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MUSEI COME IL MIELE: COLLABORAZIONE, SOLIDARIETÀ, PARTECIPAZIONE A NUOVEPRATICHEFEST, PALERMO.

  • Pubblicato il: 14/04/2017 - 22:30
Autore/i: 
Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni

La terza edizione di NuovePraticheFest, il Festival ideato da Clac e Pescevolante, con la partecipazione di GAM Palermo e Civita Sicilia, ha messo al centro lo spazio culturale, che identifica nel museo il luogo dell’attivazione sociale e abilitazione della pratica di cittadinanza. Voci di operatori a confronto sui temi dell’accessibilità, della gestione dei pubblici, dell’utilizzo del digitale, della costruzione di nuovi scenari per il futuro del sistema, dove prevale il messaggio della partecipazione attiva. Il Giornale delle Fondazioni come partner è stato presente con la sua testimonianza di ricerca.
 


Palermo. Varcare la soglia dell’Ecomuseo Mare Memoria Viva nel quartiere di Sant’Erasmo a Palermo, a due minuti a piedi dall’ultimo porticciolo marinaro rimasto integro dopo la cementificazione selvaggia del litorale nell’epoca Ciancimino, che ha privato quasi del tutto l’accesso al mare ai cittadini distruggendo la tradizione marina e balneare, mette subito in una condizione di sorprendente “disagio”. Il museo non presenta teche, percorsi, sale, ma si apre come un’ampia agorà dove docce di cartoline e fotografie, cerchi di televisori, schermi digitali interattivi, librerie a scaffale aperto, panche si dispongono delle spazio come isole. Non sono la chiave estetica o didattica che portano dentro….ma la curiosità, perché ogni cosa è diversa da come siamo abituati a immaginare di un museo. Siamo lontani dal comfort, dove rimanere passivi o discreti osservatori fra le vetrine, perché qui bisogna decidere come visitare il museo in prima persona. L’attivazione in un movimento nuovo e personale è la chiave di accesso ai contenuti di quel luogo e alla sua fruizione. Poi, una volta trovato l’appiglio, il museo conduce attraverso la forza della memoria, delle narrazioni, perciò ciascuno si trova condotto per il proprio filo, dove l’oggetto amplifica il significato. Questa esperienza all’Ecomuseo Mare Memoria Viva, dove ci si può anche sorprendere a piangere davanti a uno schermo, testimonia un’innovativa modalità di essere museo, poiché scardina qualche paradigma delle pratiche museologiche, come la conservazione di oggetti, lavorando sulla dimensione dell’effimero, ovvero la memoria, che pone nuove sfide agli operatori culturali.
Non a caso NuovePraticheFest, con la sua terza edizione Musei come il miele, si è aperta qui, per mettere da subito il pubblico di operatori, intellettuali, ospiti, pratictioners nella condizione di confrontarsi con i nuovi formati della museologia. Altri appuntamenti della programmazione hanno preso dimora invece alla GAM Palermo, fra gli organizzatori del Festival, rappresentante delle istituzioni storiche e tradizionali, e insieme testimonial della messa in discussione dei paradigmi e trasformazione delle prassi, con il progetto GAM Bene Comune. Come  afferma nell’introduzione la Direttrice Antonella Purpura, i musei non devono spaventare il proprio pubblico, ma accoglierlo, per rendere la fruizione un’esperienza piacevole da ripetere e con la quale prendere confidenza. Condividere e partecipare al museo, favorisce la costruzione di comunità, di inclusione, di significati e quindi cittadinanza. Per questo GAM si è aperta al progetto Bene comune, mettendosi a confronto con le numerose associazioni civili cittadine, per costruire percorsi comuni nella conduzione del museo, nuova agorà.
La formula del festival si è efficacemente riproposta con l’alternanza di momenti laboratoriali e tavoli di confronto sulle tematiche dell’accessibilità museale, dell’audience developement, dell’ingresso delle nuove tecnologie e del digitale nelle pratiche di divulgazione, del significato di fare il museo oggi.
Ripensare al ruolo dei musei oggi, nell’epoca digitale, dove tutto è connesso e intermediato, dove i contenuti sono abbondanti e molto più accessibili di una volta, dove ciascuno esplora e si intrattiene in solitudine le infinite piste di ricerca in rete, dove le risorse pubbliche sono scarse e la fatica della gestione quotidiana riduce la visione del futuro, non è facile.
Siamo partiti dal concetto di accessibilità, che porta con sé un salto di livello, poiché il sostantivo non significa soltanto “abbattere barriere architettoniche e favorire la fruizione a portatori di handicap”. Non vuol dire solo evidenziare differenze o fragilità. Maria Chiara Ciaccheri, ricercatrice ed esperta formatrice che ha condotto il primo workshop in programma, lo sottolinea con forza nella sua introduzione: non si tratta solo di far toccare le opere, abbassare le didascalie, aggiungere servizi accessori di fruizione e informazione, ma chiedersi cosa il Museo sta dicendo di se stesso, a chi vuole parlare, quante persone vuole accogliere e tenere insieme. Le riflessioni su questo tema vedono l’Europa e l’Italia molto attardate rispetto ai livello di consapevolezza raggiunto nel mondo anglossassone. Il cambio di passo si gioca nel passaggio dalla visione medica del tema, alla visione di inclusione: l’accessibilità è una questione sociale, che valorizza le differenze e amplifica le possibilità di fruizione, partecipazione, vita nei musei. Riferirla a un solo ambito, la depriva della capacità di suscitare riflessioni sulla sostenibilità museale, sugli impatti generati e quindi sullo sviluppo di obiettivi di crescita per il museo stesso.
Nella tavola rotonda “Il Museo alveare: pratiche di connessione tra musei, pubblico e territorio”, un coro di voci al femminile approda alla visione di un museo aperto, maieutico, ovvero generatore di dialettica fra contenuti e pubblici, dove non esiste più e solo una sola lettura autorevole dei significati custoditi nel museo, ma si apre un dialogo costante con i pubblici, dove la reciprocità è auspicata. Il digitale è sicuramente un’opportunità, fra l’altro alla quale non ci si può sottrarre a lungo, come introduce Anna Maria Marras, Wikimedia Italia, Coordinatore “Commissione Tecnologie digitali per il patrimonio culturale”, ICOM Italia: da solo comunque è fine a se stesso. Va sposato alla pratica di una visione strategica ampia, trasversale, che indirizzi il museo nelle scelte di aggiornamento e sperimentazione. Infatti, come dichiara Ornella Costanzo, esperta di arte e tecnologie, già Studio Azzurro, le nuove tecnologie sono costose, vanno mantenute e aggiornate, quindi recano in sé l’istanza del rinnovamento costante, che stimola la visione prospettica la progettazione a lungo termine. Un museo che introduce le nuove tecnologie deve disporsi a questo tipo di percorso. Serena Giordano, Docente di Didattica dell’arte all’Università di Palermo, sfata gli stereotipi: chi ha stabilito che i musei siano i templi degli indiscussi capolavori? La verità che i capolavori sono dati per scontati e alla lunga non sono più veramente osservati e quindi compresi. Una lunga tradizione di didattica scolastica precettiva ci ha abituati a pensare al “bel disegno” come dimostrazione di un percorso cognitivo nei parametri. Alla lunga abbiamo smesso di capire il gesto eversivo del segno astratto, portandoci lontani dalla contemporaneità. Ma chi a memoria ricorda esattamente come è impaginata la Gioconda? Su questa provocazione, il museo paga la responsabilità di mettere a disagio il suo pubblico, che fino ad oggi gli ha portato incondizionata reverenza.
Per questo va ripensato l’approccio, con l’idea dell’accoglienza, del portare chi non è mai entrato. E su questa linea anche Yana Klichuk, responsabile dipartimento educazione Manifesta 12, prende posizione: Manifesta approderà nel 2018 a Palermo. Sua natura essere una Biennale itinerante, che se non vuole rischiare di essere vissuta come un’astronave calata dall’alto, deve confrontarsi con la comunità di riferimento, gli stakeholder, il pubblico del territorio che la ospita. In questo senso il Dipartimento didattico della kermesse internazionale si dispone all’ascolto dinamico, attivando anche proposte educative che si adattano in corso. Gabriella Sciortino, Coordinatrice Servizi Educativi Civita Sicilia, testimonia il percorso di GAM Palermo, dal museo di collezione al museo di narrazione, aperto alle associazioni del Terzo Settore, attive sul territorio, volendo enfatizzare il ruolo sociale del museo, che si sposta nelle periferie per includere e cercare contatto, anche istituendo bus navetta per ridurre le distanze. L’interscambiabilità, dove la costruzione di relazioni di senso passa attraverso il trasferimento di conoscenza e lo scambio reciproco con i pubblici, va protetto dal museo che gioca il ruolo di gate keeper e garante della qualità. Emmanuele Curti in conclusione appunto sottolinea il concetto di ridistribuzione del sapere, che non va solo conservata fra le mura del museo, ma va fatta tracimare per lavorare sulla costruzione di cittadinanza.
Con il secondo workshop condotto da Alessandra Gariboldi, Fondazione Fitzcarraldo e Antonia Silvaggi, Melting Pro, con la speciale presenza di alcuni partecipanti del progetto europeo ADESTE, sono state introdotte le pratiche di analisi dei pubblici della cultura, che non sono un corpo unico,  individuato solo dallo stacco del biglietto, ma tanti, per elementi anagrafici, credenze, tempi di attenzione, gusti, interessi. Il primo passaggio è la presa di consapevolezza del tema all’interno del museo stesso: troppo spesso il pubblico rimane un problema del marketing o dei servizi educativi, valutato solo in termini di aumento di presenze, senza invece ragionare sulla sua complessità e analizzare i ritorni. Bisogna strutturarsi, raccogliere informazioni già disponibili per il museo, leggerle e farne la base per una pianificazione strategica. Il tema dell’attivazione e fidelizzazione dei pubblici riguarda tutte le strutture del museo, ma va coordinata da una figura specifica che lavora trasversalmente. Per i partecipanti di ADESTE, progetto europeo che ha permesso una percorso di formazione per diversi operatori culturali sui temi dell’audience developement, pensare alla gestione dei pubblici è in prima istanza fare ordine, analizzando il proprio ruolo e posizione all’interno dell’organizzazione museale. Si tratta infatti di applicare un corpus di strumenti analitici, capaci di generare un cambio di visione e approccio dall’interno, a cui segue una fase faticosa di negoziazione interna per far penetrare le istanze di innovazione. Sviluppare i pubblici necessita un approccio trasversale e pianificato su lungo periodo. Gli eventi non bastano: va costruzione relazione di fiducia che generi continuità. La partecipazione nella progettazione museale dei pubblici valorizza questo percorso, generando senso di appartenenza.
L’occasione della presentazione del Rapporto Federculture 2016 a cura di Claudio Bocci, ha permesso la riflessione sui concetti di pianificazione e partecipazione, con la tavola rotonda Bastano due p per fare cultura? Partecipazione e pianificazione” . A fronte di un trend in crescita sui consumi culturali tout-court, gli ospiti hanno sottolineato con forza la cautela nello spendere la parola “partecipazione”, per evitare false retoriche e effetti superficiali. Francesco Giambrone, Teatro Massimo di Palermo, ha dichiarato come anche  il teatro sia un luogo in cui tutti possano sentirsi a casa. La sua organizzazione infatti lavora a questo obiettivo attraverso una politica dei prezzi particolarmente contenuti e la dichiarata volontà a non prevedere il ricorso a obblighi di dress code. Sempre in questa direzione vanno i progetti dedicati alle famiglie che prevedono che i genitori e i figli possano fruire contemporaneamente della stessa opera in modi diversi, ritrovandosi alla fine dello spettacolo. Ilda Curti, Associazione IUR e Francesco Mannino, Officine Culturali testimoniano l’attenzione nella costruzione di reti multi-stakeholder, capaci di riconnettere territori e attivare i pubblici intorno al proprio patrimonio.
 NuovePraticheFest ha quindi descritto un terzo episodio nel suo percorso di approfondimento, dove molto spazio è stato dato anche alle organizzazioni culturali, che con la formula del pitch at lunch si sono presentate come un ricco ecosistema multi-dimensionale e ad ampia distribuzione geografica, dal Museo della Bora di Trieste, al Museo di Castelbuono nelle Madonie, fino al Progetto Ulissi attivo a Marina di Cinisi con la collaborazone di Libera o la Fondazione PinAC, che da anni raccoglie una collezione di disegni di bambini da tutto il mondo, in provincia di Brescia. L’alveare è il simbolo di un museo futuro partecipativo, operoso, collaborativo: un luogo dove una comunità può produrre il suo nutrimento nelle sfide della contemporaneità e ritrovare la modalità per ritessere una costruzione collettiva di senso. La testimonianza di queste best practise rimane la formula più efficace per la divulgazione e contaminazione di nuovo modelli.
 
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