Collezione Maramotti. Non solo moda
La Collezione - che è patrimonio privato e non ha dato vita a una Fondazione – oggi comprende diverse centinaia di opere realizzate dal 1945 ad oggi, di cui oltre duecento in esposizione permanente, che rappresentano alcune delle principali tendenze artistiche italiane e internazionali degli ultimi cinquant’anni. Un posto di riguardo è riservato all’arte povera italiana, alla transavanguardia e alla pittura della fine del 1900.
Abbiamo incontrato Marina Dacci, Direttrice della Collezione Maramotti in occasione del recente Max Mara Art Prize for Women, realizzato in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra.
Collezione Maramotti e Gruppo Max Mara hanno origine da un unico fondatore. Esistono e come si realizzano eventuali momenti di collaborazione tra queste due realtà?
Il sostegno finanziario di Max Mara alla Collezione è fondamentale per consentire di aprire gratuitamente la raccolta al pubblico e al suo funzionamento in generale, compresi i servizi culturali per il pubblico, gli allestimenti, la produzione, la comunicazione, la realizzazione di pubblicazioni. Inoltre lo stabile dove ora è accolta la Collezione è proprietà di Max Mara che si occupa anche della manutenzione dell’edificio e dell’area verde.
Questo però non significa in alcun modo che Max Mara partecipi alle scelte artistiche né alla programmazione delle attività culturali. In questo la Collezione avanza su decisione diretta della famiglia dei collezionisti e dello staff che si occupa di dare “corpo e gambe” ai progetti e alle attività conseguenti.
C’è uno specifico progetto che invece vede coinvolte le due realtà come partner a cui se ne assomma una terza (Whitechapel Gallery di Londra): si tratta del Max Mara Art Prize for Women, giunto al culmine della sua quinta edizione.
Ognuno dei tre partner coinvolti ha specifiche attività, ma tutti e tre i soggetti concorrono alla gestione di un premio assai complesso non solo per la sua durata (biennale), ma anche in termini organizzativi e comunicativi condividendone costantemente gli steps di processo.
Come è cresciuta la Collezione dal nucleo originario creato dal fondatore? Data la ricchezza della Collezione, esistono filoni di ricerca sui quali si concentra?
Parlando del “progetto Collezione” la filosofia e le modalità sottese alle acquisizioni e ora alle commissioni sono assolutamente coerenti e in continuità con la pratica collezionistica di Achille Maramotti fin dalle fasi del suo avvio: dall’interesse per lo sviluppo e la vitalità del linguaggio pittorico all’attenzione a nuove ricerche espressive e al lavoro di artisti giovani e non established. Tutto questo naturalmente ora si sviluppa non solo tramite la ricerca e l’acquisto di singole opere, ma anche attraverso commissioni e inviti per la produzione di progetti che si focalizzano più che sul manufatto in sé sull’interesse per le pratiche e la ricerca degli artisti, dando loro una sorta di carte blanche. Questa nuova modalità ovviamente è ancorata all’apertura al pubblico della collezione e dalla suo passaggio da realtà totalmente privata a quella istituzionale.
Un’area importante dei vostri interventi è la giovane arte contemporanea con particolare attenzione alla sua declinazione femminile, da cui nasce l’iniziativa del Max Mara Art Prize for Women in collaborazione con Whitechapel Gallery di Londra. Quali sono le novità dell’ultima edizione vinta dalla giovane artista Corin Sworn ? Quali le caratteristiche della sua proposta?
Ogni nuova edizione del Premio è portatrice di nuove visioni e di nuove esperienze che arricchiscono questo progetto lungo il suo percorso.
Quest’anno ad esempio un nuovo approccio ha riguardato la modalità organizzativa della residenza. Per la prima volta una artista si è spostata in Italia per sei mesi con la famiglia (compagno e figlio piccolissimo) e questo ha comportato ripensamenti e nuove soluzioni organizzative. L’artista non è stata inserita in una residenza istituzionale, ma in un appartamento privato in due città (Roma e Napoli) e si sono cercate delle figure di facilitatori in loco per favorire la conoscenza del territorio, delle sue risorse e per aprire relazioni funzionali al progetto. Il progetto di Corin è molto complesso in quanto riguarda “La Commedia dell’Arte” - genere teatrale nato in Italia e poi sviluppatosi in tutta Europa - nelle sue declinazioni linguistiche e sociali e sulla possibilità, estrapolandone le specificità, di attualizzarlo in una dimensione contemporanea.
In questo ambito si colloca anche il Max Mara Sponsor Backyard Youngarts Foundation di Miami di cui è stata data notizia?
Da sempre Max Mara sostiene l’espressione di nuovi talenti in ambito creativo e la formazione permanente, talvolta operando direttamente (come per il Prize) talvolta sponsorizzando in un circuito internazionale iniziative di carattere artistico, culturale e formativo. Questa sponsorizzazione è pertanto sinergica con l’impegno della Youngarts Foundation, il cui appannaggio riguarda l’individuazione e il sostegno dei soggetti più talentuosi in nove diverse discipline artistiche.
Al di là del momento espositivo, avete programmi e interventi particolari per fare della Collezione anche una sede di confronto e di approfondimento culturale?
La vocazione della Collezione è principalmente espositiva con la conseguente condivisione coi visitatori del suo work in progress.
Talvolta però si creano momenti specifici di approfondimento connessi ai progetti e alle mostre oppure a momenti di riflessione tra arti visive e altri linguaggi artistici, come ad esempio il rapporto tra arte e coreutica che vedrà nel 2015 un nuovo appuntamento all’interno del Festival Aperto organizzato da I Teatri.
Si tratta di commissioni a importanti compagnie di danza contemporanea che sono invitate a elaborare partiture performative specifiche connesse alla Collezione (in passato Trisha Brown, Shen Wei Dance Arts, Mc Gregor Random Dance).
Questa linea continua a essere perseguita dalla Collezione se ne sussistono le condizioni rispetto alla sua vocazione principale.
Quali sono i progetti per il futuro?
La nostra programmazione artistica ha un andamento continuativo e lavora su più anni perché, trattandosi di commissioni, i tempi della produzione cambiano da artista a artista. Il 2015 si strutturerà con diverse proposte.
Fino al 12 aprile 2015 proseguono i due progetti in dialogo virtuale di Chantal Joffe (con Moll) e Alessandra Ariatti (con Legami). Le due artiste, seppure molto diverse tra loro, hanno concentrato la loro ricerca artistica sul ritratto. Entrambe raccontano di donne che divengono soggetto e oggetto della realizzazione dell’opera.
Il 16 maggio si inaugurano contestualmente due mostre:
- Esko Männikkö | Time Flies. An highlight (fino al 27 settembre 2015) 49 fotografie dal 1991 al 2013 di uno dei più celebri fotografi finlandesi, riconosciuto a livello internazionale. Esko Männikkö ha vissuto al nord, operando al di fuori delle tendenze e delle realtà istituzionali della fotografia. Si immerge nei luoghi e nei dettagli che fotografa, mettendo rispettosamente in luce gli aspetti comuni della vita quotidiana. La selezione dalle sue serie enfatizza molteplici affinità che connettono intimamente la ricerca di Männikkö e la Collezione Maramotti: la dimensione pittorica delle sue fotografie si lega alle opere della Collezione, così come la sospensione metafisica e il tempo cristallizzato del suo mondo congelato, stranamente malinconico.
- il progetto di Enrico David (fino al 18 ottobre 2015). Si tratta della prima esposizione italiana di Enrico David dopo molto tempo – ad eccezione della Biennale di Venezia 2013 – questo nuovo progetto mette in dialogo pittura e scultura, con la sperimentazione di nuovi materiali. David spesso lavora con una grande varietà di media e su temi diversi, che derivano da molteplici fonti ed esprimono un’ampia gamma di complessi stati emozionali, mantenendo uno stretto legame tra isteria e terrore dell’esistenza umana. Il suo immaginario attinge all’artigianato, all’arte popolare e al design del XIX secolo, così come alla pubblicità, alla moda e alla storia dell’arte, dal surrealismo all’espressionismo, dall’art déco alla tradizione figurale giapponese.
Il 3 ottobre si apre a Reggio Emilia la Mostra di Corin Sworn che resterà visibile fino al 28 febbraio 2016. Dopo la mostra alla Whitechapel Gallery, Corin Sworn presenta il suo nuovo progetto alla Collezione. Il nuovo lavoro è centrato sulla ricca storia della Commedia dell’Arte italiana e si focalizza su un genere teatrale che a partire dal 1500 veniva rappresentato da compagnie itineranti. L'installazione, che abbinerà architettura, scultura e materiale tessile, costituirà il “palcoscenico” di una performance realizzata dal vivo. Sworn è particolarmente interessata a focalizzare il ruolo chiave assunto dagli “scambi di identità” negli intrecci narrativi e ha anche esplorato il ruolo ricoperto dall'abbigliamento nella società italiana del XVI e XVII secolo, insieme alla capacità dell'attore di destabilizzare relazioni e gerarchie nell’evoluzione storica di questo genere teatrale.
In novembre 2015 (date da confermare) in collaborazione con I Teatri di Reggio Emilia - Aperto Festival: Hofesh Shechter Company. Il progetto vede Collezione Maramotti a fianco di Max Mara e la Fondazione I Teatri per una nuova produzione creata per gli spazi della Collezione e una première al Teatro Valli. Hofesh Shechter è nato e ha studiato danza e musica a Gerusalemme. La sua attività di coreografo è iniziata in Inghilterra, dove si è trasferito nel 2002, fondando la sua compagnia con base a Brighton. Negli ultimi dieci anni si è imposto a livello internazionale con uno stile che rielabora in chiave contemporanea danze europee e mediorientali, offrendo immagini spettacolari e nel contempo oniriche, accompagnate da una musica potente e aggressiva.
Un aspetto interessante e in qualche modo d’avanguardia è il recupero architettonico dell’antica sede industriale per finalità d’arte, di conservazione e di fruizione pubblica. Nasce anche questo dalla vostra proiezione internazionale?
Forse un approccio interessante può essere proprio quello di far dialogare il “locale” inteso come rapporto con le radici e il “globale” come portatore di proiezioni future: la continuità con la scoperta del nuovo. Così l’interesse a mantenere la Collezione nel territorio in cui i collezionisti vivono e operano così come l’idea che il rapporto con la propria memoria anche spaziale possa naturalmente convivere con l’apertura a un dialogo internazionale e a progetti con artisti internazionali.
Certamente il progetto architettonico ha consentito questa riconversione da spazio di produzione a spazio destinato all’arte per le sue oggettive caratteristiche di versatilità e flessibilità. Ma la ragione prima di questa scelta si può rintracciare nell’idea che la memoria dell’edificio è diventata un vero valore aggiunto in rapporto con la storia iconografica che accoglie.
www.collezionemaramotti.org
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