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La mente a Sarzana

  • Pubblicato il: 15/06/2012 - 09:56
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Matteo Melley

Il primo festival europeo dedicato alla creatività nasce dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di La Spezia nel 2004, che sceglie la cittadina di Sarzana per la posizione strategica.
Oggi, alla nona edizione il «Festival della Mente» ha un budget di 600mila euro, incassi per 120mila e uno studio per la valutazione socio-economica dell’investimento.
 
Nonostante il grande lavoro, le fondazioni vivono un momento complesso.
Il nostro paese ha grande difficoltà ad accettare i «corpi intermedi»: si fa ancora fatica a pensare che le fondazioni possano legittimamente occuparsi dei tradizionali compiti del settore pubblico. Nella cultura, come nella ricerca, le fondazioni hanno fatto passi da gigante sviluppando una progettualità propria sempre più significativa. Un passaggio che alcuni hanno definito come «lo spostamento dai beni alle attività culturali », ma che io chiamo «la trasformazione da sponsor a investitore culturale»: lo sponsor eroga denaro, mentre l’investitore si assume la responsabilità del risultato. È un ruolo più complicato da svolgere, ma molto più stimolante e in grado di mettere immediatamente alla prova il rapporto tra pubblico e privato.
 
Un investitore che persegue quali risultati?
Obiettivi statutari della Fondazione e necessità del territorio. Operare mediante un ente strumentale permette di fornire servizi efficienti ed economie di scala. Per il «Festival della Mente», per esempio, la nostra visione imprenditoriale crea stimoli, un fenomeno di gemmazione di professionalità sul territorio. Oltre al Festival, la nostra «Fondazione Eventi» gestisce la programmazione culturale estiva della nostra sede di Villa Marigola di Lerici e offre attività di pubblicazione, comunicazione e servizi culturali a condizioni inferiori al mercato.
 
Com’è nato il «Festival della Mente»?
Nel 2002 eravamo pronti a metterci in gioco come promotori di un’iniziativa nuova, piuttosto che finanziatori di un’iniziativa di terzi. Mappando e studiando le esperienze dei festival e il territorio, con un’esperta come Giulia Cogoli, abbiamo deciso di realizzare un’operazione dedicata alla creatività, scegliendo Sarzana, un piccolo centro di facile accesso e mobilità. Costituimmo la società «Città di Sarzana – Itinerari Culturali» alla quale i due soci, Comune e Fondazione, apportano contributi mentre la nostra «Fondazione Eventi» completa la fornitura di servizi.
 
Un progetto entrato nel tessuto del territorio?
Assolutamente. Crescendo con gradualità, oggi il Festival costa 600mila euro e ha incassi per 120mila, producendo non solo una ricaduta economica ma soprattutto sociale, come dimostrato da una ricerca in tema che abbiamo promosso (G. Guerzoni, «Effettofestival – L’impatto economico dei festival di approfondimento culturale», Collana Strumenti, Fondazione Carispe -Fondazione Eventi) che dimostra quanto gli eventi culturali fertilizzino il territorio. Dopo i primi due anni di grande richiamo turistico, abbiamo fidelizzato anche i nostri concittadini, monitorando ciò che rimane dei messaggi culturali, quante librerie, in controtendenza nazionale, sono nate, quanti nuovi ristoranti, quante sollecitazioni dalle scuole della Provincia a sviluppare i temi trattati dal Festival, quanto cresce il coinvolgimento di centinaia di volontari.
 
Come vede il futuro in cui le risorse saranno senz’altro più contenute? Quali cambiamenti potremmo ulteriormente leggere nelle modalità degli interventi delle fondazioni?
Credo che vada intensificata la collaborazione tra più fondazioni, per esempio nei festival d’intrattenimento culturale, che vedono quasi sempre le fondazioni come protagoniste. Collaborare, in primis nella comunicazione, per fare sinergie, può essere un modo concreto per affrontare le difficoltà. Una vera frontiera è capire se le fondazioni possono essere gli investitori patrimoniali del settore culturale. Gli investimenti immobiliari nell’housing sociale, ad esempio, oltre ad essere moderatamente redditizi, danno una risposta a un’esigenza sociale.
Perché non pensare a fondi d’investimento nel settore culturale, gestiti da operatori specializzati, in cui le fondazioni investono patrimonio? Il patrimonio culturale è vincolato, ma se pensiamo quanti passi avanti abbiamo fatto nel settore dell’edilizia sociale, che era per definizione un settore pubblico, è una sfida complessa e stimolante.
 
Come complesso è il momento, anche per le fondazioni. Come possono rinnovare la loro immagine e restituirla nelle giuste dimensioni?
La «Carta delle Fondazioni» che abbiamo appena varato è un grande passo avanti. Ho preso parte alla genesi dedicandomi al settore della gestione del patrimonio, che sarà uno dei traguardi del futuro. La Carta contiene il principio fondamentale della trasparenza nella governance, quindi nei meccanismi di composizione degli organi, come filtro per rafforzarne l’indipendenza; nell’attività istituzionale, perché la trasformazione in corso, da soggetti di pura erogazione a soggetti operativi nella progettazione propria, impone di uscire dallautoreferenzialità e spiegare con chiarezza le regole di partecipazione a un progetto della fondazione; nella gestione del patrimonio, ovvero il rapporto con le banche. Bisogna dire pubblicamente che sostenere lo sviluppo di una banca significa sostenere il territorio. Accanto allo sforzo di trasparenza, dobbiamo accentuare i meccanismi di valutazione del nostro operato. A questo punto i malevoli opinionisti avranno vita dura, ma come dicevo, la difficoltà di comprendere «i corpi intermedi» è culturale e ci vorrà parecchio tempo.
La crisi sta aiutando e qualcuno guarda alle fondazioni come a un modello, anche di classe dirigente.
 
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Matteo Melley è Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di La Spezia dal 2001

(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)