Ré-évolution a Rivoli
Rivoli. Al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea si accende una riflessione sul ruolo del museo contemporaneo in rapporto al territorio. A innescarla è «L’art pour une ré-évolution urbaine»; progetto, concepito da Michelangelo Pistoletto con la Fondazione Cittadellarte per la dodicesima edizione di EVENTO (Biennale d’arte contemporanea di Bordeaux, 6-16 ottobre 2011), presentato in occasione del Festival Architettura in Città. L’operazione inserita in una maratona di tre giorni, denominata «Il museo di presenta», consentirà di ripercorrere la forza e la densità progettuale sviluppata dal Castello di Rivoli intra ed extra moenia, portando le idee dell’arte nelle scuole e nelle piazze, nella piena consapevolezza che «educare è un fatto politico».
Per tradurre il suo concetto e mobilitare la collettività nell’immaginare il futuro con il «progetto radice», che parte dalla prossimità, Pistoletto ha coinvolto a Bordeaux diversi artisti in campi interdisciplinari, musei come il Van Abbenmuseum di Eindhoven, best practice in progetti di trasformazione sociale partecipata e il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli. Quest’ultimo, già selezionato dal Centre Pompidou per le celebrazioni dei suoi 30 anni di attività, svilupperà a Bordeaux il programma educativo «La Ville en Commun».
L’avvio dei lavori a Rivoli avviene in una data simbolica come il 14 luglio, intorno al tavolo-opera di Goshka Macuga, con la presenza «extra-ordinaria» di un numeroso ed eterogeneo pubblico di intellettuali, operatori culturali e amministratori pubblici che si confrontano su ragion d’essere, strategie e sostenibilità delle istituzioni culturali. Oltre agli artisti Michelangelo Pistoletto e Piero Gilardi, figuravano tra gli altri l’architetto Andrea Bruno, «padre» del restauro dell’incompiuto, Patrizia Brusarosco di ViaFarini, Paola Pacetti del Museo dei Ragazzi di Palazzo Vecchio e gli assessori alla cultura delle Province di Torino e Cuneo.
Partendo dalla missione originaria del Castello di Rivoli di «portare il centro in periferia e la periferia al centro dell’Europa», il museo d’arte viene ripensato: da luogo di celebrazione di riti per una casta, come avrebbe detto Paul Valery, a struttura in costante dialogo con le istanze sociali. Un «luogo in cui le persone non si contano, ma contano», uno spazio pubblico poroso verso la comunità, per favorire la socialità e l’integrazione. «La ricerca del museo non termina con il processo di cristallizzazione della mostra - afferma Gabi Scardi - la collezione è strumento e la funzione educativa, nell’accezione etimologica e nel suo portato politico, da ancillare diventa portante». Lezioni di museografia tradotte in pratica già da tempo nelle realtà anglosassoni, ma poco interiorizzate dalle istituzioni italiane, ancora molto concentrate sull’evento e sulla mostra.
«Il museo di presenta», che ha accolto il pubblico in una festa gastronomica con prodotti omaggiati dalle diverse comunità con le quali il museo è in relazione, è palesemente una risposta con i fatti, alle pesanti considerazioni mosse dagli Assessori al Bilancio e alla Cultura regionali sull’efficacia della nuova gestione del Museo, rispetto all’assorbimento di risorse e alle perplessità di ordine strategico sul futuro.
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