Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Venti anni di Libera: quando la cultura della legalità sposa la lotta per la salvaguardia del bene comune

  • Pubblicato il: 15/07/2015 - 20:53
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Andrea Archinà

SPECIALE DEMOCRAZIA. Parlare di «Cultura della legalità» oggi non significa parlare solo di lotta alla Mafia, ma di una rinnovata alleanza tra istituzioni e società civile unite nella costruzione del bene comune. Un bene comune messo il più delle volte sotto assedio dalla disuguaglianza sociale, dalla corruzione imperante, da una politica spesso incapace di dare risposte efficaci ai problemi odierni della comunità. «Cultura significa citttadini svegli, positivamente inquieti», secondo don Luigi Ciotti, con il quale conversiamo sul tema della legalità della cultura e attraverso la cultura

Classe 1945, una vita spesa nel sociale a partire dall'azione del gruppo Abele, Don Ciotti nel 1995 fonda «Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie» (www.libera.it) un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. Un impegno costante nel sollecitare la società civile a lottare contro le mafie e promuovere legalità e giustizia: la legge sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie, l'educazione alla legalità democratica, l'impegno contro la corruzione, i campi di formazione antimafia, i progetti sul lavoro e lo sviluppo, le attività antiusura, sono alcuni dei concreti impegni di Libera. Inserita nel 2012 nella classifica delle cento migliori Ong del dalla rivista The Global Journal è l'unica organizzazione italiana di "community empowerment" che figuri in questa lista, la prima dedicata all'universo del no-profit.
 
 
Venti anni di Libera. Un grande traguardo. Qual è stata la scintilla che ha fatto nascere un progetto che si è sempre più radicato nel territorio e che oggi rappresenta uno dei baluardi più saldi nella lotta contro le mafie?
Libera nasce all’indomani delle stragi di Capaci e via d’Amelio. La scintilla è la consapevolezza che la lotta alle mafie non può più essere delegata agli “addetti ai lavori” – magistrati e forze di polizia – ma deve diventare un impegno di tutti, ciascuno nel suo ruolo e nelle sue responsabilità. Non a caso la prima iniziativa è stata la raccolta di oltre un milione di firme per la legge sull’uso sociale dei beni confiscati. Quella legg, la numero 109 del 1996, salda la repressione del male e la costruzione del bene, un bene da realizzare e diffondere grazie all’impegno dell’intero corpo sociale: istituzioni e amminstrazioni, associazioni e singoli cittadini. Per vincere la mafia occorre insomma darsi tutti da fare, sradicare la mentalità di cui è portatrice e che si avvale di complicità a vari livelli come di tanta indifferenza, irresponsablità, menefreghismo. È quel generale risveglio delle coscienze che Libera, nei suoi limiti, ha sempre cercato di alimentare.
 
 
Alla base di Libera c'è la cultura della legalità che da sempre si contrappone ad un'altra cultura, quella mafiosa. In Italia sembra evidente però che la cultura perda sempre più terreno tra le priorità messe in agenda dalle istituzioni. Vede connessioni pericolose in questa tendenza?
La cultura non è solo imprescindibile per la lotta alle mafie, ma per il progresso sociale, civile, economico di un intero Paese. Cultura significa citttadini svegli, positivamente “inquieti”, consapevoli che la vita non si riduce all’Io, alla fame di possesso, di apparenza, di “successo” a cui vorrebbe relegarci la cultura del consumo. Cultura è cittadini affamati di giustizia sociale, di bene comune, di opportunità equamente distribuite. In altre parole, è impegno per affermare la dignità e la libertà dell’essere umano, a ogni livello e latitudine. Un Paese che non investe o non investe più sulla cultura, smette in quel momento di essere un Paese libero.
 
 
Appare evidente che un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura della legalità lo giochi l’educazione delle future generazioni. Qual è il ruolo di Libera in questo senso e quali sono le azioni messe in campo per costruire una società più consapevole?
Sin dall’inizio Libera ha puntato sulla dimensione educativa. La partita con le mafie, del resto, si gioca in gran parte lì. Se noi tutti fossimo i cittadini che ci chiede di essere la Costituzione, le mafie sarebbero scomparse da tempo. Ma la Costituzione non è riducibile al concetto di legalità, pur essendo la nostra legge fondamentale. Essa parla di diritti e doveri, ma non manca di sottolineare che è nostra responsabilità realizzarli e difenderli. La responsabilità viene prima della legalità, così come le leggi, prima che nei codici, si scrivono nelle coscienze, pena il diventare indicazioni astratte, che seguiamo (fintantoché le seguiamo) solo per timore o per convenienza. L’impegno educativo di Libera in questi vent’anni – nelle scuole primarie e secondarie, nelle università – ha puntato sempre sulla responsabilità, mai sulla semplice trasmissione di nozioni e principi, per quanto sacrosanti. Del resto è proprio quello che ci chiedono i giovani, nella loro sete di verità e di giustizia. A un giovane non basta sapere che le cose esistono, vuole anche sapere perché esistono!
 
 
Al centro dell'azione di Libera vi è il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Un riscatto di luoghi ma anche delle persone coinvolte nella loro gestione attraverso associazioni, cooperative ed enti locali. La legalità va di pari passo con la giustizia sociale? Che cosa manca in Italia per garantirle entrambe?
La giustizia sociale è la prerogativa della legalità. In una società come la nostra, dove si è fatta enorme la distanza fra ricchezza e povertà, e dove alcuni diritti sono scomparsi per fare spazio a privilegi, la legalità invece di essere uno strumento di inclusione e di riconoscimento, rischia di trasformarsi in strumento di esclusione e discriminazione. Lo Stato delle nostre prigioni, affollate in gran parte da “poveri cristi”, è una rappresentazione plastica di questa legalità a due marce, forte coi deboli e debole coi forti. Che cosa manca? A livello di cittadinanza, una maggiore corresponsabalità e cultura del bene comune. A livello politico manca la politica. Che, salvo eccezioni, ha smesso di essere servizio per tutta la comunità, per diventare gestione e conservazione del potere a vantaggio di pochi.
 
 
Nella lotta contro le Mafie lei ha spesso citato l'importanza del "Noi" per arginare il fenomento sempre più dilagante della corruzione quale amplificatore della cultura dell'illegalità. Nella società odierna non sono però forse sempre più visibili i germi di un individualismo che spinge nella direzione opposta? Luoghi come Certosa 1515[1] possono diventare delle oasi dove imparare a coltivare nuovamente i valori della solidarietà e della corresponsabilità?
Non vorrei eccedere in ottimismo, ma alcuni segni dicono che l’individualismo è in forte crisi. D’altronde l’attuale crisi economica è una crisi innanzitutto etica e culturale, crisi di un modello economico che prometteva benessere per tutti e che invece ci ha reso tutti più poveri, eccetto una sparuta minoranza che in compenso, da ricca che era, è diventata ricca “sfondata”. Oggi sappiamo che il futuro del nostro mondo – non solo a livello sociale, politico, ma anche ambientale – dipende da una decisa opzione per una cultura dei beni comuni, cioè della dignità e del diritto a esistere di ogni persona sulla faccia di questa terra. E ben vengano, a proposito, le parole forti, inequivocabili, che il Papa spende ogni giorno su questo tema, supplendo ai vuoti di una politica titubante, e alla latitanza di un’economia in gran parte sorda ai bisogni delle persone. Il progetto della Certosa va nella direzione di questo “noi” da costruire e affermare grazie al contributo di tutti, al di là delle appartenenze, siano esse culturali o religiose. Luogo “di sosta e di pensiero” dove si cerca di saldare la terra e il cielo e dove ognuno può dare il suo libero contributo in termini di ricerca, di riflessione, d’impegno.
Un lavoro arduo, dunque, quello che ci attende, ma che non può essere procrastinato oltre pena la perdita di quel patrimonio faticosamente raggiunto di diritti, relazioni e modalità di operare che è nostro compito lasciare alle future generazioni. Lo dobbiamo a loro, ma soprattutto a noi stessi.
 
Articoli correlati:
Può esistere legalità senza cultura?
Il cinema per la cultura della legalità
 
 

 
[1] Negli anni 90 del secolo scorso il Gruppo Abele si attivò per l'acquisto e il restauro dell'antico Convento di San Francesco ad Avigliana in Val di Susa. Un lavoro intenso durato 18 anni che dal 2011 ha permesso che un luogo così ricco di storia rimanesse fedele alle sue radici. Dal settembre 2011 l'antico convento, ora di proprietà del Fondo Social & Human Purpose della REAM SGR di Torino e gestito dall'associazione Certosa1515 Onlus, è un polo diaccoglienza dotato di 75 posti letto e sale conferenze  a disposizione di organizzazioni, imprese, gruppi o semplici turisti che cercano un luogo unico per bellezza, storia e versatilità in cui organizzare le proprie attività. www.certosa1515.org