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Dal Terzo workshop internazionale, strategie e nodi critici delle fondazioni

  • Pubblicato il: 01/07/2011 - 10:21
Autore/i: 
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Terzo workshop internazione sulle fondazioni a Milano, il 27 giugno e il 28 a Torino  e canto del cigno dell’organizzatore, il  Centro documentazione delle Fondazioni della Fondazione Agnelli di Torino.
Una realtà creata da Marco Demarie, preveggente rispetto ad un fenomeno dallo stesso definito in estensione,che tanto ha contribuito  nel far crescere la cultura delle fondazioni nel nostro Paese e chiude la propria attività a seguito dei mutati indirizzi della fondazione madre. Il fondo di dotazione, come stabilito dalla normativa, viene  trasferito, in questi caso alla facoltà di scienze politiche di Torino che finanzierà ricerche, ma il settore rimane orfano di un osservatorio nazionale.

Interessanti gli attori e i contenuti di queste giornate organizzate in collaborazione con l’Università degli studi di Torino –D ipartimento di Scienze economiche e finanziarie G Prato, e l’Università Cattolica del Sacro Cuore - CRC-centro ricerche sulla cooperazione e sul non profit.

Tra questi la lecture di P. Frumkin, Professor of Public Affaire and Director, RGK Center for Philanthropy and Community Service, University of Texas, Austin sull’evoluzione delle fondazioni negli States. Secondo Frumkin anche nel Paese le strategie delle fondazioni sono fragili. Il tetto minimo del 5% del patrimonio in erogazioni annue stabilito per norma (tema sul quale in Italia si sviluppano riflessioni nei centri del sapere) per ottenere benefici fiscali come charities, si rivela nei fatti un tetto massimo e non stimola l’implementazione di strategie.

Da Jasmine A. Mc Ginnis, Georgia State University, Stefan Einarsson, Stockolm School of Economics e Hanna Schneider, Vienna University of Economics and business una ricerca  qualitativa su un campione di grandi realtà nei rispettivi Paesi per studiare come le strategie  evolvono, quali fattori ne  influenzano il processo di formazione  e arricchire il dibattito sui gap, ovvero sulle criticità che impediscono lo sviluppo del pieno  potenziale di questi determinanti attori sociali. Il settore cresce ovunque, numericamente e nell’impatto sociale.

Emerge nettamente come l’iniziale mission abbia un forte impatto sulle strategie future, ma che esistano diffusi spazi di miglioramento nella chiarezza delle strategie operative,nel connettere e contestualizzarle con gli obiettivi e nel superare decisioni  ad hocratiche.

In Austria le fondazioni costruiscono «peer network», ponendosi in costante ascolto dalle best practice e soprattutto delle più giovani ed emerge come nel Paese e in Svezia i fattori di contesto siano determinanti: le fondazioni si percepiscono complementari rispetto alle politiche pubbliche di welfare, mentre il tema non è menzionato dal campione esaminato negli States.
Sempre in Svezia le fondazioni apprendono dai bisogni espressi dalla società e dagli organismi che sostengono, dai nuovi gruppi di richiedenti, dall’evoluzione della domanda, dal cambiamento veloce delle domande. Le realtà corporate sono più proattive, ma ovunque cresce la consapevolezza dell’esigenza di lavorare su entrambi i versanti, delle risorse umane e dei processi e soprattutto di  rafforzare competenze e leadership, anche con nuovi ingressi nel board di membri che provengono da altre fondazioni.

Estremamente ricchi di stimoli e dibattuti, la ricerca focalizzata sul panorama italiano sul ruolo  giocato dalla governance – e, quindi, anche sui poteri di vertice e l’influenza politica - nella filantropia strategica delle fondazioni di origine bancaria da Giacomo Bosso, Fabrizio Cerboni, Andrea Menini e Antonio Parbonetti (analisi di 51 su 88 Fondazioni di origine bancaria, rappresentative per dimensioni e provenienza geografica) dell’ Università di Padova-Dipartimento di Economia e Management, che verrà data alle stampe da Acri con la rivista Il Risparmio.

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