Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Un imprenditore con una carriera da Presidente

  • Pubblicato il: 15/01/2015 - 00:30
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Luca Remmert, classe 1954, studi in agraria, imprenditore. La sua fattoria sostenibile, “La Bellotta”, 400 ettari alla Venaria Reale, 9000 ovaiole, produce biogas.

Una militanza giovanile nelle associazioni di agricoltori. Segretario nazionale e vice presidente dell’Anga-l’Associazione Nazionale Confagricoltura, dal 1992 al 2008 entra nel Cda alla Camera di Commercio Torinese. Dall’agricoltura al credito: nel 1995 è cooptato nel board da Fondazione CRT. L’esperienza da amministratore prosegue con il cda di UniCredit fino al 2002, a seguire in UniCredit Private Banking fino al 2007, Xelion, Fineco e Clarima fino al 2008, anno in cui cambia casacca e diventa Vice Presidente della Compagnia di San Paolo, ente del quale oggi è al vertice.

Appassionato della montagna è arrivato sulla vetta con un bell’allenamento in contesti di crescente complessità, eterogenei, trasversali. Una carta forte: imprenditore innovativo con patrimonio da alta borghesia. Nulla da perdere.

Dalle prime battute della nostra conversazione si comprende la sua volontà e forza nel tirare fuori le energie dalle realtà in cui transita. «Non ho mai visto i miei incarichi di responsabilità come un trampolino per andare altrove. Non ho mai pensato al posto successivo. Detesto le “sliding doors”. Ho sempre visto il mio ruolo circoscritto al mandato».

Nella primavera del 2016 scadranno simultaneamente i vertici della Compagnia di San Paolo e di Intesa San Paolo, di cui Giovanni Bazoli, 81 anni è presidente del consiglio di Sorveglianza. Una primavera in cui la città di Torino andrà al rinnovo con la conferma, o meno, del sindaco Piero Fassino. Per Remmert sarà il secondo mandato in fondazione e dovrà lasciare.

Oggi Lei è forse uno dei Presidenti più visibili ed attivi del panorama nazionale delle Fondazioni di origine bancaria. Lei e il suo Ente.

Fare e far sapere. Superando l’approccio dell’understatement sabaudo. Oggi occorrono modelli che creino emulazione, ottimismo, per mettere in circolo energie e in movimento un territorio operoso, nell’istruzione, nel sociale, nella cultura, nella nuova occupazione.

Non comunicare è assurdo. La Compagnia fa operazioni degnissime a favore della comunità, investe a favore del territorio circa 130 milioni di euro (ndr 128milioni, di cui all’arte 31, 16 per il patrimonio, 15 per attività culturali), ha una forte struttura organizzativa, un segretario generale molto capace.

Oltre alle erogazioni abbiamo un patrimonio di Know how, di reti che vanno condivisi. Parole d’ordine open data, trasparenza assoluta.

Dalla nostra nuova campagna di comunicazione - bella, vero? - legata al "Polo Reale", alla “Galleria Sabauda” e “all'Egizio” (ndr link immagine quale??), si legge il cambiamento che è in corso nella nostra strategia.

La risposta a questo nuovo stile di comunicazione che stimola la partecipazione della comunità l’abbiamo rilevata subito con lo sbarco sui social network: siamo esplosi in pochi mesi e abbiamo superato altri presenti da anni.

Un cambiamento che era alle porte, naturale, o che necessita di “spinte”?

Non è così semplice, ma si può fare.

Un esempio. Lo scorso anno passammo una serie di delibere per oltre un milione di euro a favore del mondo delle carceri. Da raccontare anche se la regola di bon ton piemontese è “si fa e non si dice”, operando a favore del bene comune. Sono andato personalmente nel carcere “Lo Russo e Cotugno” per illustrare i nostri interventi a favore del sistema, per dare un messaggio di speranza e interesse verso persone che soffrono. E’ stato un successo.

Far conoscere alla collettività il ruolo che abbiamo agito per la Nuova Galleria Sabauda e per il Museo Egizio, due progetti collegati è importante quanto l’investimento in denaro ( 50 milioni di euro, 25 più 25). Negli ultimi dieci anni abbiamo investito 100 milioni di euro sul centro storico di Torino: chiese, palazzi nobiliari, il Distretto museale con il recupero dei principali edifici che costituirono il nucleo del potere e della cultura del Regno Sabaudo. Un intervento parte del programma di rafforzamento dell’immagine della città e di attrazione quale epicentro della cultura barocca. Un sostegno che si amplia con il sistema della Residenze Reali, partendo dalla Reggia della Venaria.

Credo che il risultato di una Torino diversa, debba essere anche ascritto all'intervento delle due fondazioni bancarie, caso unico in Italia la presenza di due enti di questa natura e spessore in un'unica città. Si deve sapere.

Come interpretare l’intervento in un periodo di crisi come quello in corso?

Nel quadriennio 2013-2016 le risorse stanziate sono stabili, secondo modalità che hanno provato la loro efficacia anche nella crisi: selettività, impostazione sistemica, incoraggiamento degli sforzi di rete, impulso a modalità di gestione e valorizzazione innovativa e inclusiva, mobilitazione delle risorse territoriali a sostegno della creatività del contemporaneo, dialogicità infra e inter settoriale.

Puntiamo sulla ricerca, inducendo innovazione sulle istituzioni e favorendo connessioni tra ricerca, società ed economia locale, allineando il profilo al framework europeo di Horizon 2020. Vogliamo sostenere il welfare innovativo, la razionalizzazione del settore pubblico attraverso processi di maturazione e sostenibilità del privato sociale, sperimentando nuove soluzioni di produzione, finanziamento e distribuzione di beni di welfare.

Pensiamo possibile indurre in ogni settore di attività di utilità collettiva una maggiore propensione alla partecipazione e alla corresponsabilizzazione, anche nella disponibilità del dono e alla generosità economica, giacchè questa dimensione filantropica è connaturata nella cultura e nella storia della Compagnia.

Dopo i grandi interventi che abbiamo citato giunti a compimento, la splendida riuscita dell’inaugurazione del Polo Reale, vi aspetta un 2015 con il botto.

Strepitoso. La prossima primavera inaugureremo il nuovo museo Egizio, poi ci sarà l’ostensione della Sindone nella restaurata cappella, la celebrazione dei duecento anni dalla nascita di Don Bosco e quindi l’occasione di riflettere sulla vocazione di Torino per l’inclusione sociale. A fine anno vareremo il Polo del '900, una rivitalizzazione dei quartieri militari juvarriani di Torino con un progetto architettonico e urbanistico che si coniuga ad un ambizioso progetto culturale. Nei due palazzi di San Celso e San Daniele di corso Valdocco, troveranno sede molti degli istituti culturali impegnati nella ricerca intorno al Novecento Sociale, economico e politico torinese, depositari di fonti documentarie. Un’occasione di riflessione sull’eredità positiva del ‘900, con una nuova biblioteca, un nuovo archivio, iniziative culturali sul tema delle liberazioni.

Sono progetti pluriennali che giungono a realizzazione. Agiamo con una visione strategica di lungo termine, e mi piace dirlo, siamo possessori di un capitale paziente, possiamo accantonare fondi, per anni, per destinarli ad un progetto. Non potrebbe farlo il pubblico. Il progetto del Polo Reale ha preso le mosse alla fine degli anni ’90, con una grande collaborazione tra pubblico e privato, con una interlocuzione cooperativa e altamente professionale con le Soprintendenze.

Capitale paziente, grandi controlli, fiato sul collo a chi ha ricevuto il nostro contributo, nei tempi e nei modi.

Monitoraggio e cooperazione. Una tendenza internazionale. In un recente articolo del The Guardian, l’Art Council ha dichiarato che non darà denaro a istituzioni culturali che non crescono e non efficientano. E’ passato il tempo in cui gli erogatori “tappavano i buchi”, facendosi carico delle inefficienze.

La coperta sempre più stretta aiuta nella selezione e a fare patti. Dobbiamo esigere innovazione ed efficienza, anche usando la forza di persuasione dei nostri capitali.

L’atteggiamento di rigore nelle valutazioni ex ante ed ex post fa crescere la qualità della domanda. Un esempio, se sosteniamo la ristrutturazione di una chiesa, richiediamo un piano di manutenzione.

Da noi non ci sono abbonamenti ai finanziamenti.

La Compagnia utilizza molto lo strumento del bando che consente di allargare la base di intercettazione delle domande, confrontarle sulla base di una griglia stretta.

Indispensabile la presenza, l’accompagnamento in itinere di un progetto assegnatario. Siamo a disposizione di coloro che ricevono i nostri grant, li tutoriamo nel percorso.

E nella cultura?

Stessa regola. Organicità con le politiche culturali condivise da parte delle istituzioni culturali territoriali. Il sostegno a un numero ridotto di istituzioni artistiche di qualità. Il riconoscimento di un ruolo di primo piano al volontariato. Accrescimento delle opportunità di accesso alle fasce di pubblico meno preparate e emarginate, premiando progetti che prevedano il coinvolgimento attivo.

Soprattutto contributi annuali e pluriennali, senza surrogare enti inadempienti o sostenere strutture gravate da un indebitamento crescente. Vogliamo agire un ruolo proattivo nel ridisegno organizzativo e istituzionale. Richiediamo innovazione.

Un esempio. Al Teatro Regio e allo Stabile abbiamo richiesto di unificare il sistema di biglietteria e il sistema di amministrazione, pena la perdita del contributo. Una richiesta che non sarebbe stata evasa se proveniente da altri. Un'operazione politicamente insostenibile. Noi abbiamo una grande forza che ci deriva dal fatto di essere liberi, di avere patrimoni dei quali abbiamo una grande responsabilità di gestione.

Lo avete scritto nel vostro documento programmatico: «Promuoviamo una cultura della conservazione che non sia conservatorismo e una valorizzazione ambiziosa, ma non velleitaria. Consideriamo i contesti paesaggistici extra urbani come risorse di sviluppo a patto che le comunità interessate esprimano una genuina imprenditorialità territoriale. Sosteniamo la cultura come dimensione integrale di sviluppo, senza soggiacere a inerzie non più giustificabili nei fatti organizzativi, accentuando l’importanza dell’accesso». Dichiarazioni forti.

Che traduciamo in fatti. Nella Fondazione Torino Musei - fantastica cabina di regia in cui i due segretari delle fondazioni di origine bancaria del territorio siedono nel consiglio di amministrazione con gli assessori della cultura di Città e Regione- , abbiamo avviato una due diligence in vista di una super fondazione che incorpori anche il Castello di Rivoli. Una struttura che potrebbe essere un potenziale polo di attrazione di tante altre realtà.

Una piattaforma come questa deve stimolare imprese culturali e imprese sociali, start-up che utilizzino il patrimonio storico-artistico per creare occupazione. I giovani stanno cambiando la testa. Sono prontissimi. Lo abbiamo visto con il nostro bando "Generazione creativa", un grande successo che ha fatto emergere una generazione determinata, un rumore di fondo incredibile. Lo chiamo rumore di fondo, perché lo sviluppo è ancora disordinato; occorrono chiavi interpretative per capire i messaggi e dare loro forza: quindi vogliamo sostenere i giovani che scelgono di intraprendere professioni legate alla cultura artistica, creando le condizioni di contesto, favorendo esperienze e scambi professionali, network, pratiche artistiche nello spazio urbano e sociale.

Si può fare anche con piccole cifre ben investite, smettendo di calare progetti dall'alto, ma aprendo grandi orecchie per ascoltare le esigenze del territorio per dare il maggior numero di risposte possibili.

Lei siede anche nel consiglio della Human Foundation che ha elaborato indicatori di impatto sociale per il G8

Ci sono oggi indicatori di valutazione precisi che aiutano a misurare l’efficacia degli interventi anche nei campi più difficili, come quello dell'impatto sociale. Dobbiamo controllare gli esiti di interventi innovativi se vogliamo essere agente di sviluppo territoriale, generare trasformazioni su scala globale, evitando di chiuderci sul locale. Le dinamiche competitive sono su scala ben più ampia. Siamo un attore nazionale ed europeo, con standard qualitativi europei.

Manca ancora un anno e mezzo prima della scadenza del suo mandato . Cosa ci dobbiamo aspettare?

Come abbiamo detto il 2015 sarà un anno strepitoso. Dovremmo fare i conti con le difficoltà degli enti pubblici, i nostri “compagni di cordata”, Regione in primis, che ha deciso finalmente di mettere le carte sul tavolo e non più la polvere sotto il tappeto. La gestione Chiamparino va in questa direzione. E’ in corso una forte rivoluzione istituzionale, cambiano gli interlocutori. Sono sparite le province e la riforma delle Camere di Commercio è pesantissima. Una rivoluzione rispetto alla quale dobbiamo continuare ad avere il nostro ruolo di perno. Sussidiario, mai suppletivo per evitare di sostituirci alle responsabilità delle istituzioni pubbliche, per non rallentare il rinvio delle ristrutturazioni necessarie. La politica deve fare la politica e noi il nostro mestiere.

La polemica delle influenze della politica sulle fondazioni è sempre accesa, anche alimentata dalla vicenda Chiamparino, passato dai vertici della Città a quelli della fondazione e oggi della Regione.

Usciamo dalla logica delle fondazioni influenzate dalla politica. Nessuno mi ha mai chiamato. Con la politica abbiamo condiviso progetti, sia in campo culturale, sociale, di ricerca. Fondamentale avere una comune visione sul progetto di territorio.

Analogo rapporto è in essere con le Università, con le quali lavoriamo sui grandi temi del diritto allo studio, dell’occupazione giovanile.

Se vogliamo far ripartire il Paese dobbiamo stare molto attenti ai quei soggetti che sono l'anello debole della catena, lavorando in squadra. Per questo ad esempio, investiamo col nostro programma ZeroSei dedicato all’infanzia: soggetti che non acquistano, non votano, ma saranno i futuri adulti. È provato che ogni euro - dicono gli economisti che si occupano del tema - investito su un bambino dagli 0 a 6 anni rende 7 euro. Con un grande coinvolgimento delle famiglie, attore fondamentale. Ci occupiamo di abbandono scolastico, come del grande problema dell'immigrazione, delle nuove povertà, delle vulnerabilità, del disagio, disagio psichico, economico, sociale. Queste sono le grandi sfide che in un modo o nell'altro ci attendono. Sono sfide politiche, che vanno condivise con chi ha il governo del territorio.

13.000 persone aiutate nel 2013, rispondendo all’urgenza, ma con una progettualità strategica di inclusione.

Per questo abbiamo deciso di fare interventi sulla nostra struttura organizzativa e abbiamo cambiato completamente il nostro approccio agli enti strumentali, la governance del Collegio Carlo Alberto che si occupa di alta formazione e dell'Ufficio Pio che, sempre segue le vulnerabilità. Vogliamo consigli di amministrazione che non siano confusi con comitati scientifici. I consiglieri di amministrazione devono fare i consiglieri di amministrazione e gli scienziati devono fare gli scienziati. Senza commistioni.

Un esempio per tutti. Nello HUGEF, l’istituto per la genetica, avevamo un unico organo di governo composto da tecnici, scienziati, non manager. Abbiamo voluto una governance che separasse i ruoli.

I prossimi 18 mesi saranno anche dedicati al rapporto con le banche di cui siete azionisti?

Assolutamente. Abbiamo il 9.76% - di Intesa San Paolo. Siamo il primo azionista. Il secondo azionista è il fondo Black Rock con il 5,01 e per terzo Fondazione Cariplo .

Le cinque fondazioni di Intesa San Paolo hanno rappresentato sempre più del 98% dei consiglieri: oggi nel Consiglio di Sorveglianza, su 21 consiglieri, 17 membri sono espressi dalle fondazioni. Ritengo che questa situazione non abbia più ragione d’essere. Dobbiamo dialogare anche con questi nuovi grandi azionisti, perché la banca deve essere sempre più aperta al mercato, con un sistema di governance sempre più trasparente, più snello, tranquillo, facile, apprezzato anche dall'esterno. È un passaggio importante, che sarà un passaggio storico, che dovrà essere giocato con coraggio.

In merito alla partecipazione nella banca - che rappresenta circa il 50% del nostro patrimonio - abbiamo un atteggiamento molto laico: non ci interessa mettere persone nei consigli di amministrazione. Vogliamo controllare nell’assoluto rispetto dei ruoli, contribuendo a creare un'azienda sana, appetibile, che dia dei risultati, perché grazie anche ai dividendi di Intesa San Paolo possiamo fare erogazioni, quindi il nostro mestiere.

Non saranno passaggi istituzionali semplici.

Non ci dovranno essere più tavoli paralleli nei quali si prendono le decisioni. Le decisioni devono essere sempre trasparenti, pubbliche. Anche i metodi e i processi con cui si arriva alle decisioni. Le persone debbono essere scelte per le loro competenze.

Questa è una posizione da grande ente filantropico, non solo locale, ma nazionale, europeo, che contestualizza questi indirizzi anche in uno sguardo comunitario.

Credo che dovremmo essere un esempio virtuoso, anche per l’eterogeneo mondo delle fondazioni, all'interno del quale ci sono state diverse criticità. È stato un anno molto doloroso per le fondazioni di origine bancaria, ma la crisi aiuta anche ad abbandonare posizioni anacronistiche per favorire opportunità di sviluppo e trasformazione in un sistema come quello italiano da anni congelato nell’incapacità di crescere, quando non in decrescita.

Come si fa a muovere il cambiamento?

Da imprenditore, sono a bordo, personalmente, su ogni aspetto. Nelle mie esperienze imprenditoriali, in realtà medie, una decisione si traduce immediatamente in azione. In una istituzione ci sono altri tempi. Devo essere tenuto un po' a freno, altrimenti esagero nel “de-istituzionalizzare l'istituzione”, ma è arrivato il momento per le fondazioni di affrancarsi dall’origine bancaria, di agire strategicamente come grande ente filantropico, facendo “bene il bene” con spirito imprenditoriale. La nostra struttura poi è fatta di persone eccezionali che con la loro professionalità, esperienza e dedizione , sono il vero motore della nostra Fondazione e la prima garanzia di successo . Una squadra da grandi risultati!

Grande impegno il suo. Ben remunerato?

Il ruolo non arricchisce. Lo stipendio del Presidente di una fondazione che ha 8 mld di patrimonio da gestire, il più grande nel Paese, è di 70 mila di euro annui. I costi del consiglio di amministrazione sono tra i più bassi del sistema. Ne siamo orgogliosi.

 

Per saperne di più

POLO REALE

Torino. Inaugurata il 4 dicembre 2014 la Nuova Galleria Sabauda di Torino. L’intervento completa un grande progetto che restituisce al pubblico una delle maggiori pinacoteche pubbliche italiane e il Polo Reale di Torino.

Con il trasferimento della Galleria Sabauda nel 2012 dalla storica sede nel Palazzo del Collegio dei Nobili, viene presentato un nuovo allestimento delle oltre ottocento opere con innovative soluzioni museografiche. Il museo è insediato nella lunga manica progettata da Emilio Stramucci (tra la fine Ottocento e inizio Novecento), sede fino ad alcuni anni fa degli uffici amministrativi della Regione.

Il Polo Reale riunisce alcune delle più prestigiose realtà museali cittadine: il Palazzo Reale, l’Armeria Reale, il Museo Archeologico, la Biblioteca Reale e lo spazio mostre di Palazzo Chiablese, per un totale di 46.000 mq e più di 3 km di percorso espositivo.

Dichiara Mario Turetta, già Direttore per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte «Questo importante obiettivo è stato raggiunto grazie all’impegno convinto di soggetti diversi in sinergica collaborazione tra pubblico e privato. A sostenere tale sforzo progettuale hanno infatti concorso, oltre al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Arcus S.p.A., la Città di Torino, la Regione Piemonte, la Compagnia di San Paolo, la Fondazione CRT, la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino».