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PARCO ARTE VIVENTE. 10 ANNI DA SPECIE PIONIERA DEL TERZO PAESAGGIO CULTURALE

  • Pubblicato il: 18/05/2018 - 08:00
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Amerigo Nutolo

Il Parco Arte Vivente fa dieci anni. Con il Direttore, Enrico Bonanate, diamo luce a ciò che cresce in questa serra (ispirata dalla visione di Piero Gilardi) semenzaio di relazioni, gesti creativi e riflessioni collettive in grado di attirare e attivare persone d’ogni provenienza culturale, geografica, di diffondersi fra i torinesi e fra terre tra loro lontane. I dieci anni di apertura del centro d'arte contemporanea, dal 4 maggio, si celebrano con la mostra collettiva The God-Trick, curata da Marco Scotini, e col simposio Antropocene, crisi ecologica e potenzialità trasformative dell’arte. PAV fa specie istituzionale a sé, da osservare per la capacità adattiva e il ruolo di pioniera di nuovi habitat culturali e di condivisione di pratiche sociali. Forse, grazie al loro modello, l’equilibrio dinamico naturale fra le specie viventi, più resistenti e sostenibili.


Il Parco Arte Vivente nasce dieci anni fa, ma il concepimento risale a inizio millennio, quando la visione di Piero Gilardi si fa semenzaio di contributi umani e forze intellettuali intese a sciogliere i nodi dovuti al sovrapporsi e intricarsi di rapporti ecologici, produttivi, di consumo e rappresentazione del tardo capitalismo, torinese e non. PAV risponde rigenerando lo scambio simbolico per influire sul mondo e il modo in cui le persone vi agiscono: le esposizioni temporanee che toccano questi aspetti, e le Attività Educative e Formative (Orietta Brombin), nel tempo, assumono ruoli centrali nello sviluppo di nuove forme di coinvolgimento del pubblico. PAV sposta fin dall’inizio il suo programma oltre i must divulgativi delle scienze naturali e ambientali, integrandole al piano artistico ed ecologico-relazionale, alla promozione di buone pratiche e alla presa di coscienza del proprio ambiente da parte di chi – in ogni fase dell’attività di PAV – fruisce e produce gesti collettivi di valore simbolico pubblico.
 
 
I parchi nati dall’esproprio di riserve e giardini aristocratici, dopo le rivoluzioni del ‘700-’800, emblemi elitari del controllo umano della natura, sono immagine ribaltata di PAV, che fa riappropriare la natura di spazi ex-dominio dell’industria meccanica, facendone una fabbrica pubblica di dispositivi naturali e culturali, esperienziali, per la sua liberazione. L’estensione artificiale del naturale, visibile in Bioma, cuore tecnologico di PAV, o nei Tappeti, in PAV costruisce un suo habitat. Qui ogni gesto culturale è allo stato brado, protetto dall’inserimento in gabbie istituzionali, recinti espositivi o formativi: resta, vivente, fra le mani dello spettatore, che vi è accompagnato e spesso collabora a produrlo, sentendosi parte di un unico mondo da tutelare, osservare, imitare, in cui interagire, in una dialettica della natura capace di sviluppare convivenza, un’organizzazione fra specie così interdipendenti da essere risorsa, ognuna, per l’equilibrio comune – al di là di differenze e rapporti di forza.
 
 
PAV apre, nel 2008, dopo una lunga gestazione progettuale, compiuta attraverso momenti pubblici e in associazione (acPAV, 2004), col concorso di tutte le amministrazioni locali, delle fondazioni bancarie (CRT e Compagnia di San Paolo) e di privati: apre le porte del suo – premiato – anello-serra sostenibile in linea con le pratiche bioedilizie e i criteri di massima reversibilità, autonomia energetica, minimo impatto. Caduta l’ipotesi Basse di Stura, per via di precedenti funzioni di discarica industriale, e le altre ventilate, Gilardi e Fiorenzo Alfieri, assessore promotore del PAV (col paesaggista Gianluca Cosmacini che ha seguito i primi passi di PAV nel percorso di ridefinizione del sito e ha progettato l’edificio con il collega architetto Alessandro Fassi), erano giunti all’ipotesi definitiva, nel 2004, sviluppando in diversi luoghi della città, intanto, il progetto e le attività laboratoriali e artistiche. La prima presa di possesso avviene con la donazione alla città di Trèfle di Dominique Gonzalez-Foerster (2006) e la realizzazione in situ dell’opera (grazie al contributo di Compagnia di San Paolo): dovendo restare attivo a lungo senza una sede, chiuse le Olimpiadi invernali 2006, al PAV è concessa Casa Canada (British Columbia House), per esposizioni (anche dell’interattiva Bioma) e laboratori in centro città.
 
 
“Il nostro decennale formalmente cade il primo novembre, ma viviamo l’intero anno come una festa.”, ci dice il direttore Enrico Bonanate. “Nel 2008, Torino era la città italiana più riconosciuta nel mondo per l’arte contemporanea – Artissima, Luci d’Artista, Castello di Rivoli, chiavi del livello internazionale, e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, esempio di continua crescita a differenza di altri soggetti, decresciuti anche per la riduzione costante di fondi pubblici.” L’avviamento di PAV, in piena crisi internazionale della finanza, affonda le radici fra le macerie delle periferie post-industriali, e le crepe dei bilanci post-olimpici. “Nel 2004 l’associazione nasce in un’area periferica, con tematiche forse all’epoca considerate di nicchia, e ha uno start-up che dura fino al 2008. Ora tutto s’è consolidato. Le idee di partenza necessitavano di sedimentazione: PAV doveva capire e essere capito, a livello urbano ed artistico, e superare, a livello politico-amministrativo, una resistenza a inquadrare il progetto per ciò che era realmente. Il mondo istituzionale e delle fondazioni bancarie ci è stato vicino: appena nati, eravamo parte di sistemi di rete importanti – Resò, ZonArte – con Fondazione CRT, che nell’ambito ha un ruolo strategico, o con l’enorme sostegno di Compagnia di San Paolo, che han sempre guardato a noi come a un soggetto importante del territorio: luogo di scambio, di relazione, incontro, mediazione, che racconta dinamiche quotidiane di consapevolezza ambientale, con il medium artistico. Un’arte che ogni giorno racconta qualcosa e, anche, che parla di temi artistici a chi di arte non ha mai saputo nulla.”
 
 
Bonanate spiega il successo della messa a dimora di PAV: “S’è consolidato per la qualità dei progetti – guardi dieci anni di attività espositiva, didattica, e vedi un filo logico, senza punto d’arrivo, coerente, interessante – e per l’ambito in cui è inserito – che potevi raccontare, di cui all’inizio non c’era nulla, neppure le piante, e che oggi vedi, puoi respirare, andarci in giro scalzo, se vuoi: è l’unico posto in città in cui puoi farlo, è un Eden a livello di pulizia e manutenzione, un progetto simbolico che tocchi con mano. Te lo ricordi negli anni, e vedi l’enorme trasformazione: il progetto s’è affermato realizzando ciò che diceva.” Diventando ciò che racconta, PAV ha portato le persone sul suo terreno simbolico, sistema relazionale, le ha seguite in iniziative per residenti, scuole, in ambito sociale, istituzionale, radicandosi, ramificandosi, lentamente, solidamente (nonostante le intense potature e la riduzione dello staff da 14 a 7 dipendenti, con impatti sui suoi equilibri e lo stress per conservare la stessa capacità produttiva). PAV ha conservato dimensioni adatte al tempo e alla scarsità di nutrienti: istituzione vivente, di dimensione inusuale, strategica per quest’epoca, piccola abbastanza da metabolizzare i cambiamenti meglio dei parenti musei; esposta ma grande tanto da confrontarsi e interagire con le specie che la circondano, a livello sociale e culturale, venendone riconosciuta e permettendogli di riconoscersi; in rapporto di mutualismo con specie analoghe, di altri livelli, ciò ha permesso a PAV di procurarsi agenti nutritivi, l’humus per sopravvivere. Pioniera del nuovo paesaggio di transizione culturale, modello di resistenza e capacità adattiva, senza miti di resilienza, Bonanate ricorda che il seme di PAV si è nutrito del frutto da cui arrivava: “A questo consolidamento han contribuito l’attenzione crescente della critica, in questi anni, per il lavoro di Gilardi, e il percorso, a esso vicino, intrapreso con Marco Scotini.” [Nel 2012 nasce anche la Fondazione Centro Studi Piero Gilardi, per promuoverne l’opera ndr]
 
 
Dal punto di vista auto-valutativo, PAV, confrontandosi col consolidamento della sua missione in città, prevede sviluppi lineari all’interno della propria programmazione “Le curve dei contributi pubblici e del consolidamento procedono in senso opposto, inverso, s’incrociano: con un terzo delle risorse del 2008 proseguiamo su una strada di qualità crescente.” Il cambiamento epocale è sul piano tematico e comunicativo: l’Antropocene, tema su cui PAV assumerà, già dal convegno, imminente, del 4/5 maggio, un approccio critico-analitico. “Si capirà l’impronta che l’uomo sta lasciando in questa era, la storia di quest’impatto: la prima parte è affidata a chi darà, attraverso i dati, un racconto, un’interpretazione analitica e storica della posizione dell’uomo nel suo ambiente. Luca Mercalli, Serenella Jovino, Stefano Mancuso, Serge Latouche – filosofi, storici, sociologi – aiuteranno, con contributi che superano i suoi confini, anche a capire quale può essere il ruolo dell’arte – argomento centrale del convegno. La seconda sessione vedrà al centro il contributo dei critici e riguarderà le possibilità trasformative dell’arte: come si può cambiare la mentalità del pianeta, di tutti i suoi abitanti, dal punto di vista dell’ambiente. La terza parte sarà una plenaria partecipata dagli artisti, su come immaginare dinamiche simboliche in grado di rappresentare, per un’ampia platea di persone, possibilità alternative.”
 
 
A due passi, Forêt de balais di Michel Blazy (già alla scorsa Biennale di Venezia): dozzine di scope di saggina,  sorgo, dagli steli allo stato semi-grezzo, piantate nel terreno a rigermogliare e proteggere altri semi. Un’installazione che spazza via l’idea che ciò che ci circonda non appartenga al ciclo di vita di cui facciamo parte. Ci siamo affacciati, poi, negli spazi interni di PAV, a una delle altre opere importanti di The God-Trick, mostra collettiva curata da Marco Scotini che inaugurerà sempre il 4 maggio: il Labirinto antropocenico di Gilardi. Un’anticamera a proiezione immersiva con immagini delle attuali catastrofi naturali, cui seguono cinque stazioni su cinque possibili buone pratiche per orientarsi e superare l’impasse ecologica.
L’esercizio di buone pratiche, soprattutto legate all’ambito dei consumi, una sfera d’azioni semplici con premesse e conseguenze complesse, è la vera leva di possibili cambiamenti. Qual è l’incidenza di PAV e dell’arte su queste pratiche? “In una società deideologizzata, spersonalizzata, comandata da pochi”, per Bonanate “è necessaria una rivoluzione delle piccole aggregazioni, che sappiano riunirsi in movimenti, organizzarsi attorno ai temi centrali (l’ambiente, la sostenibilità, l’uso delle risorse) e sciogliere le posizioni dominanti. Il sogno è che PAV diventi centro di aggregazione su queste tematiche, per portarle fuori. Facciamo il punto, ora, sulle pratiche ambientali dal punto di vista artistico (spesso, qui, partecipative): esse dovrebbero raggiungere forza comunicativa e attrattiva tali da svegliare le coscienze e fare di PAV il centro di diffusione di quel messaggio. Così riusciremmo a rappresentarci, e rappresentare queste coscienze, con maggior potere, e autorevolezza.” La capacità di organizzazione s’allena nelle palestre di consenso delle realtà locali, dove istituzioni e soggetti intermedi hanno il compito di creare lo sfondo adeguato affinché nuove azioni possano prodursi nei singoli, facendogli intravedere prospettive di cambiamento, stimolandone l’impegno. Ma a sentire Bonanate si ha il dubbio che si voglia scaricare sugli artisti il peso di questo ruolo: PAV gli ha riservato la terza sessione, dandogli carta bianca, senza griglie prefissate di setting, issue, metodologie. Imprinting di Gilardi, l’agire comune, micro-emotivo, la presenza interattiva, è radice dell’operare creativo e performativo della vita stessa.
“E’ scelta di chi gestisce (in varie forme) il potere, fare in modo che buoni esempi sparsi non abbiano possibilità di superare le soglie di accesso indispensabili per contrapporsi loro con adeguata potenza.” ma Bonanate non lascia né ai soli artisti né all’algoritmo o alle leggi di visibilità e di mercato, il compito di rimuovere l’ostacolo: “Noi, come soggetto catalizzatore, giochiamo il nostro ruolo in questa presa di coscienza dal basso. Il punto di partenza resta la capacità di generare consapevolezza di un’identità e eguale dignità dei viventi, delle diverse parti della natura.”
 
 
Si può leggere PAV in filigrana del suo rapporto col diritto: dall’origine edilizia nel quadro degli oneri urbanistici corrisposti alla Città per l’adiacente complesso residenziale, a quando PAV era ancora un progetto in “serra” come ricorda la primitiva Colonizzazione_01 di Caretto/Spagna e il dono alla città dell’opera Trèfle di Gonzalez-Foerster fissò un’area inamovibile, bene artistico d’interesse pubblico che gode di vincoli di protezione dell’ordinamento giuridico; fino a chiudere il cerchio nel percorso del 2011 che porta a New Alliances (Critical Art Ensemble), dove l’alleanza fra uomo e pianta, come provocazione, sfociò nella semina in stile guerrilla gardening di specie di fiori a rischio estinzione, protette, in aree a rischio urbanistico di speculazione edilizia, al potenziale scopo di renderle tutelabili e inutilizzabili. Il piano del diritto, dei valori condivisi e dei simboli si intrecciano continuamente.
 
A livello di quartiere Bonanate spiega la posizione di PAV rispetto al bando periferie AxTo: “Il bando prevedeva tassativamente un cofinanziamento del progetto, impossibile per il nostro bilancio, inoltre assumere due addetti fissi alla mediazione culturale e sorveglianza, per garantire l’uso condiviso di parte del PAV come parco giochi, non ci permette di raggiungere l’obiettivo.” La rivendicazione privata (di parte degli abitanti dei caseggiati vicini) di spazi giardino attrezzati sul suolo del PAV, rimuove il fatto che l’effetto degli oneri compensativi legati ai loro edifici è stato moltiplicato, con PAV, a beneficio della città, rispetto alla generica destinazione urbanistica iniziale, e che gli oneri avrebbero potuto essere spesi fuori zona. Ma PAV, attento verso i vicini di casa, concede già loro il tesseramento speciale permanente e ne accoglie la richiesta. Il PAV, per Bonanate, “è anche dei vicini, perché, anzitutto, è un bene comune che va preservato nella sua funzione specifica. Ci sono tradizionali aree giochi a un centinaio di metri, ma se abbiamo acconsentito a creare un’area interna a uso giochi, di cui però non possiamo anche sostenere le spese, non possiamo acconsentire che l’area perde la natura del progetto originale che è museale [e per le sue specificità è forse ancora più adeguata ai bambini ndr]. Si troverà una soluzione. Bisognerebbe attuare collaborazioni che prevedano la creazione di contesti di lavoro e formazione, di monte ore ridotti rispetto agli standard dei contratti nazionali, con giovani e studenti (in accordi strutturati con le università), senza sfruttamento o spreco di denaro pubblico in forme d’impiego passive. Creare posizioni il cui valore stia nella preparazione allo svolgimento di ruoli d’intermediazione culturale può generare percorsi a cui PAV collaborerebbe con contenuti, esperienze e risorse culturali proprie”. La predisposizione dell’area è iniziata lo scorso anno. A differenza di San Salvario, con cui è stata fusa in circoscrizione, la zona del PAV è meno e da poco abitata, e il senso dei suoi confini civici, in assenza di solide culture di quartiere, è più labile: gli abitanti, non ancora coesi, si rapportano a ciò che è pubblico, in modo oscillante: in modo proattivo o nella forma strumentale e passiva di destinatari di servizi. A livello di quartiere, il PAV assume una funzione di pioniere per la rigenerazione di una cultura che stimoli un approccio alla cura, congiunta e negoziata fra le diverse parti della città, della cosa pubblica e del bene comune.
 
 
Sul piano educativo l’esperienza delle attività formative, le centinaia di workshop e laboratori, con target adulti ed estranei all’ambito artistico anche, new media e progetti di rete come ZonArte, giunti a pubblicazioni di sintesi, si confronta con una struttura, in PAV, non abbastanza articolata da poter entrare in modo organico nel mondo della scuola e sopperire alle sue mancanze o raccoglierne le potenzialità nascoste, anche come regolatore delle periferie.
Incide sui comportamenti sociali, PAV, entro i limiti dell’arte: fa uso ristretto della tecnologia e lascia scoperto un campo su cui il fondatore fu attivo in senso creativo e ludico, nel sogno di un riscatto e di un ideale ricongiungimento con la natura stessa. I Tappeti natura, le Macchine per il futuro, meraviglie neo-barocche di Gilardi, come Inverosimile, ne promuovevano e esaltavano la funzione equilibratrice. Bonanate dice che in posizioni più recenti l’artista esprime consapevolezza del ruolo disarmonizzante delle tecnologie e, inoltre, la scala di spesa, l’impegno di progetti in tale campo, assorbirebbero energie indisponibili senza allargare le maglie dell’organico: “Si sta verificando, per Gilardi, contro le speranze iniziali, qualcosa che considera una sciagura: l’idea di trasferire l’importanza dell’uomo all’importanza della macchina, porta l’uomo a divenire sempre meno importante e a una tecnologia che si sostituisce all’uomo, anziché essere strumento nelle sue mani. Ne conferma lo sfruttamento, anziché liberarlo… Senza inseguire il mondo digitale, ci poniamo come interfaccia critica: nell’opera in mostra, Nomeda e Gediminas Urbonas si concentrano sul ruolo che le tecnologie rivestono oggi.” E intanto PAV punta ai progetti naturali: in questi giorni s’è scaldato il Focolare (il progetto di forno collettivo in terra cruda all’aperto per il pane) con Eataly e Slow Food, e si procede sulla via del miele urbano con il progetto TOBEE in collaborazione con la Fondazione per la Scuola della Compagnia San Paolo; la primavera, poi, consente la ripresa di attività di coltivazione e produzione: la Libera Scuola del Giardino. Cita molti progetti legati alla coltivazione, Bonanate, e si augura di ampliare e articolarne le collaborazioni. “Per PAV, è difficile in queste condizioni intercettare nuove risorse: si fa sempre, simultaneamente, moltissimo” dice Bonanate ”Quest’anno s’è puntato a esternalizzare la comunicazione a un ufficio stampa molto noto, per rendere PAV più individuabile, visibile nel panorama culturale, e valorizzarne la capacità attrattiva, di stare sul pezzo rispetto alle tematiche d’oggi, raggiungendo anche potenziali investitori. Finora non s’è sfruttata pienamente la potenza d’immagine di PAV e si sono fatte rinunce rispetto a offerte di partnership commerciali non incoerenti con la natura del progetto. Ora le cose andranno in altro modo: abbiamo condiviso, col team di PAV, la necessità di aprirci e trarre beneficio dalle occasioni compatibili che incontreremo per garantire lo sviluppo che meritiamo. Sono i privati che hanno le idee chiare su chi siamo che si fanno avanti. Il 2019 sarà un anno di svolta.”
 
 
PAV cerca interlocutori interessati a discutere e costruire assieme i progetti, più che erogazioni su bando: per attivare le partnership e garantirsi una sostenibilità effettiva e una spendibilità si deve investire però sull’elemento indispensabile: lo spazio. Al momento PAV non dispone di uno spazio chiuso per manifestazioni fino a 200 persone, espositive o di autofinanziamento, e sarebbe utile provvedere ad una struttura adeguata allo scopo – se sul suolo attuale, da erigere secondo i sacri crismi dell’edilizia leggera e sostenibile di PAV – più capiente dell’attuale “metratura al coperto da abitazione borghese di cui PAV gode, su 23.000 mq di superficie totali”. Per il direttore, serve a guardarsi attorno finalmente a 360°, respirare e acquisire maggiore autonomia di spesa. Altrimenti anche le pratiche di auto-organizzazione locale, che possono rendere PAV uno strumento importante di cambiamento, non hanno prospettiva. Messi nelle giuste condizioni si può lavorare a co-produzioni con altri spazi espositivi. Per Bonanate, PAV è una macchina snella, e consuma poco rispetto ad altre strutture, in confronto alle quali con meno riesce a fare di più. Come segnalato su queste pagine nel recente dibattito sulla stagnazione e la paranoia dimagrante del terzo settore, l’efficienza non va confusa con un’anoressia indotta della struttura organizzativa, che al PAV, proprio perché funziona, va articolata, nutrita, messa in condizione di trovare altre risorse, con investimenti mirati a abilitarla maggiormente, e a buon rendere. I tempi dei sogni antropo-selvatici del Biotope/Immigration per dare spazio alle lucciole, di Francesco Mariotti, o della First Curated Forest che l’avrebbe ospitato, ispirata da Nicolas Bourriaud, sembrano lontanissimi. C’è più, in questa fase di PAV, l’eco dei video africani di Uriel Orlow, esibiti da poco: fra la ricostruzione di un giudizio contro uno sciamano accusato (al fine di inibirne l’attività) di non essere tale perché operante anche cono composti di sintesi occidentali oltre che con soluzioni naturali tradizionali, e il re-enacting dell’esperienza di negoziazione collettiva sulla possibilità o meno di consentire a ditte occidentali, per finalità industriali, l’impiego di specie vegetali il cui principio attivo è stato scoperto dalla comunità indigena – in cambio di sostegni e contributi utili alla tutela del territorio, benché legati ai ricavi di un mercato del benessere a cui da sola non può neppure affacciarsi. Rispetto alle prime, più liriche, queste sono metafore più vicine del compromesso e della lotta che si fa per difendere il proprio ruolo e la propria specificità culturale. Contaminarsi è vincente se garantisce continuità e protezione e se si resiste alla perdita d’identità che la pressione di specie più forti porta con sé. Per Bonanate “gli anni dell’assessorato alla cultura di Maurizio Braccialarghe (sotto Fassino) hanno avuto un ruolo nel cambiamento della città: con la sua guida di stampo manageriale, si è dato impulso all’attrattività turistica della città lavorando su offerte di livello diversificato.” Bonanate rivendica la bontà di quest’apporto commerciale anche se lamenta “la brevità delle permanenze”, come a Venezia. Ma se Venezia è la dimostrazione del peso erosivo di scelte mono-settoriali che una volta innescate, tanto più nel guscio vuoto di una one company town, non garantiscono alcuna possibilità di gestione, Bonanate dice: “Fondamentale è non perdere la vivacità ereditata dalle scelte passate. Oggi si può superare l’opposizione tra popolare e qualificato, spingendo realtà come PAV a generare di più e meglio nel proprio ambito, riconoscendone la capacità di produrre risorse (privata, associativa) e valorizzandone le potenzialità inespresse. Serve attuare una tutela della dignità lavorativa che si spende in realtà come PAV.”
 
 
Tutto questo ci deve ricordare il monito del Jardin Mandala di Gilles Clément: il suo tetto di piante che sopravvivono senza cure, in terreni aridi, disposte in geometrie variabili, in moto perenne, in grado di mischiarsi nel tempo, di variare posizioni e disegno iniziali per giungere allo stato compiuto: la natura nel suo equilibrio dinamico. La qualità di PAV sta nel sapersi proiettare verso il proprio destino senza istituzionalizzarsi troppo, nel perseguire con continuità la propria riproduzione e diffusione senza insistere in strategie di radicamento dove non ve ne sono le condizioni, nel sapersi ridisciogliere in ciò di cui è composto, in ogni istante, senza cedere, resistendo nella propria natura – creandosi il proprio spazio e aprendo la strada alla rigenerazione di ciò che lo circonda – e di ciò che potrebbe circondarlo, domani.
 
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Ph | PAV Courtesy | Enrico Bonanate, Direttore PAV, davanti l’opera di Michel Blazy Forêt de balais (The God-Trick, mostra collettiva curata da Marco Scotini, 2018)
 
 
PRECURSORI DI PAV
 
1 | IN PARTICOLARE > PARCO D’ARTE TECNOLOGICO IXIANA (PARC DE LA VILLETTE DI PARIGI) > Gianna Maria Gatti | “L’Erbario Tecnologico – La natura vegetale e le nuove tecnologie nell'arte tra secondo e terzo millennio”, (2005)
2 | TECNOLOGIA NELL’OPERA DI PIERO GILARDI > Luciano Marucci | “Piero Gilardi e lo spazio virtuale”, (1995)
3 | DIMENSIONE DEL COMUNE IN PIERO GILARDI > Alfabeta2 | Intervento di Piero Gilardi, “Common Art?”, (2013)