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Politiche culturali comparate Italia-Francia: «copiare» non è mai stato così facile, ma occorrono creatività e spirito critico

  • Pubblicato il: 15/02/2018 - 08:07
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Valentina Montalto

Una ricerca recentemente condotta da un gruppo di studenti di varie università e scuole francesi per conto dell’ADIEF (Association des dirigeants italiens en France – Associazione dei dirigenti italiani in Francia) mette a confronto le politiche culturali della Francia e dell’Italia. Vari i punti emulazione reciproca proposti, dalla nuova procedura di selezione internazionale per i direttori dei 20 principali musei italiani a modalità innovative di raccolta fondi seguendo l’esempio del Louvre.


In assenza di un investimento « standard »  in cultura - valido per tutti - città, regioni e paesi non smettono di osservarsi l’uno l’altro per capire cosa fanno bene e cosa possono fare meglio, magari prendendo ispirazione dal proprio vicino. È per questo che trovo particolarmente interessanti i tentativi di analisi comparata, come quella recentemente condotta da un gruppo di studenti di varie università e scuole francesi per conto dell’ADIEF (Association des dirigeants italiens en France – Associazione dei dirigenti italiani in Francia) – a proposito delle politiche culturali della Francia e dell’Italia.  

Il volume si divide in tre parti: la prima, più breve, propone una valutazione quantitativa della cultura, sia in termini di infrastrutture disponibili nei due paesi che di contributo all’economia. Non sorprenderà il fatto che, se da un lato, l’Italia registra una netta prevalenza di musei (4588) e di siti UNESCO (47) rispetto alla Francia (che ne recensisce rispettivamente 1200 e 37), è la Francia a registrare il maggior numero di conservatori pubblici (448 vs. 78 in Italia), teatri (1059 vs. 279 in Italia) e cinema (2020 vs. 921 in Italia). L’analisi qualitativa di questi dati suggerisce una copertura territoriale importante in entrambi paesi, fatta eccezione di alcune aree a forte concentrazione come la regione di Parigi (Ile de France) per la Francia e le città di Roma, Firenze e Venezia per l’Italia. È tipica della Francia, però, una maggiore attenzione all’arte contemporanea grazie alla presenza di 23 Fonds d’art contemporain e di una cinquantina di centri d’arte contemporanea ripartiti sul territorio. A totalizzare maggiori entrate provenienti dal turismo culturale è invece l’Italia con una spesa turistica dedicata alla visita di siti artistici e culturali stimata a 13 miliardi di euro (o 37% della spesa totale) contro i 2,3 miliardi di euro (1,6%) in Francia. Non essendo però menzionate le fonti di questi dati, è difficile valutarne il livello di comparabilità. 

La seconda parte entra nel merito delle politiche culturali. Se la Francia si caratterizza per un modello di gestione fortemente centralizzato, le recenti evoluzioni del modello italiano combinano invece decentralizzazione, gestione autonoma di alcune strutture museali e regionalismo. Trovo molto interessante il focus sul Louvre e la sua ricerca attiva di fondi esterni, nonostante si tratti di un museo pubblico finanziato in maniera importante dal governo centrale. Il Louvre è stato il primo museo francese ad aver creato un fondo di dotazione già nel 2009. Si tratta di una struttura di diritto privato che permette di assegnare in maniera irrevocabile dei beni per realizzare una missione o un’opera di interesse generale. È grazie a questo fondo, per esempio, che il museo ha potuto capitalizzare il marchio Louvre-Abu Dhabi. Si tratta di un’esperienza che potrebbe senz’altro ispirare i musei italiani in costante ricerca di nuove risorse - come suggeriscono gli stessi autori dello studio. Tuttavia, un’operazione del genere richiederebbe che l’Italia approcciasse il patrimonio secondo una logica di investimento e non di mera conservazione o valorizzazione. Passaggio tutt’altro che banale. Dal lato italiano, viene invece considerata particolarmente meritoria e degna di emulazione l’introduzione della nuova procedura di selezione internazionale per i direttori dei 20 principali musei italiani da parte del Ministro Franceschini – evidentemente più apprezzata dall’estero che in Italia.

L’ultima parte tocca un tema chiave per il futuro del patrimonio culturale - la collaborazione pubblico-privato – su cui entrambi i paesi hanno in generale bisogno di lavorare per trovare il giusto equilibrio tra controllo di qualità e ricavi. La Francia sembra però aver introdotto incentivi fiscali per i privati già negli anni ’60, mentre l’Italia ha iniziato negli anni ’90 modernizzando solo di recente la legislazione in merito con l’attivazione dell’Art Bonus. La crisi ha ovviamente avuto un forte impatto negativo sul mecenatismo d’impresa ai due lati delle Alpi, ma i primi risultati dell’Art Bonus combinati a una lenta ma continua ripresa dell’economia lasciano ben sperare. Resta certamente da contrastare una cultura del dono ancora poco diffusa in Italia e la mancata sperimentazione di modelli innovativi, come il crowdfunding, di cui si è fatto (ancora una volta) pioniere il Louvre. I filantropi del museo, su sollecitazione del Louvre e spesso con il supporto dall’associazione Amis du Louvre, sono soliti mobilitarsi per raccogliere la somma necessaria a raggiungere un obiettivo preciso, per esempio l’acquisto di un’opera per il museo. È così per esempio che il Louvre è riuscito ad acquistare una scultura del valore di 5,5 milioni di euro nel 2015, superando del 12% la somma che i filantropi avevano inizialmente stabilito di raccogliere.         

Le pratiche altrui non saranno mai completamente replicabili, ma la grandissima disponibilità di informazione che caratterizza i nostri giorni offre moltissimi spunti, forse più di quanto siamo disposti ad ammettere, a patto di approcciare il mondo con curiosità, apertura e spirito innovativo. Ormai non è più un segreto: un certo modo di copiare è alla base di qualsiasi processo creativo. E le politiche culturali di creatività hanno un gran bisogno. Le azioni e le riforme di questi ultimi anni sono senz’altro di buon auspicio ma dovremmo essere in grado, da un lato, di dare un po’ più di tempo (e fiducia!) agli approcci innovativi proposti e, dall’altro, cercare di capire come continuare e migliorare - ove necessario - il lavoro di questi anni, avendo più pazienza e senso critico quanto alla valutazione di risultati e impatti. Il nuovo governo avrà delle belle sfide da affrontare. Ci si augura almeno che quanto fatto finora non venga perso e che l’Italia continuerà ad ispirare (e a farsi ispirare) per lo sviluppo di politiche che vedano nella cultura un’opportunità di investimento con ritorni sia economici che sociali, e non un mero oggetto di conservazione ideologica.
 
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