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L’Audience Development sotto le luci della ribalta

  • Pubblicato il: 15/12/2017 - 00:04
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Luisella Carnelli, Osservatorio Culturale del Piemonte, Fondazione Fitzcarraldo

Il settore culturale sta vivendo una fase di fortissimi scossoni sismici imputabili a fattori esogeni ed endogeni. Al di là dell’inevitabile retorica che accompagna il tema dell’Audience Development (AD) nella crescita di attenzione di operatori culturali e policy makers, anche grazie alla sottolineatura operata dal programma europeo “Creative Europe” (2014-2020)” è opportuno puntualizzare alcuni concetti per evitare il rischio che l’AD possa essere visto come “un feticcio salvifico e politicamente vincente da giocare al ribasso e su puntate sicure; attrezzi moderni per riparazioni obsolete e non più richieste”. Ne parla Luisella Carnelli, che ha offerto questa riflessione all’Osservatorio Culturale del Piemonte.
 

Al di là dell’inevitabile retorica che accompagna il tema dell’Audience Development (AD) nella crescita di attenzione di operatori culturali e policy makers, anche grazie alla sottolineatura operata dal programma europeo “Creative Europe” (2014-2020) - che identifica lo sviluppo dei pubblici non solo come obiettivo trasversale a molte sue azioni, ma anche come approccio strategico e progettuale richiesto ai soggetti culturali destinatari di tali azioni[1] – è opportuno puntualizzare alcuni concetti per evitare il rischio che l’AD possa essere visto come “un feticcio salvifico e politicamente vincente da giocare al ribasso e su puntate sicure; attrezzi moderni per riparazioni obsolete e non più richieste” (Bollo, 2017).
Se da un lato, soprattutto nel contesto anglosassone e scandinavo, la dimensione operativa che lo vede applicato alla scala delle singole istituzioni da anni si sta rafforzando come modus operandi; dall’altro, la centralità che questo tema assume all’interno di Europa Creativa ne sottolinea l’importanza dell’intenzionalità politica, che nasce dalla constatazione di come la scarsa partecipazione culturale sia un’opportunità mancata che si traduce in perdita culturale, economica e sociale.
Dando per acquisito il fatto che indubbiamente il settore culturale sta vivendo una fase di fortissimi scossoni sismici imputabili a:

  • insicurezza sociale ed economica che ha reso più evidente l'incapacità di vecchi paradigmi e modelli nel traghettare istituzioni, operatori culturali e persone in uno scenario dai confini certi e securizzanti;
  • trasformazioni generate dagli ormai “abituali” ecosistemi digitali onnipresenti, che influenzano il modo in cui le persone producono e partecipano alla cultura, con le loro richieste di esperienze più personalizzate e autentiche e con necessità di spazi e opportunità collaborative;
  • sempre più stringente contrazione dei finanziamenti pubblici che minano la legittimità sociale della cultura come investimento;

molte istituzioni culturali hanno iniziato a ripensare il proprio ruolo, per trovare nuova rilevanza, per esplorare nuovi modi per perseguire la sostenibilità, superando la visione che in un passato recente ha portato molte di esse a concepire la propria sostenibilità economica e la propria legittimità indipendentemente dalla capacità di coinvolgere una base sociale allargata.
Tanto i più recenti studi sul tema, quanto i numerosi progetti incentrati su un cambio di paradigma che mette il pubblico al centro, al di là della retorica e delle “mode” del momento, evidenziano come questa visione (o approccio) implichi la necessità di un profondo ripensamento da parte delle organizzazioni culturali sul senso della propria azione e su chi debba esserne il destinatario.
Questo cambio di paradigma, causa ed effetto dell’emersione di nuove liturgie di pratica e fruizione culturale, figlie di modalità interpretative e comportamentali alimentate dall’inarrestabile e progressiva stratificazione, ibridazione e multidimensionalità della partecipazione culturale, necessita una profonda comprensione e genera impatti (non sempre inizialmente previsti e prevedibili) sia rispetto al contesto sia rispetto all’organizzazione stessa. Tutto ciò appare in linea con il concetto attuale più evoluto di AD che non si esaurisce esclusivamente nel raggiungimento di obiettivi di crescita quantitativa della domanda di cultura, ma anche nella diversificazione dell’audience, andando a stimolare pubblici potenziali e nuovi attraverso innovazione e cambiamento nei format progettuali, nelle logiche di partecipazione e mediazione, negli strumenti di ascolto e di comunicazione, nell’utilizzo consapevole delle tecnologie e del digitale. Appare pertanto evidente che l’AD non può essere concepito solo come un insieme di technicalities o come dispositivo nominale di avvertimento in merito all’importanza di considerare e agire su pubblici diversi (per background sociale ed economico) al fine di ottenere i migliori risultati economici e perseguire la missione istituzionale. Si configura, invece, come un approccio capace di prefigurare una “terza via” che metta al centro delle politiche pubbliche la società come destinataria e attrice di un ripensamento delle attività educative e della cultura (e dei relativi modelli di partecipazione) come strumento di crescita, cittadinanza, coesione e integrazione sociale.
Pur nella diversità dei contesti (territoriali, culturali, politico-normativi), dell’ambito culturale di afferenza, della tipologia dei soggetti coinvolti (teatri, musei, centri culturali ibridi, biblioteche, festival, spazi per la danza, luoghi di produzione contemporanea e musicale, etc.) e delle loro dimensioni economiche, si possono rintracciare alcuni fattori chiave che ricorrono e attraverso cui si sostanziano le strategie di AD e da cui dipende, molto spesso, la possibilità di condurre con successo azioni di avvicinamento e di coinvolgimento del pubblico e che possono attuarsi tramite processi di innovazione di prodotto o di processo.
La giornata del 21 giugno scorso, organizzata da Compagnia di San Paolo e Osservatorio Culturale del Piemonte e dedicata all’AD, che ha visto la realizzazione di 315 colloqui che hanno coinvolto più di 100 operatori, ha dato ulteriore conferma[2] di quali possano essere gli ambiti di applicazione e di innovazione nel momento in cui le organizzazioni culturali adottino approcci capaci di mettere i pubblici al centro.
Lo spazio fisico e architettonico e, più in generale, l’ambiente e il contesto in cui l’esperienza prende senso divengono terreno di sperimentazione e di ri-progettazione all’interno di logiche inclusive, per coinvolgere pubblici diversi, rafforzarne comportamenti di abitudine e di fedeltà, costruendo senso di appartenenza e di comunità, ibridando pubblici che difficilmente entrerebbero in contatto tra di loro. Tutto ciò può tradursi in un ripensamento del design dello spazio e delle sue funzioni per rendere i luoghi più accoglienti e aperti (come ha fatto Abbonamento Musei con il progetto per rendere i musei piemontesi Family&kids friendly), o nella “conquista” di luoghi insoliti: Tournée da bar porta il teatro e la cultura nei luoghi della quotidianità, come bar, locali notturni e circoli, riscoprendo il teatro come momento di condivisione e partecipazione; Adotta un pianista fa dell’abitazione privata il luogo dove si svolge il concerto, in una logica di rottura rispetto al confine tra spazio pubblico e spazio privato, attivando modalità nuove e meno formali di fruizione, favorendo la circuitazione di giovani pianisti e coinvolgendo direttamente i residenti nell’organizzazione dell’evento musicale; Cultura in movimento con un furgoncino itinerante diffonde contenuti culturali in contesti rurali e/o urbani periferici isolati della provincia di Cuneo attraverso installazioni audiovisive, eventi e spettacoli.
Molte organizzazioni che intendono lavorare con pubblici nuovi (secondo una logica di diversificazione dell’utenza e di inclusione di quelle porzioni di società che per differenti motivi ne sono escluse) hanno lavorato e stanno lavorando in una logica di innovazione dell’offerta e della programmazione, rinnovando, modernizzando, ri-modulando, ibridando e diversificando il proprio sistema di offerta, molto spesso intercettando bisogni silenti o incentivandone di nuovi. È questo il caso dell’Unione Musicale di Torino che con Atelierbebè e Noteingioco realizza piccoli concerti destinati alle famiglie con bambini under 3, andando a intercettare una domanda che fino ad ora era sguarnita sotto il profilo dell’offerta; in questa logica si muove anche il progetto Opera Education realizzato da AS.Li.Co di Como; entrambi i progetti evidenziano come la fascia dei neo-genitori si presenti molto sensibile e sia da considerare un target sul quale poter investire.
In queste situazioni diventa importante leggere i cambiamenti (nelle pratiche, nei comportamenti collettivi, negli immaginari e nei linguaggi) e mettersi in sintonia con i ritmi, le domande e le aspettative dei pubblici che si intendono avvicinare lavorando sui formati, sugli orari, sulla durata, sulla componente esperienziale, sul coinvolgimento attivo, sui linguaggi e sul loro intreccio. Si veda anche il progetto 10x10 – dieci minuti per dieci spettatori: dove grazie a una struttura leggera e smontabile si dà avvio a un teatro itinerante in scala ridotta con 10 sedute con spettacoli della durata di 10 minuti. In questo caso, si lavora non solo su un format alternativo in termini di durata rispetto alla usuale durata di uno spettacolo performativo, ma anche su uno spazio dove la prossimità tra spettatore e attori in scena è funzionale ad abbattere distanze reali e percepite.
Un altro aspetto importante da considerare, anche per le possibili implicazioni istituzionali e organizzative, è legato all'evoluzione emergente di approcci partecipativi e co-creati, che possono coinvolgere sia la sfera artistica, sia quella organizzativa e gestionale. Se in un determinato settore culturale (in particolare nell’ambito performativo) il coinvolgimento attivo e gli approcci co-creativi nascono dalla natura stessa del linguaggio, dello scopo artistico o dalla necessità dell'artista, per altre istituzioni come musei, biblioteche e organizzazioni di musica classica, questo modus operandi è piuttosto nuovo e in molti casi rappresenta una profonda ri-concettualizzazione delle prassi abituali. In queste situazioni, in particolare, tali nuovi approcci suggeriscono modelli organizzativi alternativi che impattano in modo considerevole sui tempi di lavoro di tutta l’organizzazione, sul rischio e sulla qualità artistica percepita. Inoltre, le modalità e le intensità nella declinazione possono essere molto differenti e variegate passando da:

  • un coinvolgimento attivo di bambini, bambine e adolescenti nel processo creativo di varie forme d’arte (teatro, arti visive, musica, fotografia, cinema, opera lirica) a partire da temi caldi del contemporaneo, come avviene nel progetto Futuri Maestri  del Teatro dell’Argine, che ha visto il coinvolgimento di oltre 1.000 giovanissimi nella creazione di uno spettacolo teatrale;
  • un coinvolgimento attivo in termini di costruzione della programmazione; ne è un esempio Rivoli Musica/Officina Musicale in cui un gruppo di studenti del percorso di alternanza scuola-lavoro sono chiamati a gestire la programmazione della stagione Rivoli Musica; anche l’Orchestra Filarmonica di Torino, con il suo Young Board affida a un gruppo di giovani under 30 la progettazione, programmazione, comunicazione e produzione di un nuovo concerto da inserire nella stagione; analogamente il Teatro di Novara che ha chiamato 30 ragazzi under 30 a creare e dirigere una rassegna di 8 spettacoli di prosa.

La capacità di raggiungere nuovi destinatari, di individuare segmenti e comunità specifiche sta anche nello sviluppo di reti, partnership e collaborazioni con una vasta gamma di potenziali stakeholder e partner non solo in ambito artistico e culturale per individuare strategie complementari e efficaci, come ONG, il mondo sanitario, quello connesso all’istruzione, quello commerciale, le società private e i media.
In una società in cui la dimensione digitale diviene sempre più pervasiva e quotidiana, è importante evidenziare come questa consenta di esplorare nuove possibilità, non solo in termini di potenzialità rispetto alla messa a disposizione di nuovi “prodotti” culturali veicolabili in modo digitale, o nella sua funzione sussidiaria o complementare rispetto alla dimensione più propriamente creativa, ma anche in termini di diffusione e di disseminazione, nell'ambito dell'analisi del pubblico (big data, dati di biglietteria, analisi dei comportamenti e delle propensioni al consumo, etc.) e nella capacità di interconnettere l'esperienza fisica e digitale per creare nuove possibilità di dialogo e relazione tra artisti e pubblico.
Indipendentemente dai fattori sui quali le strategie di AD sono costruite, una delle grandi sfide, che interessa molte istituzioni culturali, è quella di creare team di lavoro orizzontali e flessibili che partecipino e contribuiscano a tutte le fasi dall’ideazione, allo sviluppo alla valutazione. Tutto ciò al fine di incentivare una più forte collaborazione e un coordinamento tra le diverse funzioni interne, ognuna delle quali è chiamata a condividere e a prendere parte alle processualità che si intendono attuare: in particolare la direzione artistica, la programmazione, il marketing e i dipartimenti di educazione. Non solo gli studi accademici, ma anche l’analisi di numerose progettualità evidenziano come le attività di coinvolgimento del pubblico concepite da un'unica area organizzativa (educazione, marketing, informazione) risultino meno efficaci nel perseguire pubblico e obiettivi istituzionali. Questo ovviamente presuppone un’attitudine o una cura alla cooperazione e al dialogo interno costante, che può comportare sia la riorganizzazione delle modalità di lavoro, sia la necessità di acquisire skills e attitudini alla mediazione e alla gestione della leadership. Quest’ultima svolge un ruolo cruciale nell'attivazione, nella promozione e nel sostegno degli approcci per lo sviluppo del pubblico, in particolare nelle prime fasi ("riconoscendo quando è necessario cambiare").
Gli approcci centrati sull’elaborazione di nuove ritualità di partecipazione richiedono un impegno a lungo termine, una continuità, una propensione al rischio e un coordinamento delle competenze interne alimentato da una condivisione di intenti e necessità. Inoltre, si deve tenere presente che i progetti partecipativi sono spesso realizzati per piccoli numeri e tendono a riportare il discorso da una dimensione globale (per quanto attiene immaginari, linguaggi, format alimentati dai così detti big player) a una locale che comporta una costante rimodulazione dell’esperienza di coinvolgimento diretto che tenga presente le dinamiche di comunità, le antropologie e i bisogni dei territori. Questi progetti consumano sia tempo sia risorse. Ciò può creare problemi per le organizzazioni culturali che hanno bisogno urgente di dimostrare la loro capacità di generare impatto su larga scala e di ampliare il pubblico. È quindi importante sviluppare e studiare modelli organizzativi ed economici che garantiscano la coesistenza tra "progetti sperimentali" e di un'offerta più tradizionale. Da questa prospettiva il pubblico attuale deve essere armonizzato con nuovi e potenziali audience.
Stante la panoramica a volo d’uccello, appare comunque evidente la necessità per le organizzazioni culturali di riflettere con molta attenzione su conoscenze e competenze che devono essere introdotte e/o migliorate quando ci si avvia a incorporare approcci co-creativi e partecipativi. Se gli studi evidenziano come alcune competenze specifiche siano particolarmente carenti (come analisi dei dati, marketing, incontri partecipativi, gestione della comunità, mediazione, gestione digitale e sociale dei media, valutazione e monitoraggio), le esperienze sul campo evidenziano come spesso le organizzazioni culturali siano in grado di dotarsene nel momento in cui venga offerto loro uno spazio che consenta la sperimentazione e a questa si affianchino momenti di formazione e confronto (questo appare in modo evidente con il percorso di accompagnamento fornito da Compagnia di Sanpaolo all’interno del bando Open).
L’arena all’interno della quale si gioca la partita dell’AD evidenzia come convivano sia approcci reattivi (molte organizzazioni culturali cercano di rispondere a pressioni esogene come tagli di finanziamento, requisiti politici specifici, costante riduzione del pubblico attivo), sia pro-attivi, anticipando e interpretando fenomeni emergenti (ad esempio i flussi migratori, gli ecosistemi digitali, l'attivismo civico, l'innovazione sociale), producendo risposte ad hoc e innovazione in termini di proposte, formati e strategie di impegno.
 
 
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[1] Audience development is a strategic, dynamic and interactive process of making the arts widely accessible. It aims at engaging individuals and communities in experiencing, enjoying, participating in and valuing the arts through various means available today for cultural operators, from digital tools to volunteering, from co-creation to partnerships.
Audience development can be understood in various ways, depending on its objectives and target groups: increasing audiences, attracting audiences with the same socio-demographic profile as the current audience; deepening relationship with the audiences, enhancing the experience of the current audiences; diversifying audiences, attracting people with a different socio-demographic profile, including people with no previous contact with the arts.

[2] Le riflessioni confluite in questo documento nascono a partire dalle conoscenze maturate in ambito di ricerca (ricerca promossa dalla Commissione Europea “Study on Audience Development. How to place audiences at the centre of cultural organisations” realizzata da un consorzio costituito da Fondazione Fitzcarraldo (capofila), Intercult di Stoccolma, Culture Action Europe di Bruxelles ed Eccom di Roma e i cui risultati sono totalmente consultabili presso il sito Engageaudiences.eu) e di progettazione europea (ADESTE Project - http://www.adesteproject.eu/; BeSpectACTive! - www.bespectactive.eu).