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La cultura del dono nelle parole di Stefano Zamagni

  • Pubblicato il: 11/07/2014 - 08:40
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI DI COMUNITÀ
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni

Che cos’è il Comitato per la promozione del dono?
Il Comitato per la promozione del dono è un ente provvisorio, nato circa due anni fa, in via sperimentale.  Concluderà infatti il suo compito entro l'anno. È nato come una sorta di «levatrice», o meglio start-up per la creazione della Fondazione Italia per il dono, con il preciso intento di prepararne il terreno.  Si sostiene, trattenendo circa l'1% dei fondi, per pagare gli addetti specializzati e i costi vivi.

Quali i suoi modelli di riferimento?
É la prima esperienza del genere in Italia e si ispira direttamente al modello Fondatiòn de France e King Baudouin Foundation in Belgio. La fondamentale caratteristica è che opera su tutto il territorio nazionale.
Si caratterizza per non riferirsi al proprio fondatore, come tante fondazioni nominali o d'impresa. Dunque non è espressione di uno o pochi, ma è generale, è trasversale perché esprime la volontà della società civile di essere attiva sulla cultura del dono.
Non opera in un settore specifico, ma universalista, con ampio raggio di azione.
Le altre fondazioni hanno per esempio uno scopo prefissato dal fondatore.
Il Comitato lavora invece per creare un ponte fra coloro che hanno risorse da investire in più ampie finalità sociali, e coloro che svolgono iniziative a favore della società civile e tessuto sociale, che hanno bisogno di risorse per realizzarsi.

Quali le principali azioni?
Il Comitato presta un servizio di consulenza. Partiamo dalle domande: «Hai denaro che vuoi investire per scopi filantropici? Dove li vuoi canalizzare?», rispondendo con la nostra competenza, suggerendo dove erogare le risorse, garantendo che la donazione sia rispettata e che vada a buon fine.  Valorizziamo le donazioni private della società civile in quanto siamo un ente gestore per la realizzazione di progetti, inoltre garantiamo la reputazione, la serietà e la valorizzazione delle attività.
Non  si tratta di un cosiddetto crowding out, ovvero una  gestione diretta del Comitato delle attività sul territorio.  Altre fondazioni infatti hanno spiazzato la società civile, perché l'hanno sostituita nella sua funzione di promotrice di attività a scopo sociale, assumendosi direttamente la conduzione dei progetti sul territorio.
Invece noi creiamo e stimoliamo nuovi soggetti attivi, oltre che riceventi, perché stimoliamo le capabilities, intese come talenti e potenzialità. Sono proprio finalità diverse.

Quali caratteristiche?
Da che ci siamo costituiti in comitato, sono nati quasi 15 fondi, solo grazie all’azione del passaparola.  Sicuramente la nostra competenza nel settore, ci ha premiato sulle manifestazioni di fiducia. Diversamente dalle Fondazioni di Comunità, non siamo legati a nessun territorio in particolare e non abbiamo un’Istituzione madre, come le Fondazioni di origine bancaria.

Punti di forza?
Siamo in grado di gestire proprietà per conto di altri Enti.  Facciamo un esempio: gli Enti religiosi spesso hanno ingenti patrimoni, frutto di accumuli nei secoli, che nessuno gestisce, per via dell’attuale crisi vocazionale. Le confraternite sono prive di personale.
L’impossibilità della gestione, costringe gli Enti alla vendita dei patrimoni, a rischio di speculazione sul mercato, perché l’urgenza espone alla svendita.
Il Comitato, conoscendo la storia delle confraternite e avendo i requisiti per una buona amministrazione,  offre l’opportunità del mantenimento della proprietà,  delegando a un gestore selezionato fra le meritevoli organizzazioni della società civile. La scelta cade ovviamente sulle realtà in grado di rispettare le volontà della proprietà.  Il Comitato è in grado di trovare il gestore ottimale, garantendo la continuità, senza esproprio.

Il Comitato rappresenta un ente privato?
In verità è unTrust istituzionale e non solo privato.  Il suo tasso di innovazione è dato proprio dal fatto che è composto di diverse anime, quella associazione, quella delle coperative, quella delle imprese sociali.  L’obbiettivo è quello di far fare un salto a livello europeo, per parlare con gli omologhi.

Quali rapporti con il settore culturale?
Nel campo culturale non siamo molto conosciuti. Diversamente il settore sociale è più consapevole delle opportunità che il Comitato offre.
Dovrebbe diffondersi l’informazione che un potenziale donatore che voglia sostenere la cultura, tramite il Comitato, ottiene garanzie di specchiata trasparenza ed efficacia della sua generosità, considerato che la Presidenza della Repubblica e la Prefettura siedono nel Board dei consiglieri.  Dall’altra dovrebbe passare il messaggio verso i filantropi privati, che in Italia è una mistificazione pensare che solo attraverso la pressione fiscale si possa garantire la presenza di fondi per la cultura. Il rilancio della cultura passa anche per dono.  Sono posti di lavoro per ottenere il bene comune.
Il fenomeno del crowdfunding dimostra che i fondi e la volontà ci sono. Quello che manca è un'operazione fiducia. Un soggetto come questo si  accredita con il tempo e percorsi relazionali basati sulla fiducia.  La fiducia deriva dal latino «fides», che significa corda. Il messaggio è che allacciando corde, collegando, creando reti con sistemi informali basati sul rapporto umano diretto, si riesce a catalizzare la sfiducia del momento e mutarla in positivo.
A volte temiamo di ricevere più erogazioni di quante siamo in grado di gestirne, per via del nostro accreditamento istituzionale.

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