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Un megamuseo per il Canton Ticino

  • Pubblicato il: 30/03/2012 - 09:01
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DAL MONDO
Articolo a cura di: 
Ada Masoero

Lugano (Svizzera). È questione di 18 mesi e il nuovo polo culturale Lac-Lugano Arte Cultura aprirà i battenti, con l’inaugurazione dell’auditorium, capace di mille posti. Nella primavera del 2014 sarà la volta del museo, che per la prima volta riunirà collezioni e competenze del Museo Cantonale e del Museo d’Arte della città in un’unica realtà: a dirigerlo è stato chiamato Marco Franciolli, direttore dal 2000 del Museo Cantonale e ora anche direttore del Museo d’Arte della Città (cfr. lo scorso numero, p. 2). Con lui parliamo del Lac, il grande complesso (20mila metri quadri e 250 milioni di euro investiti, di cui 165 pubblici, 85 privati) progettato dal ticinese Ivano Gianola, che sta sorgendo sul lungolago in riva Caccia, accanto a quel gioiello rinascimentale che è Santa Maria degli Angioli.
Dottor Franciolli, com’è articolato l’edificio?
Ai lati del grande atrio vetrato si aprono da un lato l’auditorium, dall’altro il museo, che dispone di tre aree di 800 metri quadri ognuna: qui troveranno posto, in basso, la collezione permanente, esposta a rotazione secondo percorsi di lettura coerenti, e nei due piani superiori, pensati per offrire la massima flessibilità, le esposizioni. Non solo avremo finalmente un museo costruito ex novo, aggiornato agli standard più attuali, ma l’accessibilità della collezione permanente permetterà di leggere agevolmente il rapporto tra il patrimonio e le linee espositive.
Quale segmento temporale copre la collezione permanente?
Le raccolte civiche e cantonali sono molto vaste, ma questo museo sarà dedicato al periodo tra le avanguardie storiche e la contemporaneità. Le altre saranno destinate ad altre sedi, secondo un progetto di percorso museale che stiamo definendo.
Quali sono le linee della vostra politica culturale?
Nel mondo dei musei ci si interroga da tempo sul nuovo ruolo del museo. È evidente che occorre passare dalla struttura piramidale tradizionale, che poneva al vertice la collezione e poi via via le altre attività, a una linea orizzontale, in cui il mandato per il patrimonio è paritario rispetto a quello della mediazione culturale. Se a questo si aggiunge il difficile momento economico, è chiaro che bisogna sovvertire alcuni luoghi comuni: si tratta di sviluppare una programmazione che tenga conto di questi dati, consapevoli che l’impegno per la ricerca non può escludere l’attenzione anche verso esposizioni capaci di essere «popolari», divulgative. Il che non è affatto una contraddizione, come qualcuno sembra credere.
Come realizzate questo disegno?
Innanzitutto con la qualità dei progetti. Soltanto così è possibile ottenere in prestito dagli altri musei opere che ormai viaggiano sempre meno. Ma non meno importante per noi è il consolidamento del rapporto con la rete degli altri musei svizzeri, una realtà fatta di importanti raccolte e improntata a una politica museale nella quale siamo integrati. Questo ci consente di sviluppare al meglio le potenzialità di ricerca, di razionalizzare le acquisizioni e di effettuare scambi «virtuosi»: per esempio, la nostra grande mostra in preparazione sul Simbolismo in Svizzera, che nell’autunno 2013 si svilupperà nelle due sedi del Museo Cantonale e di Villa Malpensata, sarebbe impensabile senza la collaborazione stretta con il Kunstmuseum di Berna ed è sicuramente irripetibile fuori dai nostri confini.
Un suo progetto che spera di realizzare al più presto?
Vorrei aprire al design e ad altri ambiti: penso infatti che non si possa più prescindere dall’intersciplinarità, perché è come se l’utopia ottocentesca dell’«opera d’arte totale» oggi si fosse finalmente realizzata, coinvolgendo arte, architettura, design, cinema, virtualità. Credo che il compito di un museo attuale sia di mettere il pubblico in condizione di condividere questa mutazione.

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da Il Giornale dell'Arte numero 318, marzo 2012