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Nel 2013 sponsorizzazioni indietro di 20 anni. E cambiano i criteri di scelta

  • Pubblicato il: 11/01/2013 - 11:05
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Catterina Seia e Chiara Tinonin

Cosa riserva il 2013 per il mondo culturale secondo l’annuale indagine predittiva «Il futuro della sponsorizzazione» condotta da StageUp con Ipsos? La ricerca giunta all’XI edizione, delinea in anteprima dimensioni, trend ed evoluzione del mercato della sponsorizzazione culturale in Italia, attraverso numerose interviste approfondite ad operatori qualificati.

In quattro anni -28% (da 1,8 a 1,3 miliardi)
Le imprese investono meno in comunicazione e diversamente rispetto al passato. Nel 2012, il volume d’investimento in sponsorizzazioni ha raggiunto complessivamente 1.288 milioni di euro (-8,2% rispetto al 2011), con un rapporto sulla pubblicità di 1 a 6. Negli ultimi 4 anni anche il mercato dell’advertising si è contratto del 23% passando dai 9,8 miliardi nel 2008 a 7,5 miliardi nel 2012. Più forte la riduzione della spesa per il mercato delle sponsorizzazioni che dal 2008 al 2012 è passata da 1,8 a 1,3 miliardi di euro (-28%).

Solo l’11,6% per arte e cultura
Al settore arte e cultura nel 2012 è andato l’11,6%, con 150 milioni di euro investiti complessivamente. Rispetto allo sport (60,7% con 782 milioni di euro) e all’utilità sociale e solidarietà (27,6% con 356 milioni di euro), il settore della cultura è quello che ha risentito maggiormente la crisi, con una caduta del 26,7% negli ultimi due anni (-9,6% persi nel 2012 e -8,3% nel 2011). Quali le ragioni?

La cultura rende meno (e non è quantificabile)
«La sponsorizzazione culturale non è lo strumento di comunicazione più efficace per sostenere le vendite nel breve periodo, tema prioritario per le imprese in questa pesante congiuntura e, quindi, ha avuto contraccolpi più significativi rispetto ad altre leve, in un momento di riduzione degli investimenti» spiega Giovanni Palazzi nel commentare il minimo storico del mercato dopo quattro anni di crisi economica internazionale. Una seconda leva, invece, è legata a Internet. L’esplosione della comunicazione digitale degli ultimi due anni, ha rivoluzionato il media-mix nelle strategie di comunicazione e ha contribuito alla riduzione dei prezzi degli altri strumenti. «Oggi è possibile acquistare su Internet format aggressivi, mirati ai target d’interesse dell’impresa, certificati nel rendimento: la comunicazione sul web ha un costo contatto quantificato, mentre quello derivante dalla sponsorizzazione è solo stimato. Anche se i player che operano sul mercato classico oggi vendono in “total audience”, va comunque considerato che il web è necessario, ma non sufficiente per riuscire a vendere in ogni settore».
In una parola, la caduta libera del mercato delle sponsorizzazioni potrebbe rallentare se esistesse un ente in grado di certificare (come «l’audioweb») i risultati attesi dell’investimento in sponsorizzazione. «Questo vale in primo luogo per il settore cultura che è prevalentemente strategico. In questo campo il decisore è all’apice della piramide aziendale. Un manager, valutato sui risultati, difficilmente oggi si assume la responsabilità di fare una sponsorizzazione il cui risultato non sia quantificabile; è consapevole che, posizionandosi su un segmento qualitativo, la sua è un’opinione potenzialmente contestabile» aggiunge Palazzi. In Italia esistono pochissimi istituti di ricerca specializzati nel settore delle sponsorizzazioni ed è molto difficile accedere alle informazioni certificate differentemente da quanto accade in altri paesi Europei, come la Svizzera. È invocata da più parti un’evoluzione normativa di natura fiscale.

La difficoltà di legge
In Italia, un primo passo è stato compiuto a febbraio 2012 con l’inserimento dell’articolo 199bis nel Codice dei Contratti Pubblici, che disciplina l’individuazione dello sponsor privato per interventi di tutela e valorizzazione dei beni culturali. Un intervento normativo che «ha tratto origine da un’esigenza di disciplina di un caso concreto, cioè il Colosseo e il caso Della Valle» spiega Toti Musumeci, Professore di Diritto Pubblico all’Università di Torino e autore del volume «La cultura ai privati» (Cedam, 2012).
Il caso ha sollevato la questione della valutazione dei marchi non commerciali, come quello del Colosseo, e del corretto procedimento di selezione degli sponsor privati. «Per la Pubblica Amministrazione, utilizzare i beni culturali per cercare di effettuare una raccolta costante e consistente, che possa essere utilizzata su quel bene e su quelli minori, che sono meno attrattivi, è una grande opportunità» afferma Musumeci, aggiungendo che «va valutata con attenzione la qualità dello sponsor, che non è soltanto un soggetto che fornisce risorse economiche e finanziarie ma che, associando un brand, deve essere eticamente compatibile all’immagine del bene culturale, patrimonio della collettività».
La Commissione Cultura della Conferenza delle Regioni ha lavorato su questo tema, diffondendo nel dicembre scorso le «Linee Guida per la valorizzazione della Cultura in Italia attraverso la collaborazione Pubblico/Privato», un documento programmatico redatto in collaborazione con le imprese associate a Civita (tra le quali Trenitalia, Enel, Autostrade) ora nelle mani del Ministro. Apre il documento un’analisi del quadro normativo e fiscale nazionale e disaggregato per Regione; da questa emergono criticità e proposte di sviluppo, con l’obiettivo di trasformare le sponsorizzazioni in partenariati, superando le logiche di fundraising per muoversi verso la co-progettazione e il project financing (www.regioni.it).

Nel 2013 ancora 6,4% in meno (83 milioni)
Il fatto che la decisione in tema di sponsorizzazioni culturali sia di natura prevalentemente strategica, nel momento in cui vi sarà una ripresa si potrà verificare uno spunto differito di questo mercato rispetto ad altri segmenti della comunicazione. «Gli investitori saranno molto selettivi. Molte situazioni marginali e irrilevanti andranno a scomparire. Solo le idee forti, con proposte mirate all’investitore, verranno finanziate» commenta Palazzi, riferendo le opinioni degli intervistati e presentando la stima degli investimenti nel 2013: un’ulteriore riduzione complessiva del mercato delle sponsorizzazioni del 6,4%, pari a 83 milioni di euro.
Il materiale per idee forti non manca certamente per il nostro Paese, sia per la straordinaria capillarità di beni e attività culturali che per la produzione creativa. L’accento deve, quindi, essere posto anche e soprattutto sulle modalità d’investimento, sui rapporti di reciprocità e compartecipazione del contratto di sponsorizzazione. Le imprese partecipano ai progetti culturali nella misura in cui hanno delle leve per rendere efficace il loro investimento, apportando non solo denaro, ma competenze organizzative. «Per rendere veramente efficace una sponsorizzazione occorre essere organizzati» ci dice Palazzi, evidenziando come «i grandi eventi mondiali, nelle edizioni più riuscite, hanno visto lo sponsor partecipe nella progettazione dell’evento, non come semplice finanziatore. In questo modo l’impresa diventa un moltiplicatore, è parte attiva di un accordo, con le sue risorse, i suoi processi e i suoi prodotti». Un modello ancora poco applicato in Italia, anche se i grandi gruppi (le utilities, come Eni e alcuni gruppi bancari, come IntesaSanpaolo) proprio in questi anni di crisi hanno deciso di intervenire nella cultura quasi esclusivamente con iniziative proprie o co-progettate.

(il testo integrale è disponibile nella versione cartacea del Giornale dell'Arte)