Una Divina Commedia tra angoscia e visioni celestiali di Doré, Scaramuzza, Nattini
Mamiano (Pr). Attraverso le raffigurazioni degli artisti Francesco Scaramuzza (Sissa, Parma 1803 - 1886), Amos Nattini (Genova 1892 - Parma 1985) e il noto Gustave Doré (Strasburgo 1832-1883) la Fondazione Magnani Rocca propone dal 31 marzo al 1° luglio una analisi della Divina Commedia «multimediale». Non solo grazie alle immagini, naturalmente, ma pure grazie all’ascolto delle suggestive note della «Sinfonia dantesca» che Franz Liszt dedicò al poema dantesco. La rassegna «Divina Commerdia. Le visioni di Doré, Scaramuzza, Nattini», curata da Stefano Roffi con sostegno economico della Fondazione Cariparma, Cariparma Crédit Agricole e Campus S.p.A (catalogo Silvana Editoriale), trova origine nell’eclettismo culturale (ma a lui sarebbe piaciuto questo termine?) del Fondatore Luigi Magnani che in vita si occupò non solo di arte visiva ma pure per molti anni di musica. La Fondazione parmense oggi presieduta da Giancarlo Forestieri, infatti raccoglie opere del collezionista (lavori di Gentile da Fabriano, Filippo Lippi, Dürer, Tiziano, Rubens, Van Dyck, Goya, Cézanne, De Chirico, de Pisis, Morandi, Canova), scomparso nel 1984, collocate nella villa di campagna in cui viveva e riceveva intellettuali come Zeri e artisti come Morandi. Tutti e tre gli artisti scelti per la rassegna vengono considerati tra i maggiori illustratori dell’opera dantesca. Francesco Scaramuzza affrescò sul tema la Sala di Dante della Biblioteca Palatina di Parma (aperta al pubblico nel periodo della mostra con un’esposizione di antichi codici danteschi) e lo studio visivo è una delle più aderenti al testo dantesco per la naturalezza delle immagini e l’abilità eccezionale dell’artista. Scaramuzza realizzò anche 243 grandi disegni a penna (73 per l’Inferno, 120 per il Purgatorio, 50 per il Paradiso), di cui 18 al solo canto XXXII dell’ultima cantica, tanto era attratto dallo scenario dell’Empireo ideato dal Poeta. Gli atteggiamenti e gli attributi iconografici dei personaggi, nonché le ambientazioni, sono tesi a sviluppare la pietas del lettore-osservatore e quindi a valorizzare il messaggio dantesco. Ma l’artista più noto sul tema è il francese Gustave Doré che si dedicò all’opera dal 1861 al 1868. Nel 1876, quindici anni dopo la prima pubblicazione di Doré, Scaramuzza termina le proprie tavole sulla Commedia e da allora numerosi critici hanno tentato un confronto tra i due artisti, con l'obiettivo di decretare quale fosse il migliore, con esiti non sempre a favore del grande Doré. Luciano Scarabelli, letterato, storico e uomo politico del XIX secolo, tiene nel 1869-70 all'Accademia di Belle Arti di Bologna un corso di lezioni che ha come oggetto proprio il confronto fra le tavole scaramuzziane e quelle dell'avversario francese. L'intento di Scarabelli è dimostrare che il parmense, maggior conoscitore di Dante, sia riuscito a rendere meglio ambientazioni, personaggi e pathos della Divina Commedia e, secondo Scarabelli, due sono gli elementi che portano Scaramuzza a «vincere» la gara. Appunto la sua profonda conoscenza del poema e la «maledizione del far presto» che caratterizzava il francese (che riuscì a compiere 30mila disegni in pochi anni). Grazie anche alla sua grande ammirazione per Dante, Scaramuzza riesce a rendere al meglio anche i minimi particolari che caratterizzano i versi del Poeta, come sintetizza lo stesso Scarabelli: «Io vi invito ad esaminare meco quanto giustamente si rumoreggi in Italia la fama del francese Doré quale illustratore di Dante, e quanto ingiustamente si lasci da parte Francesco Scaramuzza». Della mostra da parte anche Nattini, uno dei più significativi illustratori danteschi del Novecento. A partire dal 1919, incoraggiato da Gabriele D’Annunzio, egli realizza una grandiosa serie di cento tavole che costituiscono l’illustrazione d’una speciale edizione della Divina Commedia e vengono esposte a Parigi, Nizza e L’Aja, riscuotendo ovunque un notevole successo. Nattini usa le tecniche più innovative e un linguaggio figurativo originale lontano da qualsiasi imitazione, rinunciando al bianco e nero a favore del colore per immergere il proprio segno grafico e potente in una dimensione quasi fantasy di sospensione e di incanto. L’interesse di Nattini per Dante si estende per una ventina d’anni: le sue raffigurazioni dantesche, d’intonazione liberty, risentono del clima dannunziano dell’epoca e i suoi personaggi tendono ad apparire quasi superuomini.
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