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Traiettorie inscindibili tra democrazia e cultura

  • Pubblicato il: 15/10/2017 - 20:00
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Maria Elena Santagati

Un’occasione per riflettere sull’innovazione tecnologica, sulla rigenerazione urbana e sulle molteplici questioni trasversali legate alla cultura, ma anche un momento di dialogo tra le diverese anime del sistema culturale. Questa la XIII edizione di Lubec (Lucca, 12-13 ottobre), incentrata sul tema Cultura 4.0. Al convegno è stata affiancata Lubec Digital Technology, rassegna espositiva di prodotti e servizi turistici e culturali, e Creathon, hackaton per i territori culturali a base digitale, quest’anno incentrato sulle opere di Puccini e Leopardi. Uno sguardo oltre i confini con la Tunisia come paese ospite, oltre a Europe Corner e Info desks sui programmi Europa Creativa ed Europa per i cittadini. Focus su Cultura e Democrazia «la democrazia, anche nei fatti culturali, si basa sostanzialmente sulla creazione delle condizioni di parresia, ovvero le condizioni per creare interazioni e interlocuzioni nella libertà, con supporti e strumenti a ciò dedicati che siano resi disponibili per un’ampia e variegata comunità (…) La creazione di questi strumenti è il lavoro da fare»
 
Lucca. Numerosi partners, tra i quali il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, ENEA, Regione Toscana, Regione Basilicata, Federazione Italiana dei Club e Centri per l’UNESCO, Associazione Europea delle Vie Francigene e il sistema camerale- anche alla luce del recente decreto d.lgs. 219/2016 che attribuisce alle Camere di Commercio competenze in materia di valorizzazione del patrimonio culturale, sviluppo e promozione del turismo e alternanza scuola-lavoro- hanno consentito la realizzazione di LuBeC2017, un programma intenso e variegato, che ha spaziato dall’internazionale al locale, toccando innumerevoli tematiche, a dimostrazione della centralità. Digitale, efficientamento energetico, appalti pubblici, art bonus, alternanza scuola-lavoro sono solo alcuni dei temi affrontati nelle numerose sessioni di approfondimento e dibattito.
Dopo i saluti di apertura, la sessione plenaria si è focalizzata sull’iniziativa ormai imminente dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale e sulla rigenerazione urbana a base culturale.
 
Ad approfondire il primo focus, Erminia Sciacchitano, esperto MIBACT distaccato presso la Commissione Europea e Chief scientific advisor per l’anno europeo del patrimonio, che ha tra l’altro ripercorso il difficile cammino che ha portato alla proclamazione dell’iniziativa, ovvero ad un riconoscimento politico della centralità della cultura. «Si è compreso che il patrimonio culturale è allo stesso tempo nazionale ed europeo, in quanto in gran parte costruito prima della nascita degli stati nazionali». Molteplici le iniziative europee previste per il 2018, con un budget di 8 milioni di € e un programma costruito attorno ai 4 pilastri della partecipazione, sostenibilità, protezione e innovazione. A livello europeo, negli ultimi anni sono fiorite iniziative di varia natura su questi temi, «ma servono politiche attive per la partecipazione culturale, l’offerta culturale non basta». «Per un’Europa a base culturale si deve partire dall’identità, è necessario lavorare sulla memoria. Questa è un’occasione importante per promuovere una riflessione profonda sulla strada da intraprendere dal 2018 in poi», afferma Sciacchitano. Ad arricchire il dibattito, gli interventi di Lorenzo Casini, consigliere giuridico MIBACT e docente all’IMT Alti Studi di Lucca, che si è soffermato sulla necessità di una maggiore cooperazione interistituzionale per far fronte alle nuove sfide che si aprono in materia, e di Christian Greco. Il giovane direttore del Museo Egizio di Torino, partendo dalla brillante e innovativa esperienza torinese, ha sottolineato l’esigenza di un nuovo corso per i musei italiani, che possano diventare compartecipativi, fortemente radicati nella città e con un forte orientamento alla ricerca (per un ulteriore approfondimento si veda in questo numero l’intervista a Greco a cura di Giangavino Pazzola).
Il secondo focus sulla rigenerazione urbana ha visto l’intervento di Paolo Fontani, Direttore dell’Ufficio UNESCO a Bruxelles e della Rappresentanza UNESCO presso le Istituzioni Europee, che ha sottolineato come l’UNESCO ritenga fondamentale un approccio di sviluppo urbano basato sulla cultura. Lo dimostra il recente rapporto «Culture: urban future», che contiene i risultati di un’indagine a livello globale sul ruolo della cultura nello sviluppo urbano sostenibile, oltre a riflessioni e raccomandazioni per politiche di sviluppo urbano sostenibile integrato. Nella stessa direzione, altre iniziative UNESCO volte allo sviluppo di imprese culturali e creative in zone di conflitto o post-conflitto, tra cui il  Creative Industries Support Programme (CISP) in Cambogia.
 
Carmine Marinucci, Direttore Direzione Committenza ENEA, ente strumentale del Ministero dello Sviluppo Economico, si è soffermato invece sulla valutazione energetica di edifici storici e culturali e sul progetto di efficientamento energetico «Patrimonio in classe A» (per un ulteriore approfondimento si veda in questo numero l’intervista a Marinucci a cura di Emanuela Gasca). A concludere il focus, Claudio Arcovito, Responsabile marketing e area clienti di ANAS: «In parallelo ad un piano di efficientamento e manutenzione stradale, ANAS ha intrapreso un piano di valorizzazione delle infrastrutture». Da qui nasce l’esperienza GRAART, progetto di arte contemporanea urbana con l’intento di ripercorrere la storia e il mito di Roma sulle pareti del Grande Raccordo Anulare, grazie ad opere di artisti provenienti da varie parti del mondo.
 
Tra le varie tematiche discusse nelle sessioni  pomeridiane, ve ne è una che, potremmo dire, sottende a tutte le altre, ovvero «Cultura e democrazia. Quale rapporto tra il livello di cultura e quello di democrazia tra i paesi europei?». Ad aprire la sessione, Gaetano  Scognamiglio, Presidente PromoPA Fondazione, e Monica Barni, Vicepresidente e Assessore Cultura, Università e Ricerca Regione Toscana, la quale, ricordando l’espressione di Tullio De Mauro «la democrazia vive se esiste un buon livello di cultura diffusa», ha sottolineato la necessità di politiche che rimuovano gli ostacoli allo sviluppo culturale dei cittadini.
La discussione ha avuto quale perno l’Indicatore quadro su cultura e democrazia, promosso dal Consiglio d’Europa nel 2016 e realizzato in collaborazione con Hertie School of Governance (Berlino), con il supporto della European Cultural Foundation e degli Stati Membri. L’obiettivo è quello di supportare i processi decisionali dei policy-makers attraverso la valutazione di relazioni e dinamiche tra vari settori di policy, a livello nazionale e internazionale. Al fine di favorire l’ottimizzazione delle politiche culturali, l’indicatore consente di identificare, attraverso una «Tabella delle opportunità», le leve che hanno maggiore probabilità di incidere positivamente su fattori culturali e democratici in ciascun paese. L’Indicatore raccoglie dati su cultura e democrazia in specifiche dimensioni, a loro volta articolate in 17 componenti, ognuna delle quali comprende una serie di indicatori (41), per un totale di 170 variabili di 37 paesi europei.
 
Riflessioni su opportunità, vincoli e nuove direzioni di ricerca relativi all’Indicatore quadro sono state presentate da Mariella Volpe, Responsabile Sistema Conti Pubblici Territoriali-Agenzia per la coesione territoriale. In particolare, alla luce dell’obiettivo dichiarato di contribuire al policy-making, Volpe sottolinea come principali criticità la disponibilità di dati e l’approccio metodologico, che si rivelano ancora fragili per poter contribuire con indicazioni utili ed efficaci. Tra i vincoli, indubbiamente un’analisi che appare semplificata, senza profondità temporale, che correla le variabili senza individuarne i nessi causali, una comparazione internazionale, condizionata dalla disponibilità e dall’aggiornamento dei dati, che resta ancora ad una scala troppo alta e riguarda paesi molto eterogenei tra loro. Al fine di massimizzare l’efficacia dell’indicatore, Mariella Volpe suggerisce, come nuove direzioni di ricerca, l’analisi di casi studio per singoli paesi, la collaborazione tra enti nazionali di statistica per agevolare, sistematizzare e armonizzare la raccolta dei dati, l’uso di serie storiche e il confronto con aggregati più coerenti di quelli amministrativi. Uno strumento quindi ancora da perfezionare ma la cui utilità appare potenzialmente determinante.
Attraverso l’indicatore, la Regione Toscana ha intrapreso l’analisi dell’offerta culturale regionale, presentata da Sabrina Iommi, ricercatrice area economia urbana IRPET-Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana. L’analisi regionale, nonostante la Toscana risulti essere tra le regioni italiane con il più alto consumo culturale e la regione con l’offerta culturale più diffusa sul territorio, conferma la tendenza nazionale. L’Italia presenta livelli di consumo culturale inferiori a quelli di altri paesi come Francia e Germania, a causa del livello di istruzione più basso. L’istruzione influenza infatti i consumi culturali più del reddito: tra i motivi del mancato consumo culturale, il mancato interesse risulta essere il primo fattore (38%), la mancanza di tempo il secondo (27%) e l’eccessiva onerosità soltanto il terzo fattore (15%)[1]. «La correlazione positiva tra consumo culturale e democrazia tiene anche alla scala regionale e al netto dell’effetto reddito», afferma Iommi.  Coordinati da Roberto Ferrari, Direttore Cultura e Ricerca Regione Toscana, Erminia Sciacchitano e Pietro Petraroia, storico dell’arte e professore Università Cattolica del Sacro Cuore, hanno poi condiviso riflessioni sul tema.  Sciacchitano, a suo tempo membro della task force che lavorò all’elaborazione dell’Indicatore, ha sottolineato la difficoltà di conciliare l’obiettivo politico europeo con strumenti di misurazione che possano essere adeguati su scala nazionale e territoriale, il tutto in una fase di forte ripensamento del Consiglio d’Europa sulla propria strategia culturale. Esistono anche difficoltà rispetto alla fornitura di dati da parte dei singoli paesi, e quindi alla loro comparabilità, a causa di un approccio non sempre collaborativo e talvolta condizionato al mantenimento dell’anonimato. «Il valore aggiunto dell’indicatore quindi si perde, per limiti che sono ancora politici», afferma Sciacchitano. Ma a livello più generale, il lavoro fatto per la raccolta di dati in materia culturale a livello europeo è stato efficace: «Finalmente le statistiche culturali non sono più qualcosa di episodico ma fanno parte dell’albero delle statistiche di Eurostat. Tra l’altro, in vista dell’anno europeo, stiamo per lanciare anche un Eurobarometro sul patrimonio culturale».
Petraroia ha invece sottolineato la difficoltà di adattare certi indicatori ad un tessuto come quello italiano, composta da poche grandi città e da un numero elevatissimo di borghi, in un tempo in cui a livello europeo si riconosce alla città un ruolo primario nella cultura. «La percezione della città come grande piattaforma di sviluppo e di innovazione è legata alle culture delle grandi città, laddove il nostro paese ha un diverso DNA, una diversa trama storico-naturalistica e demografica, che non ci permette di abbandonare la cultura alle città, anzi ci chiede di capire se esiste un modo di concepire delle piattaforme di sviluppo culturale in modo tale che le scelte politiche non taglino fuori dimensioni diverse», sostiene Petraroia. Da qui la difficoltà di trasferire astrattamente parametri di programmazione e indicatori pensati per le città. Se il rapporto tra cultura e democrazia è assodato, lo sforzo comune allora dovrebbe essere il seguente: «la democrazia, anche nei fatti culturali, si basa sostanzialmente sulla creazione delle condizioni di parresia, ovvero le condizioni per creare interazioni e interlocuzioni nella libertà, con supporti e strumenti a ciò dedicati che siano resi disponibili per un’ampia e variegata comunità di interlocutori, permanenti e occasionali. La creazione di questi strumenti è il lavoro da fare», prosegue Petraroia.
 
Come testimoniano i molteplici dibattiti avvenuti in occasione di Lubec, le traiettorie della cultura paiono ormai difficilmente arginabili e inscindibili da quelle democratiche. Da qui l’esigenza di un policy-making sempre più intelligente e sapiente, che dal confronto con sistemi altri sia capace di alimentarsi.
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[1] Cultural access and participation Report, Special Eurobarometer 899, European Commission, 2013, disponibile al seguente link: http://ec.europa.eu/commfrontoffice/publicopinion/archives/ebs/ebs_399_en.pdf