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Camera con vista. La programmazione 2017 del Centro per la Fotografia in Italia

  • Pubblicato il: 15/05/2017 - 12:10
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Giangavino Pazzola

Nella ricognizione sulla programmazione 2017 delle fondazioni per il contemporaneo, ritorniamo su Camera-Centro italiano per la fotografia a un anno e mezzo dalla pubblicazione dell’articolo nel quale parlammo dell’inaugurazione.  All’epoca l’istituzione era guidata da Lorenza Bravetta, di ritorno in Italia dopo il passaggio in Magnum Photo a Parigi. Da ottobre 2016 le è subentrato Walter Guadagnini, curriculum prestigioso maturato in realtà culturali importanti, a cavallo tra formazione, istituzione e mercato. Con lui abbiamo discusso di progetti espositivi, collaborazioni future, il ruolo del pubblico e la concezione delle immagini nella contemporaneità. Senza tralasciare gli aspetti di governance di una fondazione privata sostenuta da nomi importanti quali  Intesa Sanpaolo, Magnum Photos, Eni, Lavazza e Reda.
 


Torino – Avevamo presentato Camera come uno spazio obliquo, di dialogo, di confronto, e di approfondimento della complessità attraverso le immagini. A oltre  un anno  di distanza, è possibile affermare che questa sfida alla complessità è stata abbracciata non solo dagli ideatori e sostenitori di questo progetto, ma anche dalla città intera. Un “effetto calamita” della fotografia sul pubblico che porta Camera a essere una delle realtà culturali più vivaci del capoluogo sabaudo. Alla volontà di conoscere e sperimentare attraverso tale linguaggio di espressione artistica si è aggiunta la necessità di indagare la società e gli eventi che la attraversano per mezzo del suo filtro. Ne abbiamo parlato con Walter Guadagnini, da ottobre direttore di questo Centro per la fotografia,  uno dei maggiori esperti in materia sul piano nazionale: dalla Cattedra di Storia della Fotografia in Accademia a Bologna e Torino sino alla Galleria Civica di Modena, dalle innumerevoli pubblicazioni e le collane editoriali sulla storia della fotografia, alla presidenza, da 15 anni,   della commissione scientifica Unicredit per l’arte. Qui sotto il suo parere sul battito della fotografia in Italia, esigenze e virtù.
 
Come si svilupperà la programmazione per il nuovo anno?
Ci sono due binari per lo sviluppo della programmazione del 2017: uno ci vedrà lavorare in continuità con l’impostazione data da Lorenza Bravetta e, due, la volontà di indagare i grandi temi socioculturali che attraversano la società. Il primo approccio è orientato ad analizzare le tendenze e le correnti artistiche andando in profondità nella ricerca del singolo autore, il secondo approccio si avvale della fotografia per parlare, allo stesso tempo, delle evoluzioni del linguaggio fotografico e di quelle della società nella quale viviamo. Per esempio, con la mostra dei fotografi della Magnum, abbiamo cercato di dimostrare come la fotografia cambiasse con l’evolversi degli usi e dei costumi sociali. Cercheremo di approfondire questo principio anche nella prossima mostra “Paparazzi” che, nonostante metta in mostra un fenomeno nato e radicato negli anni Sessanta, ci allontanerà dall’operazione nostalgica degli anni passati perché il focus sarà legato al modo di leggere la cultura dell’immagine attraverso un filtro – quello dell’immagine rubata e il rapporto con le celebrities.
Gli elementi espliciti di continuità con il vecchio corso di Camera, come per esempio l’inaugurazione della mostra di Erik Kessels, già decisa da Lorenza Bravetta, sarà curata – come da programmi – da Francesco Zanot. Sarà una mostra monografica su un autore fondamentale nella ricognizione dell’attuale panorama della fotografia contemporanea mondiale.  Questa tipologia di progetti proviene dalla precedente direzione, artistica ma vorrei tenerli e ampliarli anche nella mia gestione. Lo stesso si può dire per la mostra storica sull’opera fotografica di Carlo Mollino, con la quale presenteremo la prima grande antologica completa. Le monografiche che presenteremo avranno un’attenzione particolare per gli aspetti di studio e di ricerca.
Per la programmazione annuale, in totale, prevediamo di inaugurare quattro grandi mostre grandi e quattro focus. Abbiamo deciso, inoltre, di presentare dei progetti speciali in un’altra parte dello spazio espositivo, che funzionerà con ritmo regolare, in parallelo con le altre mostre. È una parte importante della programmazione nella quale promuoveremo autori non ancora ben conosciuti, progetti speciali e attività sperimentali. Attualmente in mostra abbiamo Valerio Spada, e presto apriremo una mostra di Stefano Cerio dove, per l’appunto, presenteremo una selezione di immagini dal suo ultimo libro. 
Continueremo di proporre le conferenze del giovedì di Camera, considerando la forte adesione di pubblico che stiamo riscontrando. Negli incontri abbiamo affiancato testimonianze dirette dei fotografi con lezioni sulla storia della fotografia tenute da esperti e – tenendo conto dell’intensità della partecipazione del pubblico – stiamo pensando di aggiungere un altro giorno alla settimana.

Quali collaborazioni prevedete di attivare sia sul livello locale sia internazionale?
Prevediamo delle collaborazioni fuori sede. Per il momento è formalizzato un programma di approfondimento per la mostra di Paparazzi, con la Reggia di Venaria, a ottobre, che  presenterà una mostra di Lindberg, un famoso fotografo di moda,  con  – di conseguenza –  molti punti di tangenza con i nostri soggetti. Faremoi incontri insieme e condivideremo l’offerta del programma collaterale. Per l’anno prossimo, l’Accademia Albertina sta preparando una mostra su Leo Matiz e noi ne ospiteremo una parte all’interno degli spazi di Camera. Di recente abbiamo fatto una mostra di Paolo Ventura insieme al Teatro Regio, partendo dai costumi che l’autore aveva realizzato per lo spettacolo i Pagliacci – in scena nel prestigioso teatro torinese. Questa mostra ha aperto la project room, un’occasione particolare legata alla città. L’accoglienza della città – nel senso di apertura alla collaborazione – è stata ottima.
Per il fuori città stiamo lavorando per far circolare le mostre prodotte da noi, come per esempio quella della Magnum che dovrebbe toccare un paio di capitali. Dovremmo chiudere una seconda tappa di Paparazzi e sulla mostra di Mollino abbiamo registrato interessi dall’estero. Dobbiamo fare inoltre un passaggio che apra prospettive di coproduzione di mostre. Quella di Kellels, in questo senso, rappresenta un tassello importante in questo senso. In collaborazione con NRW di Dusseldorf ci aiutiamo a vicenda a produrre delle installazioni importanti dal punto di vista fisico e economico, pur mantenendo la piena autonomia delle mostre che faremo a Torino e in Germania.

Quale valore attribuisce oggi all’immagine e quale al rapporto con il pubblico?
Rispetto al pubblico e alla diffusione della fotografia, un dato significativo l’abbiamo rilevato dagli incontri di storia della fotografia. Se queste potessero rappresentare un indicatore, ci  racconterebbero di un grande interesse e di un riscontro importante di pubblico che si rafforza nel tempo. Per questo motivo faremo altre quattro presentazioni entro la pausa estiva. Questa partecipazione è un dato interessante da cercare di capire, bisogna interpretare l’esigenza che porta tante persone ad aver voglia di approfondire la questione della fotografia. Quindici anni fa i numeri sarebbero stati diversi, e durante gli incontri con Ferdinando Scianna e Mark Powell la sala era davvero piena con persone disposte ad assistere in piedi. L’altra cosa interessante è vedere il legame tra pubblico e autori. Evidentemente funziona la voglia di sentire il racconto dei veri protagonisti della fotografia e, anche qui, continueremo in questa direzione con incontri con fotografi quali Susan Meiselas.
Sono tempi duri per la cultura a Torino, le vacche grasse sono un lontano ricordo. Come affronterete tale quadro e come pensate di incrementare la vostra sostenibilità economica?
Camera ha degli ottimi soci fondatori e diversi partners istituzionali, ma non  naviga nell’oro. Bisognerà fare molta attenzione alle economie. Uno dei modi più sensati e naturali per riuscire a reggere l’organizzazione di una mostra è la strada delle coproduzioni o produrre, vendere e comprare mostre. Io parlo di Camera, ma ormai Tate Modern, Centre Pompidou e altre prestigiosissime istituzioni lavorano in questo modo. Se non si collabora, non si fanno  i grandi progetti dei migliori autori. Vorremmo creare un circuito di coproduttori che ci aiutino a realizzare progetti prestigiosi che altrimenti rischiano di non vedere la luce.
Stiamo lavorando per affrontare il tema della sostenibilità, ma non vorrei annunciare delle novità senza averne avuto una conclusione. Del resto, la natura privata di Camera e il sostegno dei quattro partner istituzionali Intesa, Eni, Lavazza e Reda – ci porta a pensare che sia fondamentale avere un buon riscontro di pubblico non solo per fare i numeri – ma per rappresentare un luogo vivace e stimolante.

In questo processo, quanto influiranno le sue esperienze passate?
Sto mettendo assieme le esperienze più importanti della mia vita professionale: la direzione della Galleria Civica a Modena – luogo deputato principalmente alla realizzazione di mostre temporanee – e la collaborazione con Unicredit – un luogo attivo di produzione culturale sul contemporaneo.
Camera è una fondazione privata e ciò permette di essere agili e mobili nella realizzazione e risoluzione di problematiche, anche se allo stesso tempo vieni percepito come una presenza istituzionale – quasi come cosa pubblica. La posizione geografica rispetto alla città è favorevole; ho il presentimento che occupando uno spazio culturale che prima non era presidiato possiamo godere di un’alta riconoscibilità.
Il pubblico che frequenta Camera è molto giovane; la fotografia porta con sé un fattore calamita. Il dato interessante è che il pubblico partecipa sempre, anche se la mostra è mainstream come quella di Magnum. Con quell’operazione, tuttavia, abbiamo conquistato qualche fascia di età più alta. La fotografia è un linguaggio che parla ai giovani, che hanno voglia di scoprire. ma anche di vedere i grandi classici – e questa interpretazione fa il paio con le sale piene durante le conferenze.
Cosa si aspetta dagli Stati Generali della Fotografia?
Mettere assieme le diverse realtà che lavorano sulle fotografie in Italia è di per sé un grande obiettivo. In Italia è tutto estremamente frammentato. Io non so quanto credere alle cabine di regia in un tema così ampio come la fotografia (a nessuno viene di pensare agli stati generali della scultura), perché è difficile fare gli Stati Generali dagli Alinari ad Olivio Barbieri: mettere ordine, generare collegamento, fornire luoghi virtuali è già un grandissimo risultato. Il vero problema della fotografia italiana è di non esser riconosciuta all’estero, e questo lo si ottiene in mille modi: essere raggiungibili può aiutare.
 
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