La Fondazione Faurschou in bilico tra tradizione e innovazione
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Rubrica:
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di:
Alessia Zorloni
In occasione della 57° Biennale di Venezia 2017, la Fondazione Faurschou presenta presso la Fondazione Cini tre mostre di importanza storica e artistica: “Us Silkscreeners…”, "Late Series" su Robert Rauschenberg e "New Media (Virtual Reality Art)" con opere di Paul McCarthy e Christian Lemmerz. In questa intervista il suo fondatore, il danese Jens Faurschou, già gallerista e collezionista ci racconta come è nata la sua passione per l’arte e la volontà di aprire la sua Fondazione a Copenaghen e a Beijing
Venezia. In concomitanza con la 57° Biennale di Venezia 2017, la Fondazione Faurschou presenta presso la Fondazione Cini tre mostre di importanza storica e artistica: “Us Silkscreeners…”, "Late Series" e "New Media (Virtual Reality Art)". “Us Silkscreeners…” e "Late Series" offrono ai visitatori un prezioso scorcio su alcune delle opere d’arte più forti di Robert Rauschenberg nonché su alcuni dei momenti decisivi della sua carriera. Artista eclettico, Rauschenberg, si approcciava all’arte ricorrendo all’uso di molteplici linguaggi: immagini, materiali e fotografie trasferite o scolpite su tela impiegando una vasta gamma di tecniche. Molte delle sue ultime opere sono il risultato dell’esplorazione ininterrotta dei metodi di trasferimento delle immagini, tecnica che l’artista iniziò a utilizzare nel 1962 e da allora sviluppò e raffinò in modi diversi. Le opere esposte nella mostra "Late Series" appartengono ad alcune delle serie tarde più importanti, tra cui Scenarios e Runts, e colpiscono il visitatore per la dimensione dei lavori dal grande impatto cromatico.
In contemporanea, al piano superiore della Fondazione Cini, la Fondazione Faurschou presenta “New Media (Virtual Reality Art)", un progetto di realtà virtuale realizzato appositamente in occasione della 57° Biennale di Venezia 2017 dagli artisti Paul McCarthy e Christian Lemmerze e prodotto da Khora Contemporary. La società, che vede tra i fondatori lo stesso Jens Faurschou, è stata creata nel 2016 per affiancare gli artisti nella produzione di opere realizzate in realtà virtuale (VR) e ha già collaborato con artisti del calibro di Tony Oursler. Nel mondo dell’arte contemporanea la realtà virtuale è ancora poco utilizzata e con questi lavori la Fondazione Faurschou invita il visitatore a immergersi in nuovi scenari in cui la sfere fisica e psicologica si sovrappongono, creando talvolta sensazioni sconcertanti, come nell’opera di Paul McCarthy, “C.S.S.C. Coach Stage Stage Coach VR experiment Mary and Eve” (2017). In questo esperimento di realtà virtuale, McCarthy mette in mostra l’oscurità presente nella cultura mainstream attraverso una realtà violenta, popolata da sole donne dall’effetto inquietante.
Dopo una carriera ventennale come gallerista e collezionista, dal 2012 Jens Faurschou si dedica alla sua Fondazione, nella quale ha presentato, presso le due sedi di Copenaghen e di Pechino, le personali di alcuni dei più importanti artisti contemporanei tra cui Yoko Ono, Peter Doig, Ai Weiwei, Cai Guo-Qiang, Louis Bourgeois, Shirin Neshat, Gabriel Orozco, Danh Vo e Bill Viola. Lo incontriamo a Venezia per conoscere come è nato il progetto della Fondazione Faurschou.
Come è nato il tuo interesse verso l’arte e quando hai iniziato a collezionare?
Ho iniziato ad avvicinarmi all’arte quando ero ancora uno studente di economia alla Copenhagen Business School. In quel periodo, per mantenermi, lavoravo in un’artoteca. L’artoteca è un servizio bibliotecario nato verso la fine degli anni ’50 in alcune biblioteche del Nord Europa con l’obiettivo di esporre e dare in prestito agli utenti opere di arte contemporanea facendole circolare al di fuori dei soliti canali (musei, gallerie) e rendendole maggiormente accessibile. Esattamente come in una biblioteca le persone potevano prendere in prestito delle opere d’arte per un periodo di tempo. Quell’esperienza fu fondamentale e mi portò ad appassionarmi all’arte e a decidere di aprire nel 1986 una galleria a Copenhagen.
La Fondazione Faurschou ha due sedi: una nell’area portuale di Copenaghen e l’altra a Pechino nel 798 Art District. Da cosa dipende la scelta di avere due sedi e chi è il soggetto giuridico che gestisce la Fondazione?
Dopo aver gestito per più di vent’anni una galleria a Copenaghen, ho sentito che era giunto il momento di aprire uno spazio all'estero e il mio pensiero immediato è stato New York o Berlino. Poi, per caso, nel 2006 sono andato in Cina, e quello che ho visto mi ha sorpreso. All'epoca sui giornali non si sentiva parlare molto della scena artistica cinese e rimasi colpito di vedere quanto fosse sviluppata. Quando poi visitai la 798 Art Zone, il distretto artistico di Pechino, me ne innamorai e decisi di aprire uno spazio li. All'epoca, a Pechino, c'erano molte gallerie che esponevano artisti cinesi, alcune che mostravano artisti stranieri, ma nessuna di queste esibiva artisti occidentali. Ho pensato che avrei potuto fare la differenza, portando i grandi dell’arte contemporanea occidentale, come Robert Rauschenberg o Gerhard Richter. Così nel 2007 aprì la galleria a Pechino. I due spazi sono di proprietà della mia azienda danese e sono gestiti dalla sede di Copenhagen.
Quante persone lavorano nella Fondazione Faurschou?
Lo staff è composto da sette persone a Copenhagen e tre a Pechino.
Qual è il focus principale della tua collezione? È organizzata in base ad un criterio specifico (es. cronologico o tematico) o cresce ed evolve senza particolari limitazioni?
La Fondazione Faurschou include i lavori di alcuni degli artisti più importanti nel panorama internazionale della contemporanea come Louise Bourgeois, Ai Weiwei, Georg Baselitz, Shirin Neshat e Mona Hatoum. La collezione non è organizzata in base ad un criterio specifico se non quello della qualità dei lavori. Agisco d’istinto e cerco solo le opere migliori.
Quante opere ci sono nella tua collezione e come le valorizzate?
Circa 500. Organizziamo da due a tre mostre sia nella sede di Copenhagen che in quella a Pechino.
Cosa motiva un collezionista privato a creare una propria Fondazione, anziché, per esempio, donare le proprie opere ad un museo già esistente?
È stata l’evoluzione naturale della mia carriera come gallerista, dopo aver lavorato per anni con gli artisti e costruito una collezione d'arte. Semplicemente è cambiato l’approccio, in quanto ora mi concentro su progetti istituzionali e non più commerciali, cercando di organizzare mostre di qualità in tutto il mondo.
Si dice che una collezione spesso rifletta e restituisca la personalità del suo fondatore. Sei d’accordo?
Assolutamente si.
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Ph: Robert Rauschenberg, Catch (Urban Bourbon), 1993. Collection Aros Art Museum, Denmark © Robert Rauschenberg Foundation