi, rompendo il rapporto fra committente/fornitore che tipicamente regola le relazioni fra PA e Terzo Settore.
 
 
É in atto una rivoluzione?
L'innovazione è un processo ciclico, già vissuto in altri periodi. Anche per le cooperative sociali si tratta quindi di una naturale evoluzione verso nuove forme di governance. La novità è l'introduzione della componente partecipata, dove l'approccio è multi-stakeholder. Tutti, intendo Stato/Mercato/Terzo Settore partecipano alla produzione di valore, che non è solo economico e di profitto, ma sociale. Non esiste più la dicotomia fra lo Stato Committente che incarica il Terzo Settore nell'erogazione esternalizzata di beni e servizi di utilità sociale, contro il Mercato e le imprese di profitto. Oggi sono tutti chiamati a produrre valore. L’impresa sociale si trova a vivere il passaggio dall’ Utente al Cliente, dunque si deve trasformare da Operatore Sociale a Imprenditore, producendo così un processo di disintermediazione rispetto allo Stato.
 
 
Ma non si rischia una perdita di identità per il Terzo Settore?
Non credo. Anzi, penso ci siano elementi di stimolo per produrre valore e contaminare altri ambiti. Prima l'utente beneficiava del servizio. Ora la domanda è pagante, riconosce un valore economico e sociale al servizio, accetta lo scambio.
La competizione sul mercato si gioca su questo fronte: il Cliente riconosce la dimensione sociale, la produzione di valori diversi dal solo profitto, ma che colpiscono la dimensione relazionale, di comunità, di benessere comune.
Se un Poliambulatorio promosso da imprese sociali vuole competere sul mercato deve essere capace di valorizzare I servizi, I benefici, gli impatti che genera sulla comunità. Il valore aggiunto sociale è l'elemento di posizionamento. Questo genera anche un'economia inclusiva e territoriale, dove la relazione con il Cliente e l'ascolto dei bisogni sono fondamentali. Una tipologia di impresa che non delocalizza, ma che si lega ai soggetti e comunità, sostenibile e che si apre ad investimenti territoriali.
Teniamo conto che gli “ibridi” che abbiamo esaminato del Consorzio GCM (2013), investono più di tutti: su 900 imprese sociali in 16 regioni, 73 organizzazioni di questo tipo hanno investito 38 milioni di Euro su un totale di 370 milioni. La loro attività imprenditoriale produce un valore di 50 milioni di Euro.
Gli ibridi sono sempre esistiti, ma come società strumentali (es. nell’agroalimentare, nei servizi, ecc) Gli ibridi che noi abbiamo osservato sono invece delle “newco” che germogliano in seno alle cooperative sociali e poi vengono spinoffati fuori, per attrarre investitori e generare management specifici. Stanno attraendo flussi finanziari, dunque stimolano la ripresa economica con modalità innovative.
 
 
Dove nascono gli ibridi?
Dove esistono già reti consortili, dove si aggregano fondi, come appunto CGM. Non ci sono particolari distinzioni geografiche: abbiamo osservato organizzazioni ibride a Milano, come Forlì, Cesena o Matera.
Nelle Imprese di comunità si osservano le sperimentazioni più interessanti, come ad esempio Panecotto di Matera, srl che gestisce tutti i brand di una filiera produttiva di imprese sociali locali: il massimo dell'intangibile.
Gli ibridi in buona sostanza operano una “ricomposizione” rispetto alle forme giuridiche attuali: le associazioni sono più adeguate per il fundraising, le Fondazioni per la patrimonializzazione, le cooperative sociali per la produzione di servizi, le Srl per la commercializzazione. Gli ibridi nascono anche perché è finito il tempo della “separazione” e si propongono di tenere insieme tutte le diverse funzioni esistenti. Per questo aspettiamo una legge chiara sull'impresa sociale, che abiliti queste realtà di impresa ad operare nel sociale ricomprendendo tutte le forme giuridiche attuali. La produzione di valore, come dicevo, implica ricomposizione e non separazione per compartimenti stagni.
 
 
Ma come si misura l'impatto sociale?
Valutare vuol dire dare valore. Dobbiamo abbandonare la visione riduzionista del passato, che faceva coincidere l’idea di valore con il profitto. In questo senso il Terzo settore risultava non avere valore, perché non è orientata a produrre profitto (che esiste ma è un mezzo). Rimango favorevole alla misurazione, al trovare metriche, a pesare impatti, ma non limitiamoci a misurare le esternalità, ma i processi, le modalità con le quali si producono. L'impresa sociale procede per inclusività, per trasmissione inter-generazionale, per capitale relazionale.
Trovo un indicatore come lo Sroi molto utile, ma non completo. Pensiamo alle cooperative sociali di tipo B: si può misurare un ritorno di investimento, ma come si misurano gli effetti di riscatto e inclusione sociale su un ragazzo svantaggiato? Come misuriamo il tasso di democraticità di una organizzazione?
 
 
Che ruolo gioca il settore culturale in questo fenomeno?
La Cultura manifesta più di tutti la propensione alla ricomposizione. È più capace di mettere insieme pratiche di gestione, forme organizzative, produzione di beni e servizi, coinvolgimento delle comunità, rispetto ad altri settori economici. La dicotomia Stato/Mercato non è più applicabile in questo contesto, perché l'approccio multi-stakeholder è insito nella gestione del patrimonio culturale tangibile e intangibile. La cultura genera aggregazione, rigenera ambienti, crea infrastrutture. La Cultura è un «asset» che attiva azioni dal basso, forme di gestione partecipata ed economie locali, che immediatamente interagiscono con altri settori come il turismo o il comparto enogastronomico. Il modello dell'impresa sociale in ambito culturale permette di perseguire la finalità pubblica, praticare l'efficienza privata e infine di attivare una governance aperta e inclusiva. In qualche maniera, la recente esperienza della Capitale Culturale per il 2019, ha dato stimolo e modellizzato questo sistema. Nei dossier sono scritte pratiche di gestione dei Commons multi-stakeholder, dove la ricomposizione è evidente fra PA/Terzo Settore/Imprese. Matera stessa è un esempio di come si dovrebbe fare sviluppo, ovvero «sciogliere I viluppi», eliminare gli ostacoli.
Anche il Rapporto Symbola restituisce una fotografia interessante dell'Impresa Culturale, capace di moltiplicare gli investimenti, creare le condizioni per la partecipazione e indicare la via ad altri settori produttivi.
 
 
Perchè il blog Tempi Ibridi?
Volevamo mettere l'accento sul fatto che I tempi sono in trasformazione. In questo spazio a quattro mani, osserviamo da altri punti di vista, extra accademici.
Ci siamo ritagliati una finestra di lettura differente. Produrre valore significa aprirsi, collaborare, rendersi disponibili alla contaminazione di altre discipline.
 
 
Come si fa a guardare in modo diverso?
Bisogna distinguere senza separare. C'è una terza via che è concentrarsi sulla produzione di valore comune. Non ci sono più compartimenti stagni: lo Stato produce valore per la società civile, mentre il mercato produce valore per gli azionisti. Siamo tutti impegnati nella produzione di beni e servizi per la Comunità.
Prendiamo ad esempio Milano. É un periodo di grande riflessione su sharing economy, co-produzione di beni e servizi pubblico/privato. Questo dimostra che le Politiche Pubbliche sono un processo partecipato e comune. Questo è un percorso di trasformazione e non di mera esecuzione.
 
 
Secondo te l'Italia è matura per affrontare questo percorso partecipato?
Io vedo innovazione ovunque, a livello microscopico, dal basso. Sono circondato di esempi ed esperienze di rottura e sperimentazione. Il cambiamento non arriverà dall'alto. Non si tratta di un cambio di Governo, ma di Governance. Io sono ottimista. È un momento prezioso. Il gap evidente fra I bisogni e la capacità di soddisfarli ha generato una ricerca di risposte nuove. I processi innovativi sono ciclici. L'innovazione di rottura nasce sempre dal basso, in un cambio di cultura organizzativa, produttiva, culturale. Dalle forme organizzative alle policy.
Nello stesso tempo sono realista e sottolineo che questi anni hanno aumentato le disuguaglianze. Dobbiamo però guardare alle cause e non solo a riparare i danni.
 
 
Quale sarà la prossima indagine?
Vogliamo osservare come gli ibridi organizzativi impattano su altri settori produttivi, che esulano dalla produzione di beni e servizi. Vogliamo vedere come le imprese sociali sono capaci di trasformare settori come l'edilizia, la cultura, la sanità, il turismo, permettendo di introdurre innovazioni non solo di gestione, ma di prodotto. Vogliamo osservare come il sociale interseca il mercato e genera nuove economie.
 
 
Cosa stai leggendo in questo periodo?
Il futuro come fatto culturale di Appadurai.
 
 
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