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ASSIFERO INCONTRA IL WELFARE CULTURALE

  • Pubblicato il: 15/06/2018 - 13:01
Rubrica: 
CULTURA E WELFARE
Articolo a cura di: 
Francesco Mannino

A Roma, il 25 maggio 2018, si è tenuto il confronto su “La filantropia è cultura. Cultura e rigenerazione economica e sociale oggi”, co-progettato con la nostra testata per l’annuale convegno di ASSIFERO, punto di riferimento per la filantropia istituzionale - d’impresa, famiglia, comunità - in Italia che, per la prima volta, ha destinato un focus al tema. Riflessioni, sguardi europei, dati e casi esemplari per comprendere il valore dell’investimento culturale a vocazione sociale.
Rubrica di ricerca in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo



Per comprendere il senso profondo di “La filantropia è cultura. Cultura e rigenerazione economica e sociale oggi”, è necessario porsi una domanda e cercare la risposta nell’intreccio proposto dall’articolazione dell’incontro di Roma. Quale ruolo può e vuole giocare  la Cultura  per le grandi sfide sociali nel welfare, come componente strutturale e come risorsa strategica e come questo ruolo si intreccia con la strategia delle fondazioni filantropiche. Partire da questo punto  è il modo migliore per cogliere, nell’anno che l’Europa dedica al Patrimonio Culturale –fuori da ogni retorica- lo sforzo di ASSIFERO di connettere il mondo delle organizzazioni e dei pensieri che si ispirano al dibattito (e alle pratiche) del welfare culturale, e le decine di fondazioni ad essa associate presenti il 25 maggio presso la Fondazione Exclusiva, che ha ospitato l’Assemblea annuale della rete, per la prima volta focalizzata su questo tema.
 
Se infatti in Italia una persona su tre è a rischio di povertà o esclusione sociale (Cicerchia per ISTAT, 2018), se aumenta l’incidenza di individui a rischio di povertà (20,6%), se aumenta la quota di quanti vivono in famiglie gravemente deprivate (12,1%), e aumenta quella delle persone che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (12,8),  se la povertà educativa dei nostri minori si salda sempre più ai fenomeni appena elencati, insieme alla crescente esclusione culturale, la domanda da cui tutti (ASSIFERO come associazione, le sue Fondazioni associate, gli ospiti intervenuti) sono partiti quel giorno è stata semplice e potente: ma davvero con il sostegno filantropico alle diverse forme culturali e artistiche si può produrre benessere permanente delle persone e delle comunità e intervenire sulle fragilità sociali? La risposta non è semplice, multidimensionale, in una trama tessuta dai diversi relatori, per restituire un primo senso alla domanda di partenza.
 
E che sia proprio ASSIFERO a creare l’occasione per indagare risposte a quella domanda è davvero significativo: molte delle sue fondazioni investono in cultura ma, consci della responsabilità che deriva dall’impiegare risorse economiche e professionali, si chiedono spesso quali siano le forme più adeguate alle sfide sociali che si presentano di continuo, per aumentare l’impatto. E si chiedono anche se l’investimento su progetti a ciclo breve sia adeguato a rispondere a quelle sfide e a sostenere le organizzazioni che le affrontano con le loro pratiche: questa la questione centrale avanzata con la condivisione  dei ragionamenti proposti il mese scorso su Il Giornale delle Fondazioni da Carola Carazzone, segretario generale di ASSIFERO. «Il tema centrale è “quale Cultura” o “quali Culture”, in termini di valori civili, etici, filosofici e democratici, è necessario promuovere in un momento in cui si rischia di navigare a vista rispetto a queste tematiche», aveva affermato il presidente di ASSIFERO, Felice Scalvini, sulle  nostre colonne, nel ciclo di interviste preparatorie al convegno.
 
L’incontro è partito proprio dalla dimensione internazionale della questione, da quella Convenzione di Faro “sul valore del patrimonio culturale per la società”, che ha generato una vera rivoluzione di prospettive (letta come accordatura di pensiero dall’attore Marco Cavalcoli) nel 2005, per metterci nelle condizioni di capire e agire: capire che il rapporto tra comunità e culture (materiali e immateriali, beni e attività) è un valore che deve essere sempre più condiviso e presente nelle governances culturali pubbliche e nelle missioni delle organizzazioni culturali; agire secondo queste linee di pensiero, calandole nelle pratiche culturali, per farle diventare generatrici di cambiamento, come ha invitato a fare il presidente di Fondazione Exclusiva Fabio Mazzeo.  E aggiungiamo, in policy e politics.
 
Prospettive che sembrerebbero essere ormai centrali in Europa dove, in questo 2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale, le industrie culturali e creative rappresentano il 5% del PIL europeo con 8,7 milioni di addetti: per la Commissione Europea parrebbe ormai indiscutibile il fatto che la Cultura sia in grado di creare straordinari meccanismi di riconquista di ricuciture sociali grazie alla sua natura di soft power, ha ricordato Luca Jahier, a capo del Comitato Economico e Sociale Europeo (l'organo consultivo dell'Unione Europea). Il presidente di CESE ha subito affermato che la cultura non è più “una questione della domenica”, quanto piuttosto un bacino di pratiche ed energie che può contrastare l’ondata reazionaria e divisiva che attraversa l’Unione. Mai come in questo momento storico servirebbe davvero un’operazione strategica in tal senso, di orientamento e di coordinamento di azioni culturali che rispondano ad una visione di unità sociale e di integrazione; una operazione che si traduca in rimodulazioni del budget, bandi adeguati e politiche che sappiano via via raggiungere i capillari più periferici dell’azione europea: le regioni, le città, le aree interne.
 
Rispetto al ruolo centrale dell’investimento strategico in Cultura ha insistito il video-intervento di Pierluigi Sacco. L’economista della Cultura e prorettore IULM, nonché special advisor del commissario Eu alla Cultura, è uno dei padri del neologismo welfare culturale, espressione che questa testata ha contribuito a diffondere.  Il valore delle azioni culturali, ancora ammantate da un forte pregiudizio che le riconduce spesso all’intrattenimento o al tempo libero, è confermato dal crescente affermarsi di pratiche e da evidenze che dimostrano la potenziale efficacia del  settore culturale come  strumento di empowerment delle persone e delle comunità: leva sì di sviluppo, ma sostenibile e consapevole,  con una rilevanza  riguardo le fragilità dei nostri contesti sociali.
 
In Europa molti progetti stanno percorrendo queste strade: tante forze sociali attraverso i linguaggi e le pratiche del teatro, musica, danza, arti visive lavorano  per produrre benessere e rafforzare le relazioni tra le comunità.  A ricordarlo, l’intervento di Enrica Flores d’Arcais, dirigente della European Cultural Foundation, una tra le principali fondazioni europee impegnata da oltre 60 anni nella promozione della Cultura come agente di cambiamento sociale, che sostiene proprio quell’impronta culturale di molti progetti sociali sul territorio dell’Unione. “L’innovazione sociale è innovazione culturale e ogni innovazione culturale è sociale”, affermiamo spesso da queste colonne.
 
E in Italia, cosa accade? ISTAT ha da poco pubblicato il suo Rapporto Annuale, e Annalisa Cicerchia, ricercatore senior dell’Istituto, con i numeri e con le riflessioni ha raccontato il Paese in termini di partecipazione culturale, ma non solo: le analisi ISTAT dimostrano delle correlazioni sempre più forti del settore culturale con la salute dei cittadini, con il loro benessere e soprattutto con la loro partecipazione sociale in forma di cittadinanza attiva, aiuto degli altri, reti sociali. Reti che, dove esistono, contrastano odio e diffidenza, contribuendo in maniera assai concreta al cambiamento coesivo del nostro Paese.
 
Reti che spesso emergono in forma visibile e leggibile quando aderiscono a bandi e iniziative finalizzate a stimolare l'innovazione culturale, la rigenerazione di edifici dismessi o addirittura di intere aree urbane o extraurbane, e le relative pratiche di comunità, ingredienti necessari ad innovare i processi sociali. Il sociologo Bertram Niessen, direttore scientifico dell’associazione Che Fare, ha restituito la lettura di scenario domestico che emerge dai 1.800 progetti ricevuti ed esaminati dalla sua organizzazione che sostiene progetti di innovazione sociale: uno straordinario e composito ventaglio di azioni e idee sostenute da realtà che si muovono con sistemi misti di finanziamento per  proporsi come agenti di cambiamento sociale attraverso le leve culturali. Organizzazioni giovani, con elevato capitale umano, molto veloci e concrete, che non sempre trovano interlocutori pubblici pronti a riconoscerne il valore strategico o capaci di reagire in tempi utili alle sollecitazioni operative richieste. Rimane cogente però il tema della capacità di tenuta di queste organizzazioni, a fronte della rilevanza sul lungo periodo delle loro azioni e della sostenibilità di queste ultime. E, non di meno, degli impatti profondi che i processi di rigenerazione urbana producono sul medio-lungo periodo, anche in termini di nuova gentrificazione prodotta dalle cosiddette “classi creative”.
 
A proposito di sostenibilità, risulta evidente che le imprese culturali trovano nella filantropia una risorsa sempre più preziosa per le proprie attività, a fronte della contrazione strutturale delle risorse pubbliche. A ricordarlo è stato Andrea Cancellato, presidente di Federculture, per quasi vent’anni direttore della Fondazione “La Triennale di Milano” e oggi direttore di MEET, il centro internazionale per la cultura digitale di Meet the Media Guru e Fondazione Cariplo, che ha denunciato una percezione ancora riscontrabile della cultura come  lusso e allo specialismo.
In questo senso Cancellato ha offerto un assist alla sessione dell’incontro rivolta alle esperienze degli imprenditori culturali coinvolti dal Giornale delle Fondazioni per il convegno ASSIFERO per ascoltare e comprendere cosa fanno e che obiettivi raggiungono le organizzazioni che ogni giorno operano, componendo l’articolato mosaico del welfare culturale italiano. Organizzazioni giovani (sostenute da fondazioni di diversa natura) rappresentate da persone giovani e capaci di raccontarsi con i linguaggi contemporanei, che hanno saputo consegnare ai presenti spunti concreti di riflessione sul grado di innovazione sociale che la progettazione culturale può introdurre nei processi umani dei territori di riferimento.
 
Così Nicola Facciotto, Fondatore e Presidente di Kalatà – Mondovì (CN), raccontando della emozionante esperienza di valorizzazione avanzata del Santuario di Vicoforte – bene culturale “dormiente” in un’area interna – ha aperto il ragionamento chiedendosi come includere tutti coloro che spesso, invece, le organizzazioni culturali lasciano letteralmente fuori dalle porte delle proprie attività.
 
Sullo stesso registro Fabio Viola, Presidente dell’associazione TuoMuseo, che ha invitato provocatoriamente il settore culturale ad uscire dall’autoreferenzialità che lo contraddistingue: dall’antica “vocazione” della cultura prodotta “da pochi per pochi”, e poi alla più recente “da pochi per molti”,  Viola osserva che si sta inesorabilmente passando a una produzione culturale di “molti per molti”. Il progettista ha prodotto con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli l’applicazione mobile Father and Son che, al di là dei successi di download (oltre 2 milioni in otto paesi) e di fatturato, dimostra che il coinvolgimento attivo mediante tecnologie genera nuovi pubblici e nuove forme di partecipazione culturale.
 
Da Mazara del Vallo proviene il progetto di rigenerazione urbana e sociale presentato da Carlo Roccafiorita, fondatore e ideatore della cooperativa Periferica, una organizzazione formata da creativi di ritorno, ovvero da giovani under 30 che, dopo essere cresciuti professionalmente fuori dalla Sicilia, sono tornati nella propria terra per investire su formazione, cultura e turismo come vettori di innovazione, coesione e sviluppo. In cave di pietra abbandonate ai margini della sua città, Carlo e i suoi soci hanno creato occasioni stabili di conoscenza del territorio e  nuove forme di socialità artistica, creativa e di confronto.
 
Ancora, Francesca Di Meo, Fondatrice di EYES MADE, società cooperativa sociale nata da un team multidisciplinare di persone sorde e udenti under 35, ha raccontato come attraverso la valorizzazione delle potenzialità che risiedono nelle abilità visive delle persone sorde sia stato possibile produrre crescita culturale, empowerment e aumento delle loro opportunità lavorative nel settore culturale e creativo.
 
Produzioni a impatto sociale, ad alti standard di ricerca e qualità. Fuori da ogni pietismo e buonismo. Un percorso suggelato dal regista Fabio Cavalli ha illustrato il lavoro artistico con il Teatro Libero di Rebibbia, dove detenuti e studenti universitari hanno lavorato insieme per la produzione e la messa in scena di lavori teatrali e documentari di alta qualità.
 
Alla vice presidente ASSIFERO, Stefania Mancini il compito di tirare le fila dell’incontro, davanti ad una sala ancora gremita di figure apicali del mondo delle fondazioni. E lo ha fatto ponendo domande non facili: «quanti di noi investono in Cultura, e secondo quali linee? Come usciremo dall’Anno Europeo del Patrimonio Culturale? Quanto sapremo contribuire, in qualità di fondazioni di filantropia, alla trasformazione di paradigmi culturali molto radicati? Qual è il rapporto tra cultura, sociale e povertà? Basta, ad esempio, la rigenerazione urbana? Siamo in grado di accettare questa sfida europea? ». La Mancini ha proposto una risposta, per tutte: “oltre la povertà c’è la miseria; se la povertà è economica, la miseria è culturale e sociale”. Molte delle fondazioni di ASSIFERO agiscono già su questo terreno, ma l’obiettivo di innovare il contributo filantropico sostenendo la Cultura e invocando politiche culturali capaci di contrastare non solo la povertà ma anche la miseria, rappresenterà per le fondazioni una nuova sfida orientata al cambiamento profondo di paradigmi purtroppo assai consolidati. Un invito anche a ragionare in termini di reti collaborative ampie, che per esempio sono rappresentate proprio da organizzazioni come ASSIFERO.
Parole, quelle di Stefania Mancini, che danno speranza affinché le tante iniziative culturali sparse sul territorio nazionale ed europeo, e il gesto stesso di quella bambina davanti al quadro, non rimangano azioni isolate e disconnesse, ma sempre più pezzi integrati e coerenti di un nuovo sistema di welfare a base culturale al servizio dei cittadini e delle comunità di riferimento.
 
Per approfondire: le pillole di interviste ai principali protagonisti dal sito Assifero
 
 
 
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