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Oltre la contigenza

  • Pubblicato il: 20/07/2015 - 18:02
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CS
Human/Need/Desire. Neon sculpture by Bruce Nauman (1983) CC

Pubblicato dall’Acri venerdì scorso il 20mo rapporto annuale sulle fondazioni di origine bancaria, con strategie, progetti e dati al bilancio 2014.
Avremo occasioni per analizzarne i contenuti, ma da un primo sguardo al quantum sono 911,90 milioni di euro le erogazioni all’ultimo bilancio, in crescita rispetto agli 884,80 dell’anno precedente. Sempre al primo posto l’area cultura con 272,80 milioni di euro, pari al 29.90%, per 7786 interventi.
Questa è la massa di azioni del «sistema caritativo tra i più dotati, ricchi e generosi d’Europa e di quasi tutto il mondo», come afferma Adriana Castagnoli sul Sole 24 Ore del 28 giugno a commento della recente uscita in lingua italiana di «Filantropizzazione attraverso la privatizzazione. Come creare patrimoni filantropici per il bene comune» di Lester M. Salomon con un commento di Giuseppe Guzzetti. L’Italia, nel 1990, con la trasformazione del sistema bancario grazie alla legge Amato dalla quale sono nate le fondazioni di origine bancaria, ha avviato la modernizzazione di un antiquato paesaggio della filantropia facendo nascere alcune tra le realtà più grandi del pianeta. La Fondazione Cariplo vanta un patrimonio pari a quello della Ford Foundation, la Compagnia di San Paolo che si attesta al livello della JP Getty Trust, della Robert Wood Jonhson Foundation e la Fondazione CRT, la Fondazione Cr Verona, Vicenza, Belluno e Ancona possiedono un patrimonio superiore a quello della Rockfeller Foundation.
 
Nel mondo, in 21 Paesi, sono nate 540 fondazioni da privatizzazioni, con patrimonio complessivo da 100 miliardi di euro. L’Italia è il secondo paese al mondo dopo gli Stati Uniti.
Antonio Danieli, il direttore della Fondazione Golinelli di Bologna, su First del 12 luglio traccia la mappa delle fondazioni private in Italia e dei trend della filantropia, partendo da nove tendenze in atto, tra loro interconnesse, individuate da Rien Van Gendt, il Presidente dell’Associazione delle Fondazioni Olandesi e uno dei principali esperti mondiali di Terzo Settore. Tendenze globali che possono essere tradotte anche in Italia dove il sistema è in grande movimento. Partendo dalle grandi corazzate di orgine bancaria che fanno scuola (non tutte hanno avuto analogo successo, come si legge dal caso paradigmatico dell fondazione Monte dei Paschi di Siena), andando alle vitali fondazioni d’impresa, come si legge anche in sede Assifero, l’associazione che ne riunisce oltre 100. Contano, eccome. Ne è un esempio Isabella Seragnoli, che, a capo del gruppo di famiglia Coesia (1,4 miliardi di fatturato), ha concretizzato la sua idea di impresa responsabile anche attraverso le sue fondazioni che si muovono tra sanità, ben-essere con la cultura nella sua azienda e nella sua comunità. Lo scorso mese per questo è stata laureata ad honorem in economia e politiche economiche dall’Università della sua città, Bologna e ora viene cooptata nel cda della Cassa Depositi e Prestiti.
Le fondazioni «pesano». Contese su richieste sempre più supplettive per sopperire alla lacune del sistema pubblico, le Fondazioni rivendicano un ruolo di sussidiarietà: sono sempre più luoghi di sperimentazione per nuove politiche nel sociale, nell’educazione, nella cultura, come nell’economia. Nate come erogative, maturano organizzativamente, trasformandosi in operative o miste; passano dalla donazione all’investimento sociale strategico, includendo un’ampia gamma di strumenti (prestiti, partecipazioni azionarie, garanzie) e puntano a un ruolo di game changer, sempre più in partnership, con logiche multistakeholders, per un ruolo chiave nelle politiche concorrendo proattivamente nel dibattito pubblico.
Può essere vincente per la sfida verso un nuovo welfare la creazione di sostanziosi patrimoni filantropici con la privatizzazione di aziende pubbliche e para-pubbliche per «migliorare le prospettive economiche e sociali anziché disperderli nei bilanci pubblici senza lasciare traccia» come afferma Salamon?
 
 
 
In questo numero
 
L’economista Walter Santagata, proponendo un parallelo nella contemporaneità del nostro Paese, riportava spesso una domanda degli intellettuali alla diagnosi sulla Parigi a fine XIX secolo nella quale molto si era investito per la conservazione del patrimonio: «Cosa ne faremo di teatri e musei se non avremo più commediografi, attori e artisti?».
Parliamo di politiche nella gestione del patrimonio e nella produzione culturale, ma quando realmente ascoltiamo gli artisti? Di questa urgenza si fa interprete Cesare Pietroiusti, uno dei più impegnati protagonisti dell’arte contemporanea del nostro Paese che con l’economista della cultura Pier Luigi Sacco è tra i promotori del Forum dell’arte contemporanea che prenderà vita al Pecci di Prato il 25, 26, 27 settembre.
Noi, da questo numero, diamo «Carta bianca» agli artisti che, con i loro linguaggi, apriranno i nostri appuntamenti mensili. Prende la penna questo mese Fabio Cavalli, che ci propone una inedita fiaba a due finali. Regista, attore, drammaturgo, tra i più considerati a livello internazionale per la progettualità di teatro sociale all’interno delle carceri, volte a restituire dignità. Formazione per la capacitazione.
 
E se la riforma sulla «Buona Scuola»» non è coraggiosa nel rafforzare lo studio dell’arte nel Bel Paese (F. Sereno), a Torino si avvia alla conclusione con grande successo di adesione internazionale il primo Festival delle Accademie d’Arte ideato dall’Albertina con la Fondazione Sandretto, varando la «carta sulla creatività come professione». Tre i tre concetti fondamentali:
1) le scuole d'arte devono porsi come obiettivo formativo di primaria importanza la preparazione dei laureati per affrontare una vasta gamma di sbocchi professionali consonanti con la creatività;
2) il sistema sociale pubblico e privato deve coordinarsi per offrire ai laureati il maggior numero possibile di occasioni di mobilità e di residenza su scala internazionale;
3) il sistema economico deve essere coinvolto affinchè assuma consapevolezza del valore della creatività nell'impresa e faciliti il più possibile l'incontro tra domanda e offerta.

Perché la Cultura «conta», economicamente, socialmente. Lo acclarano le ricerche, anche comunitarie che vedono in campo Eurostat che sblocca con la DG Cultura un percorso ventennale nella definizione dei profili di un concetto in costante evoluzione per parametri comuni fondamentali nella definizione di politiche transnazionali, in cui la Cultura è integrata con tutti gli assi, ne è prerequisito (E. Sciacchitano). Anche in una Grecia nel pieno della tempesta (V. Azzarita).
227 miliardi di euro, il 15,6% del Pil è il valore aggiunto della filiera dell’industria culturale e creativa stimato dal Rapporto Symbola-Unioncamere 2015, «Io sono cultura-L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi» al quale dedichiamo uno speciale focus. Un rapporto che pone in evidenza le grande vitalità delle ICC-le industrie culturali e creative, interpreti del fenomeno di innovazione in corso, alle quali, fin dai nostri esordi, dedichiamo un’osservazione costante (N. Mazzoleni sullo scenario che emerge dall’analisi dei risultati dei bandi). Ma la creatività, come ben ha compreso l’Accademia torinese, riguarda ogni campo dell’economia, anche la più dura, manifatturiera. Cultura e creatività nella ricerca, nel processi, nella gestione delle risorse umane e delle relazioni territoriali. Le imprese che hanno investito in creatività hanno visto crescere il loro fatturato del 3,2% e sono state premiate nell’export con un incremento del 4,3% dichiara il rapporto Symbola. Cultura per immaginare un ritorno alla terra con una nuova agricoltura (V. Azzarita).
Opportunità. Anche in Symbola si discute sul tema del nostro dossier dello scorso mese, ricorrente in molti articoli di rigenerazione sociale si cui parliamo. Riuso degli spazi derivanti da processi di deindustrializzazione e delocalizzazione produttiva, riconversione delle infrastrutture pubbliche (6 milioni di immobili vuoti di diverse epoche, comprese 1745 stazioni impresenziate e 3000 km di linee ferroviarie dismesse) per i quali è in crescita la domanda di spazi ibridi a vocazione culturale e creativa.
Tema caldo quello delle dismissioni pubbliche che sarà al centro del dibattito anche nel 15mo ArtLab che si svolgerà a Lecce a fine settembre.
Si aspetta l’esito della due diligence della prima operazione di cessione del patrimoinio immobiliare trasferito dal Demanio e degli Enti locali con acquisizione della Cassa Depositi e Prestiti. Numeri non da capogiro: si tratta solo di 130-150 milioni, ma è la prima vera privatizzazione di immobili pubblici degli ultimi anni alla prova di un mercato che sta mostrando un po’ di movimento. Secondo Luisa Leone su MF del 24 giugno a fine anno scorso Cdp ha acquistato 65 immobili per 710 e ha già avviato le macchine per nuove acquisizioni. E anche qui le fondazioni contano. Acri con le Fondazioni di origine bancaria è socia al 15% della CdP, ente chiave nel Governo Renzi per il supporto alle politiche del nuovo welfare.
 
 
Consigli di lettura:
Su First del 13 luglio «Le Fondazioni private e la mappa della filantropia in Italia: nove le tendenze».
 
Su Il Giornale Arte e Imprese, Allemandi, Innovare l’innovazione