«Paradossalmente sono le piccole fondazioni a sopportare meglio la crisi»
Per vent’anni le fondazioni di origine bancaria sono state le major dell’investimento in arte e cultura. Una voce molto rilevante in valori assoluti, sempre al primo posto del monte erogazioni. Quale il bilancio dei vostri interventi?
I dati del XVI Rapporto ACRI (2011) mostrano che il monte erogazioni si è ridotto, ma la percentuale d’investimento sul settore rimane alta, anzi è cresciuta rispetto all’esercizio precedente (+31%), per 423 milioni di euro spesi complessivamente. La destinazione più significativa delle erogazioni riguarda la conservazione e la valorizzazione dei beni architettonici e archeologici (recupero, restauro, valorizzazione, utilizzazione e agevolazione alla fruizione) ed è pari a circa un terzo della capacità del settore. Al secondo posto abbiamo il sostegno alla produzione di attività culturali e artistiche, che rappresenta il 20% del settore, seguito dall’intervento in favore dei musei, biblioteche e archivi. Per quanto concerne la qualità, l’evoluzione è a velocità differenziata e si muove nel segno di tre temi: il passaggio a una progettualità autonoma, l’innovazione, le partnership, sia con altri soggetti pubblici e privati sia con altre fondazioni, un capitolo nuovo che sicuramente verrà ampliato dalla saggezza degli uomini e dallo stato naturale delle cose.
La risposta delle fondazioni alle emergenze sociali necessariamente influirà sugli investimenti in arte e cultura, a favore del welfare e dell’educazione. Come coniugare la contrazione delle risorse con l’aumento della domanda?
Paradossalmente la crisi è sopportata meglio dalle piccole fondazioni, o comunque dalle meno progettuali, perché il bricolage è più facilmente assottigliabile. La crisi «batte in breccia» alla progettazione più complessa, sia perché è di dimensioni maggiori, sia perché implica la relazione con più soggetti, entrati a loro volta in crisi. La cooperazione è una ricchezza ma, se si mettono insieme le criticità, trascina, come in cordata, verso il basso. Oggi le fondazioni devono essere molto avvertite rispetto a questo dato, perché non possono stare ferme: o fanno un passo avanti o fanno un passo indietro. La sfida è non ridurre la progettualità e comporta rimodulare, ripensare, reinventare le metodologie. Un buon esempio è la maggiore cooperazione fra fondazioni sui meccanismi della produzione culturale.
Questo significa avere fantasia e attenzione. Non c’è più spazio per accademismi o le «riserve» degli addetti ai lavori. Se questo non è il momento più indicato per realizzare una pinacoteca, può esserlo ad esempio per dar vita a fondi di restauro per opere minori. Siamo in possesso di un patrimonio di beni culturali che va deteriorandosi: distribuire gli interventi di tutela su laboratori di restauro – probabilmente privi di committenza in questo momento – può essere un’occasione di sviluppo per operatori qualificati, con una ricaduta sociale, psicologica ed economica, oltre che culturale, tutt’altro che trascurabile.
Come si muove la Commissione Cultura dell’ACRI?
Individuando priorità nei processi che generano innovazione. Questa è la base del «Fondo per l'impresa giovanile in materia culturale», avviato a metà maggio, che impegna dieci fondazioni (Lombardia, area torinese, Cagliari, Livorno, La Spezia, Parma, Modena, Bologna e Ravenna, Padova e Rovigo) in un investimento triennale di 1,2 milioni per anno. Il progetto vuole intervenire sui fattori produttivi, sugli snodi organizzativi delle imprese di giovani professionisti della cultura, per fare in modo che possano arrivare a condizioni di più ragionevole sostenibilità. Contrattualistica, comunicazione, design, nuove tecnologie sono i fattori per l’innovazione dell’impresa. Vogliamo creare un prototipo che possa essere esteso anche ad altre aree di intervento. Non è facile, ma è una bella partita da giocare. «Se è difficile è interessante» diceva Confucio. Questa è una bella partita da giocare, che inizierà entro l’estate con un bando che riguarderà i territori delle fondazioni che vi partecipano.
Un lavoro sulla correlazione tra cultura e crescita economica e sociale.
Dobbiamo coniugare gli interventi rivolti ai bisogni più immediati e diretti dei territori, accentuando il risvolto potenziale di tutti gli investimenti, anche indiretti, sull’impatto sociale. L’investimento in cultura può generare ricadute positive sulla coesione sociale e sull’occupazione, in particolare giovanile. Se non si investe in cultura si corre il rischio di sottolineare ciò che divide e non leggere ciò che unisce. C’è urgenza di una conoscenza profonda, un substrato strategico su questi temi. Non basta inserire una sezione cultura nel piano strategico: la restituzione di identità profonde è una risorsa essenziale in questi tempi.
Le fondazioni sono grandi collezioniste e tutte insieme formano un immenso patrimonio, di valore economico e di significati. E gli acquisti continuano, come vediamo dalla nostra analisi. Non c’è realtà che non stia intervenendo con restauri sulla propria sede o edifici dedicati a ospitare la propria collezione o progetti analoghi.
Molti sono progetti di lungo termine avviati prima della crisi. Le Fondazioni sono grandi collezioniste, con patrimoni che provengono in gran parte dalle banche conferitarie, attraverso i quali si può leggere molto della storia dei territori. Prendere consapevolezza del valore, anche identitario di questi patrimoni e volerli condividere è un esempio di gestione delle risorse esistenti. Probabilmente questa coscienza e le iniziative che ne derivano sono anche frutto del progetto «R’Accolte» dell’ACRI, che inizia a dare risultati tangibili. In sede associativa abbiamo dato corso a un processo di ricognizione, con una catalogazione accurata e completa e l’inserimento su un data base on line delle opere d’arte nei settori più importanti, al quale hanno aderito 50 fondazioni. A fine novembre apriremo all’esterno l’accesso al data base di «R’Accolte» con i primi approfondimenti scientifici e tematici. Iniziamo con le fondazioni emiliane e la rilettura del Barocco emiliano attraverso una ventina di opere. Inoltre, partendo da Bologna, le fondazioni ospiteranno le mostre tematiche dove, virtualmente, il visitatore potrà conoscere l’ampio patrimonio, oggi «sommerso», del sistema delle fondazioni attraverso l'esposizione di opere e strumenti video-interattivi.
Cambiamenti, sfide, ma non potete disimpegnarvi dalle relazioni territoriali, dai grandi interventi…
E dalle piccole cose. La famosa «pioggia» (tra il 40% e il 50% delle erogazioni in media) riguarda il 5% delle quantità di risorse impiegate. Un numero di pratiche elevato, che ha ricadute sui costi organizzativi. Ci sono realtà consolidate che sosteniamo, spesso minute, ma di valore, per le quali è inevitabile limitarsi a tagli lineari. Abbiamo due ordini di criticità: da un lato le istituzioni culturali «tradizionali» non hanno ancora compreso che i modelli di finanziamento fin qui utilizzati non possono essere ulteriormente mantenuti, dall’altro facciamo difficoltà a conoscere (prima), valorizzare (poi) il fare cultura di nuovi soggetti, quali imprese, giovani, immigrati di prima e seconda generazione e realtà associative che i sistemi reticolari mettono in relazione.
Come far comprendere il ruolo che state agendo?
La crisi della politica sposta sulle fondazioni il peso di molte scelte. Le fondazioni servono al proprio territorio e al suo sviluppo solo se sono autonome. L’autonomia non è un vessillo astratto, è uno strumento indispensabile: se non c’è terzietà tutto diventa più complesso. Il formulare delle risposte, la scelta degli interlocutori con cui operare, la conferma e la valutazione dei dati e dei risultati presuppone un’enorme competenza e non tutte le fondazioni sono oggi attrezzate. In questo flusso di mobilitazione critica e con forti dosi di smarrimento, le fondazioni si prestano ad essere contestate. La prossimità con le banche pone delle criticità, benché sia orientata a sostenere un territorio. Quello che è fortemente presente è la consapevolezza della storia di questi anni che ha posto le fondazioni in una posizione rilevante all’interno delle banche a sostegno della società italiana. Il dato delle fondazioni spinte dalla cupidigia e dal potere è un elemento caricaturale: può darsi che vi sia stato qualche esempio in passato, ma certo non è il dato del presente.
In risposta avete varato la «Carta delle Fondazioni», che si propone un’armonizzazione strategica nel rispetto dell’autonomia delle singole realtà.
Un tema importante, con una doppia lettura: in parte difensiva e dimostra che le fondazioni sono mature per camminare da sole, senza essere sospinte o minacciate; dall'altro sono consapevoli di dover colmare delle lacune, come la trasparenza nelle procedure, nella modalità in cui assumono decisioni. La fase iniziale per la relativa traduzione pratica è probabilmente dei nocchieri, perché la figura del Presidente conta naturalmente sempre tantissimo nelle fondazioni. Ma il risultato nel medio e lungo periodo è certamente nelle mani di tutti gli organi di governo delle Fondazioni e, vorrei sottolinearlo con forza, delle loro strutture. Forse non tutti se ne rendono conto, ma un personale motivato, preparato, consapevole dell'importanza del ruolo delle fondazioni e delle proprie responsabilità sarà probabilmente uno dei fattori chiave della vicenda delle fondazioni e dell'apprezzamento del loro operare.
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(XII Rapporto Annuale Fondazioni)
Marco Cammelli è Professore Ordinario di Diritto Amministrativo all’Università degli Studi di Bologna, Presidente Commissione per le Attività e i beni culturali dell’Acri e Presidente della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna dal 2005.