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Spending review: un'ottima occasione per guardare con intelligenza ai privati

  • Pubblicato il: 21/09/2012 - 01:58
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Fabio Severino
Fabio Severino

Il settore dell'offerta culturale lamenta da troppi anni una costante contrazione delle risorse economiche. Tanto la componente pubblica quanto quella privata accusano la politica di scarsa attenzione verso il settore, destinandovi sempre più esigui finanziamenti, nei migliori dei casi sufficienti alla sola «sopravvivenza» del patrimonio.
Ma siamo sicuri che tali risorse siano veramente così scarse? Siamo sicuri che la collettività abbia l'onere di destinarvi di più? Siamo sicuri che tali risorse – quante esse siano – sono spese bene, nel principio di efficienza ed efficacia?
Purtroppo i monitoraggi della Ragioneria Generale dello Stato ci dicono di no. Tanti capitoli di bilancio rimangono dormienti, non sono e non riescono ad essere spesi, neanche impegnati, è frequente la perenzione. La possibilità offerta agli amministratori pubblici di riallocare le risorse su gestioni future, ha dato l'alibi che sia meglio non spendere piuttosto che farlo male. Fino a quando la politica degli ultimi anni, di ogni colore, resasi conto del costume, ha ritenuto di tagliare nella programmazione DPEF le risorse attribuibili nella consapevolezza che non ci sarebbe poi stata la capacità o la volontà di spesa nei singoli dicasteri.
Purtroppo è qui che io vedo uno dei segnali più forti ed evidenti dell'invecchiamento del paese: nella sua incapacità di immaginare, di progettare un futuro. In un libro per bambini ho letto la differenza tra «magia» e «fantasia». La prima è quando si illude di poter cambiare la realtà. La fantasia invece è la capacità di guardare la realtà con occhi diversi e trovare ciò che gli altri non sanno vedere. L'Italia da troppo tempo a questa parte è stata governata, ad ogni livello, per lo più da maghi, che non sapendo che fare e spesso disonestamente, hanno illuso gli italiani e ancor peggio i propri elettori.
Invece l'Italia ha bisogno in questo momento di fantasia, per poter ricredere in sé, per ritornare a sentirsi un futuro e decidere quale possa essere il migliore. L'amministrazione pubblica è stata prosciugata negli ultimi anni del precedente diluvio di denaro sicuramente insostenibile e spesso anche sprecato. Adesso serve solo la fantasia per poter vedere al di là del muro della malinconia (per un'agiatezza immotivata e insostenibile). Dobbiamo progettarci un futuro solido, basato su certezze e un rapporto tra pubblico e privato, tra sistema e individui che sia equilibrato, costruttivo.
La mancanza di fantasia si traduce nella povertà e pochezza di idee, nella inconsapevolezza dei bisogni sociali e collettivi, nell'inadeguatezza delle persone a tenere il timone.
Siamo in un'evidente rottura. Sicuramente formare e riformare chi amministra le risorse e i servizi pubblici è indispensabile ma richiede del tempo. Ne abbiamo? Ogni anno i finanziamenti pubblici ad ogni genere di servizio alle persone e alle imprese viene ridotto. La risposta è l'irrigidimento amministrativo, il centellinamento di ogni azione. Sempre all'interno di un non-progetto.
I dati di bilancio dello Stato mettono risorse sulla cultura con una proporzione di nove a uno tra conservazione e promozione. Su stanziamenti iniziali di competenza Legge di bilancio 2012 relativi a «Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici» pari a 1,2 mld di euro, alla valorizzazione del patrimonio sono destinati solo 8 mln! Questa suddivisione è sintomatica di ciò che gli amministratori si aspettano dal e del futuro.
Una spinta dal basso, da chi lavora negli uffici, dai dirigenti agli impiegati, sarebbe spesso sufficiente a fare meglio  - e le tante buone pratiche di cui è costellata l'amministrazione pubblica sia centrale che locale ne è la dimostrazione più vera e tangibile.
Però io credo che considerata la gravità della situazione sociale, dello spreco di risorse, dell'inefficienza della macchina amministrativa, dell'inefficacia di quel poco che essa offre rispetto alle esigenze della popolazione, forse andrebbe ripensato il ruolo dello Stato. In un mio recente libro riepilogo i tre ruoli abituali delle politiche pubbliche per la cultura: la regolamentazione di diritti e doveri per domanda e offerta; il finanziamento, diretto e indiretto attraverso defiscalizzazione; la gestione. Ritengo che l'ultima andrebbe fortemente ridimensionata, come sta avvenendo in gran parte dei paesi moderni, mentre bisognerebbe rafforzare finanziamento e regolamentazione. Responsabilizzare e finanziare i privati nella tutela del patrimonio secondo regole puntuali, sempre sotto osservazione, con punizioni molto costose. Lo Stato deve porre le condizioni giuridiche e di mercato per la diffusione e valorizzazione della cultura. L'impresa privata non potendosi permettere spreco di risorse lavora con le persone migliori per fare ciò che il pubblico si aspetta ed è disposto a pagare per l'accesso e l'uso. Le politiche pubbliche dovrebbero garantire la conservazione e la tutela, le più ampie possibilità di accesso, il tramandarsi della memoria. Organizzarsi per farlo da soli mi sembra che non sia riuscito, prima che lo si impari, ammesso che questo possa avvenire e sia giusto che avvenga, bisogna reagire, progettare il futuro, avere fantasia.

Fabio Severino è Vicepresidente di Associazione per l'Economia della Cultura, docente di Economia e gestione delle imprese culturali e vicedirettore del Master in Digital Heritage presso l'Università La Sapienza di Roma

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