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Un contributo di chiarezza sulle Fondazioni d'origine bancaria

  • Pubblicato il: 28/04/2013 - 21:16
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Acri
Giuseppe Guzzetti

L’intenso dibattito sviluppatosi negli ultimi mesi intorno all’assetto e alla governance delle Fondazioni di origine bancaria, basato su informazioni spesso imprecise quando non pienamente fallaci, inducono l’Acri, l’associazione che rappresenta collettivamente queste Fondazioni, a dare un contributo di chiarezza al dibattito. Le Fondazioni di origine bancaria - 88, di diversa dimensione e variamente distribuite sul territorio nazionale (17 nel Nord-ovest; 30 nel Nord-est; 30 nel Centro, 11 nel Sud e Isole) - sono persone giuridiche private senza fini di lucro, indipendenti e autonome che perseguono esclusivamente fini di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico: solo negli ultimi dieci anni (2002-2011) hanno erogato al non profit donazioni filantropiche per 13,5 miliardi di euro, sostenendo arte, cultura, ricerca, formazione, welfare, ambiente, crescita dei territori. Queste Fondazioni sono soggetti che intervengono nel sociale in maniera sussidiaria e non sostitutiva rispetto al pubblico e sono qualificate «bancarie» per la loro derivazione dal processo di trasformazione che negli anni Novanta interessò il sistema bancario nazionale a seguito della legge Amato (legge n. 218/1990). Da allora - epoca in cui avevano l’obbligo giuridico di mantenere il controllo delle relative banche conferitarie – il loro rapporto con le società bancarie si è fortemente ridotto, in parti colare a seguito della cosiddetta riforma Ciampi (legge di delega n. 461 del 23/12/1998 e successivo decreto applicativo n. 153/1999) che ha imposto loro l’obbligo opposto, cioè di dismettere la maggioranza del capitale delle banche. Oggi su 88 Fondazioni 22 non hanno più alcuna partecipazione nella banca originaria, 53 hanno partecipazioni minoritarie in società bancarie conferitarie facenti parte di 15 gruppi bancari, di cui 8 espressione di banche popolari, mentre le altre 13, di minori dimensioni, mantengono una quota di maggioranza, come consentito dalla legge[1], per favorire il mantenimento della presenza sui territori di banche autonome dai grandi gruppi. A marzo 2013 la presenza delle Fondazioni nei 3 maggiori gruppi bancari è pari al 14% in Unicredit (in cui sono presenti 14 Fonda zioni), al 27% in Intesa San Paolo (quota detenuta da 16 Fondazioni), al 34,17% nel Monte dei Paschi di Siena (da parte della omonima Fondazione). A fine 2001, il Governo, con la legge finanziaria per il 2002, legge n. 448/01 (art. 11), apportò profonde modifiche alla riforma «Ciampi», intaccandone l’essenza rappresentata, da un lato, dalla natura privatistica delle Fondazioni, dall’altro, dalla loro autonomia gestionale. Peraltro, l’articolo 11 della legge n. 448/2001 (finanziaria 2002) subì successivamente un radicale ridimensionamento da parte della Magistratura, a cui le Fondazioni si erano rivolte.
A seguito del ricorso delle Fondazioni, il Tar del Lazio ravvisò la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale nel citato art. 11 e dispose (ordinanza n. 803/2003) la remissione degli atti alla Corte Costituzionale. Questa si pronunciò con le sentenze 300 e 301 del 29 settembre 2003, facendo chiarezza sul ruolo e sull’identità delle Fondazioni di origine bancaria, che sono state definitivamente riconosciute come «persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale» collocate a pie no titolo tra i «soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali». In sintesi, nel 2003 la Corte Costituzionale: ha affermato che l’evoluzione legislativa intervenuta dal 1990 ha spezzato quel «vincolo genetico e funzionale», «vincolo che in origine legava l’ente pubblico conferente e la società bancaria, e ha trasformato la natura giuridica del primo (prima ente conferente, oggi Fondazione) in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro (art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 153/99) della cui natura il controllo della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è più elemento caratterizzante»; ha sancito una volta per tutte la natura privata delle Fondazioni di origine bancaria, ribadendo che sono collocate nell’ordinamento civile e che, quindi, la competenza legislativa sulle stesse attiene allo Stato (art. 117, comma secondo, lettera l) della Costituzione); ha dichiarato incostituzionale la prevalenza negli organi di indirizzo delle Fondazioni dei rappresentanti di Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane (cioè gli enti diversi dallo Stato di cui all’art. 114 della Costituzione); ha stabilito al contrario che la prevalenza deve essere assegnata a una qualificata rappresentanza di enti, pubblici e privati, espressivi della realtà locale; ha valutato incostituzionale l’utilizzo di atti amministrativi da parte dell’Autorità di Vigilanza che comprimano indebitamente l’autonomia delle Fondazioni: cioè gli atti di indirizzo di carattere generale o i regolamenti intesi a modificare l’elenco dei settori di utilità sociale (oggi sono 21[2]); ha definito il concetto di controllo congiunto da parte di più Fondazioni presenti contemporaneamente nell’azionariato di una banca, evidenziando che questo sussiste solo se fra di esse c’è un patto di sindacato accertabile.
Con senso di responsabilità, dopo la crisi scoppiata nel 2008, mentre gli investitori istituzionali uscivano dalle banche italiane, le Fondazioni non hanno fatto mancare il proprio sostegno e, quando le Autorità di vigilanza, EBA in testa, hanno chiesto interventi di ricapitalizzazione, esse hanno partecipato a consistenti quanto determinanti aumenti di capitale. In cinque anni, tra il 2008 e il 2011, le Fondazioni hanno partecipato ai rafforzamenti patrimoniali richiesti dalle Autorità di vigilanza, sottoscrivendo gli aumenti di capitale delle banche partecipate per 6,9 miliardi di euro. Ciò è avvenuto in un periodo di forte turbolenza finanziaria in cui gli andamenti di borsa hanno fatto registrare una contrazione delle quotazioni dell’82% e un calo della capitalizzazione, rispetto al Pil, passata dal 23% di fine 2008 al 21% di fine giugno 2012. La presenza delle Fondazioni, dunque, ha consentito alle banche italiane di rafforzarsi e di evitare l’intervento pubblico, come avvenuto in molti altri paesi occidentali, a iniziare dagli Stati Uniti dove dal 2008 sono fallite 406 banche.
Nelle banche le Fondazioni esercitano i diritti economici e amministrativi previsti dal Codice Civile per gli azionisti, non hanno patti di sindacato, né esponenti delle Fondazioni possono essere nominati negli organi delle banche: né di quelle partecipate né delle loro concorrenti. La normativa vigente[3] dispone, infatti, la totale incompatibilità tra gli amministratori delle Fondazioni e gli amministratori delle banche.
In merito, poi, al dibattito se le Fondazioni rappresentino o meno la cinghia di trasmissione per mettere negli organi delle banche i rappresentanti dei partiti, è da sottolineare, oltre alla suddetta incompatibilità, il fatto che non è vero – fatta salva l’eccezione della Fondazione Monte dei Paschi di Siena (che peraltro sta cambiando in questi giorni il proprio statuto) – che gli enti pubblici (Comuni, Province, Regioni) abbiano la maggioranza negli organi delle Fondazioni. La riforma «Ciampi», e in modo ancora più esplicito la sentenza n. 301/2003 della Corte Costituzionale, ha previsto che la componente «pubblica» non debba avere la maggioranza nell’organo di indirizzo delle Fondazioni; anzi, la componente pubblica deve essere minoritaria, spesso largamente minoritaria, in particolare nelle Fondazioni associative. Oggi gli amministratori indicati dagli enti pubblici negli organi di indirizzo delle Fondazioni sono il 29,48% del totale, mentre è più del 50% la componente espressione della cosiddetta società civile.
L’autonomia e la terzietà delle Fondazioni, già prevista dalla legge Ciampi, si rafforzerà ulteriormente con l’adozione della Carta delle Fondazioni varata dal Congresso nazionale dell’Acri, svoltosi a Palermo nel giugno 2012. La sua adozione da parte delle Fondazioni associate all’Acri è volontaria, ma vincolante; tutte le Fondazioni hanno scelto di aderirvi e si stanno adoperando per dare ad essa un seguito entro il 2013. La Carta prevede l’adozione di scelte coerenti a valori condivisi nel campo della governance e accountability, dell’attività istituzionale, della gestione del patrimonio. Riguardo alla governance la Carta delle Fondazioni stabilisce l’incompatibilità tra cariche politiche e incarichi nelle Fondazioni, oltre a misure atte a determinare una discontinuità temporale tra incarico politico svolto e nomina all’interno di uno dei loro organi: una discontinuità che dovrà essere osservata sia in entrata sia in uscita. In merito all’attività istituzionale, la Carta afferma l’esigenza di una gestione orientata da criteri di economicità, efficacia ed efficienza, insieme a parametri definiti per l’individuazione e la selezione delle iniziative da finanziare. Per la gestione del patrimonio, infine, richiede un’attenta pianificazione strategica degli investimenti, secondo criteri di diversificazione e controllo del rischio, in coerenza con l’obiettivo di generare la redditività necessaria per lo svolgimento delle attività istituzionali, dare continuità all’attività erogativa, fornire uno strumento diretto di sostegno a iniziative correlate alle finalità perseguite.
Aderendo alla Carta, le Fondazioni potranno dare ancor più pienezza a quanto già indicato dalla legge «Ciampi», che ha definito la loro natura, i criteri per la gestione dei patrimoni, le attività connesse all’erogazione: tre pilastri fondanti dell’identità delle Fondazioni tuttora validi. L’Acri, l’associazione che rappresenta collettivamente le Fondazioni di origine bancaria, auspica che il Parlamento finalmente approvi la riforma della disciplina delle persone giuridiche private, affinché le Fondazioni di origine bancaria siano naturalmente ricomprese nel corpo unico proprio degli enti non lucrativi di cui al Titolo II del Libro I del Codice Civile, superando così definitivamente la loro specialità giuridica.
Riguardo alla tassazione delle Fondazioni, è da dire che esse sono ottimi contribuenti per lo Stato e per gli Enti locali e che non godono, né hanno mai goduto, di alcuna specifica agevolazione.
Pagano l’imposta sui redditi (Ires) come gli altri soggetti non profit, che ormai raggiunge quasi il livello di quella dei soggetti commerciali; pagano l’imposta sulle attività produttive (Irap); l’imposta municipale sugli immobili (Imu). Riguardo a questa è da precisare che le Fondazioni di origine bancaria l’hanno pagata così come prima l’Ici (nel 2012 oltre 3 milioni di euro) salvo – come tutti i soggetti non commerciali – per quegli immobili destinati ad attività sociali e culturali (l’esonero nel 2012 è stato di circa 600mila euro); peraltro una recente iniziativa legislativa4[4] del Governo Monti ha eliminato per le sole Fondazioni di origine bancaria quest’esenzione, di cui, invece, continuano a godere tutti gli altri soggetti senza fini di lucro. Le Fondazioni di origine bancaria pagano l’Iva, senza alcuna possibilità di recuperarla, e le imposte locali a iniziare dalla Tarsu. Inoltre, sui rendimenti derivanti dagli investimenti finanziari dei loro patrimoni corrispondono allo Stato l’imposta sostitutiva del 20%, così come l’imposta di bollo recentemente aumentata.

[1] Deroga introdotta nel 2003 (art. 4 decreto legge n. 143/2003, convertito nella legge n. 212/2003, che ha sostituito il comma 3 bis dell’art. 25 del decreto legislativo n. 153/99)
[2] D.lgs. 17/5/1999 n. 153, art. 1, comma 1 lettera c-bis: Famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione, incluso l’acquisto di
prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili; prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze; patologie e disturbi psichici e mentali; ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale; arte, attività e beni culturali. A questi si aggiungono: realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità e realizzazione di infrastrutture, a seguito del
d.lgs. 12/4/2006, n.163, art. 153 comma 2 e art.172 comma 6.
[3] D.lgs. 17/5/1999 n. 153, art. 4, lettera g-bis: lettera aggiunta dall’art. 27- quater, comma 1, del decreto legge 24 gennaio 2012, n.1, come integrato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27.
[4] L’art. 9, comma 6-quinquies, della legge n. 213/2012, di conversione del d.l. n. 174/ 2012 ha stabilito che “In ogni caso, l’esenzione dall’imposta sugli immobili disposta dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, non si applica alle fondazioni bancarie di cui al d. lgs. 17 maggio 1999, n. 153”. Pertanto, a partire dal 2013 le
Fondazioni non godranno più della predetta esenzione e pagheranno l’Imu su tutti gli immobili di loro proprietà.

Fonte: Fondazioni, Periodico delle Fondazioni di origine bancaria, Marzo - Aprile 2013 Anno XIV