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Dialoghi sull’uomo

  • Pubblicato il: 15/06/2012 - 12:00
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Ivano Paci

Il focus sull’antropologia contemporanea di Pistoia «Dialoghi sull’uomo» è diventato, in soli tre anni, un motore per l’innovazione sociale. E anche per un pizzico di turismo in più per una città ai margini delle grandi rotte toscane dell’arte e della cultura.
 
Il pensiero del Presidente di una realtà di provincia, sul ruolo delle fondazioni di origine bancaria nella cultura
La prevalenza che per lunghi anni è stata assegnata alle erogazioni per larte, soprattutto sotto la forma del restauro di beni artistici, e la cultura, non potrà ripetersi in futuro nella stessa misura, perché la spinta che viene dai bisogni indotti dalla crisi porta inevitabilmente a trasferire una quota importante di risorse verso le emergenze sociali. Per quanto ci riguarda, non c’è quasi edificio di rilevanza storico-artistica nel quale non siamo intervenuti, ma in futuro saremo presenti soprattutto su progetti di animazione culturale, come il «Festival Dialoghi sull’uomo» dedicato alla antropologia e sociologia del contemporaneo.
 
Un’infrastruttura di pensiero per il territorio…
Questa iniziativa ha avuto una risposta straordinaria. Sta diventando un appuntamento che la città aspetta, al quale si prepara e che rappresenta un momento di condivisione di conoscenze e di interessi. Quest’anno affronteremo il ruolo del dono e della gratuità e del suo rapporto con lo scambio, per migliorare la qualità della vita personale e sociale. Se nel nostro Paese, dove prevale la cultura dell’individualismo, riusciremo a recuperare un sentire comune anche in termini di solidarietà e di azione sociale disinteressata, potremo dire di aver dato un buon contribuito per far crescere il senso di condivisione dei problemi della comunità, per concorrere a comprenderli e, se possibile, dare un contributo utile alla loro opportuna soluzione.
 
Una componente significativa dei vostri investimenti è destinata a progetti propri. Perché questa modalità d’intervento?
È un’evoluzione comune a molte fondazioni: dal finanziamento delle proposte di terzi, che peraltro prosegue, ci siamo accorti che il territorio aveva bisogno di un soggetto propositivo e realizzatore. Siamo convinti di questa direzione e le risorse destinate ai progetti propri avranno un peso progressivamente crescente. Abbiamo sempre annunciato e chiarito le ragioni di questa scelta strategica e non abbiamo mai avuto obiezioni a riguardo. Quando interveniamo direttamente nell’edilizia sociale o attraverso iniziative come il Festival o la «Fondazione Promusica», realizziamo progetti di rilievo che producono un reale valore aggiunto.
 
Come avviene la concertazione con le politiche locali? C’è un dialogo fattivo, una compartecipazione?
Dipende dalla natura delle iniziative. Non tutti gli interventi sono concertati, perché alcuni necessitano di una visione unitaria e di una forte direzione. Nel campo dell’edilizia sociale, alla quale abbiamo deciso di destinare risorse molto importanti, è indispensabile operare in stretto confronto e accordo con gli enti locali. Per quanto riguarda il Festival, la concertazione è di tipo organizzativo. Non dobbiamo dimenticare che il nostro organo di indirizzo è plurale, composto da persone designate dagli enti locali, da associazioni di categoria e del volontariato, e da altri enti significativi presenti sul territorio. Ogni anno organizziamo un’assemblea pubblica generale, dove, oltre alle istituzioni e alle associazioni, ogni cittadino è libero di intervenire, nella quale diamo conto del nostro operato e illustriamo le linee di azione per il futuro.
 
Tra il 2010 e il 2011, in controtendenza, il vostro monte erogazioni è salito e nel settore culturale è a un livello record.
Abbiamo attinto a fondi creati preventivamente non al fondo di stabilizzazione delle erogazioni, che è rimasto intatto. Buona parte delle somme che compaiono nei bilanci 2010 e 2011 si riferiscono al restauro di un bene di grande valore che è la sede della Fondazione, un palazzo storico del ’700, nonché ai fondi precostituiti per interventi nell’edilizia sociale.
 
Da molte parti è invocata un’evoluzione normativa. La Carta è una
risposta in quale direzione?
Le fondazioni di origine bancaria sono ancora dei soggetti incompresi. La Carta delle fondazioni dà organicità a un modo di agire diffuso nella cultura delle fondazioni ed è uno sforzo molto importante di autoregolamentazione, d’interpretazione del proprio ruolo, di auto-consapevolezza allo scopo di dare una forma permanente e consolidata a quello c he l’esperienza ha col tempo dimostrato essere la migliore prassi, per poter affrontare meglio e inmodo più omogeneo, anche nel rispetto delle singolarità, i difficili problemi del futuro. Buona parte della mia attività pubblica in questi anni è stata proprio quella di spiegare che cosa siamo e che cosa facciamo. Sul nostro territorio non riceviamo le tipiche critiche di autoreferenzialità, di soggezione a condizionamenti politici, di centro di potere clientelare. Su un piano generale, le fondazioni sono invece oggetto di attacchi, che talora tendono a metterne in discussione la stessa esistenza, o che ne danno un’immagine molto distorta. In ormai venti anni di vita, però, non è mai emerso alcun caso di mala gestio. Si possono discutere le singole scelte, ma fino ad oggi le fondazioni hanno rappresentato uno dei rari casi nel nostro paese dove non sono emerse particolari criticità. Le autorità economiche hanno approvato che le fondazioni esercitassero il loro ruolo di fattore di stabilità nell’azionariato delle banche. Le organizzazioni del Terzo Settore e del volontariato, le strutture sanitarie locali, le strutture scolastiche e le Soprintendenze ci benedicono. Gli attacchi esprimono solo pregiudizio. La Carta delle fondazioni indirizza quindi un modo di porsi nella nostra vita interna e nei nostri rapporti con il territorio; non indica scelte concrete, ma un modo di essere che è frutto dell’esperienza e della riflessione che questa esperienza ha generato, anche in ordine ai rapporti con altri soggetti rilevanti della vita sociale, a cominciare dalle istituzioni locali e dalle espressioni della società civile.
 
Forse una ragione dell’incomprensione del ruolo è stata l’eterogeneità delle interpretazioni?
Le FOB sono 88. Una famiglia fatta di membri con caratteri molto diversi, tuttavia credo ci sia più sovrapposizione e omogeneità nell’attività svolta e nei criteri adottati, piuttosto che differenze. Ma ogni realtà ha un’esperienza propria in base alle modalità con cui si è rapportata con la banca conferitaria e con il territorio ed i suoi bisogni. Ci sono circa dieci grandi fondazioni che sono qualitativamente diverse dalle altre. Le tematiche di intervento di Cariplo, di Verona o della Compagnia di San Paolo sono incomparabili con quelle di Pistoia. Non è un elemento di inferiorità, ma siamo di fronte a dimensioni e a possibilità di azione incomparabili ed anche i territori di riferimento sono assai più ampi.
 
Un’ultima considerazione sull’apertura alla contemporaneità.
Abbiamo trovato un educatore d’eccezione in Giuliano Gori, fino all’anno scorso nostro vicepresidente, vero apostolo dell’arte contemporanea, soprattutto ambientale, con la sua Collezione di Celle nota in tutto il mondo. Dal 1997 ci siamo impegnati in questa direzione, con un percorso di installazioni di artisti di grande rinomanza internazionale, volto ad avvicinare la nostra comunità alle espressioni della creazione artistica del nostro tempo. Non si può pensare che larte non abbia più nulla da dire. I risultati sono diffusi, visibili e importanti. Abbiamo, tra le altre, installazioni urbane o all’interno del Padiglione di Emodialisi del nostro ospedale, costruito ex novo a totale carico della fondazione, di Daniel Buren, Pol Bury, Susumo Shingu, Hidetoshi Nagasawa, Robert
Morris, Sol Lewitt, Claudio Parmiggiani, Dani Karavaneed tra gli altri. Il nostro non è un ruolo di mecenatismo, ma un contributo per abitare e interpretare la contemporaneità.
 
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Ivano Paci è Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia dal 1992.
 
(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)