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Weston fa parlare le cose

  • Pubblicato il: 14/09/2012 - 01:57
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Chiara Coronelli
Edward Weston

Modena. Forse nessuno meglio di Edward Weston può accompagnare con le immagini la dodicesima edizione delFestival Filosofia in programma in settembre a Modena, Carpi e Sassuolo. Le «Cose», questo il tema che sarà al centro di incontri, lezioni magistrali e conferenze, sono intese come materia pura, come oggetti di produzione e di consumo, come feticci, come veicoli di implicazioni sentimentali ed estetiche, ma anche come misteriosa quintessenza del mondo. A parlare di quel mistero viene chiamato Weston proprio perché ha trovato nella riproduzione diretta e precisa della realtà la propria poesia. Nello spazio dell’ex Ospedale di Sant’Agostino (dal 14 settembre al 9 dicembre), saranno esposte oltre 110 stampe originali provenienti dal Center for Creative Photography di Tucson, dove è conservato il maggiore archivio dell’autore.
Promossa dalla Fondazione Fotografia, e curata da Filippo Maggia, come anche il catalogo di Skira che l’accompagna, «Edward Weston. Una retrospettiva» arriva a più di vent’anni dall’ultima mostra che gli sia stata dedicata in Italia e percorre tutti i temi toccati dal suo lavoro, passando attraverso i ritratti, i nudi, gli oggetti, i vegetali, i paesaggi. Nato nell’Illinois, ma californiano d’adozione, dopo la fase pittorialista degli esordi, dai primi anni Venti la sua fotografia comincia a cambiare, anche grazie a un periodo a New York e al soggiorno in Messico con Tina Modotti, fino a diventare campione di quella straight-photography che considera l’atto della ripresa come incondizionata adesione al reale. La forma delle cose coincide con la loro stessa essenza, il loro profilo si stacca dal fondo neutro mentre i volumi dominano l’inquadratura senza altra pretesa che darsi nella loro resa intatta. Che siano le strutture industriali dell’Ohio, le anse di una cipolla tagliata in due, la scultura naturale di un cactus, la bellezza del corpo femminile, quello che importa è l’evidenza della visione, il risultato del processo fotografico che è nell’emergenza della cosa in sé. Davanti alla purezza e alla densità satura di materia con cui i soggetti arrivano alla superficie della stampa, sembra inevitabile ricordare la citazione di Merleau-Ponty, una delle tante riproposte dal festival: «Non si può dire se è lo sguardo o sono le cose a comandare». Non si può dire se i peperoni, le dune di sabbia o i nudi di Weston siano quello che appaiono perché il suo obiettivo li rende tali, o perché non possono che apparire esattamente per quello che sono, nella loro cruda fisicità. Ma forse nel caso della sua fotografia le due possibilità coincidono perché, ancora Merleau-Ponty: «Il mondo è ciò che noi vediamo, ma dobbiamo imparare a vederlo, e questo significa che dobbiamo far parlare le cose stesse dal fondo del loro silenzio». Come sa fare Weston.

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da Il Giornale dell'Arte numero 323, settembre 2012