Un carismatico soldato-artista saudita apre la Amen Foundation, arte per la pace
Venezia. Abdulnasser Gharem è un artista e colonnello dell’esercito saudita - non un semplice colletto bianco visto che durante il suo stato di servizio è stato più volte sul campo.
Il suo lavoro è stato scoperto in occidente durante la Biennale di Venezia del 2009, dove il collettivo di artisti arabi Edge of Arabia, di cui è co-fondatore, ha esposto il suo commuovente video Al Siraat. Da allora è riconosciuto come uno dei massimi esponenti del concettualismo in Medio Oriente, e ha raggiunto alte quotazioni sul mercato internazionale dell’arte: il suo Message/Messenger è stato venduto per 842.500 $ durante un’asta da Christie’s Dubai nel 2011. Message/Messenger mostra la scintillante cupola della Moschea della Roccia a Gerusalemme precariamente in bilico su una colomba. La colomba, emblema di pace, in questa raffigurazione è a rischio di essere intrappolata sotto la cupola della moschea, simbolo di tutto il fervore religioso e della tensione in Medio Oriente. Gharem non ha mai mostrato interesse per l’hooplah market e per tutti gli aspetti più commerciali connessi alla pratica artistica, donando i soldi di Edge of Arabia per promuovere l'educazione artistica in Arabia Saudita. Il suo contributo alla Biennale di Venezia di quest’anno è andato oltre: si tratta di un progetto per una fondazione – per la quale ha scelto il nome ecumenico Amen (così sia) - gestita direttamente dagli artisti a Riyadh, la conservatrice capitale saudita.
Uno degli sviluppi più stimolanti degli ultimi dieci anni è stato l'emergere di un’arte visiva coraggiosi e sofisticata in Arabia Saudita, che fino ad allora era stata considerata marginale nel mondo dell'arte contemporanea. Questa scena artistica si è sviluppata in gran parte al di fuori del sistema artistico tradizionale. è diversa dall’arte occidentale, tratta infatti i problemi e le idee radicate in una cultura decisamente dissimile, ma adotta un linguaggio simile a quello occidentale, abbracciando la vocazione dichiarata dell’arte contemporanea di mettere in discussione e guardare criticamente al mondo; vocazione che ultimamente si è espressa con poco vigore nell'arte occidentale.
La Fondazione Amen è stata presentata come parte di Rhizoma, mostra di artisti mediorientali ed evento collaterale della Biennale (Magazzini del Sale, Dorsoduro, fino al 24 settembre).
Anna Somers Cocks: Parlami della nascente Fondazione Amen.
Abdulnasser Gharem: Sto lavorando alla Fondazione Amen come se stessi creando un’opera d'arte. Perché un’opera d'arte dovrebbe essere solo un dipinto o un’installazione? Può essere un'organizzazione in cui la gente imparare a creare arte.
ASC: Perché si chiama Fondazione Amen?
AG: La parola «amen» m’interessa perché è comune all’Islam, al Giudaismo e al Cristianesimo. Ultimamente il re dell'Arabia Saudita, Abdulaziz, ha cercato di incoraggiare il dialogo interreligioso, così ho pensato che, se il re propende per questo dialogo, sono interessato a gestirne il lato culturale e artistico.
ASC: Dove sarà la sede della Fondazione Amen?
AG: Quasi tutti mi hanno suggerito di andare a Jeddah perché è un posto più aperto culturalemente. Ma Riyadh è la capitale, devo andare nella sede del potere politico e dove ci sono forze conservatrici; è una cosa che ho imparato stando nell'esercito.
ASC: Come funzionerà la Fondazione?
AG: Dopo aver discusso la cosa con un consulente d’arte a Berlino, credo che l'idea dell’intero progetto e della programmazione dovrebbe venire dalla gente. Ho bisogno di spazio per residenze d’artista, per una biblioteca, per studi d’artista, per un piccolo caffé e per un archivio. Voglio nuove idee da parte dei cittadini.
ASC: Pensi che l’appoggio dato da alcuni membri della famiglia reale all'arte contemporanea aiuti la scena artistica saudita?
AG: In teoria dicono: “Si, è qualcosa di cui abbiamo bisogno, vi aiuteremo.” In realtà, quello che mi serve da loro per poter partire con il progetto è una forma d’appoggio che mi tuteli dall’ideologia conservatrice dominante a Riyadh. Ci sono 200.000 studenti sauditi negli Stati Uniti, puoi immaginare che cosa accadrà nel paese quando torneranno? Sono un artista, voglio preparare qualcosa, così quando torneranno a casa troveranno la Fondazione. Sarà formativo anche per i loro genitori rimasti in patria; aiuterà tutta la società.
ASC: Dieci anni fa quasi non esisteva una scena artistica in Arabia Saudita, ma ora è come se dal deserto avesse cominciato a sgorgare l'acqua. Che cosa è successo?
AG: Penso che Internet sia il motivo principale: è stata la migliore fonte di conoscenza, senza alcuna censura. Quando è arrivato internet siamo come impazziti, stando seduti di fronte al monitor per otto ore di fila per capire cosa fosse un museo, una fiera d'arte, chi è Marcel Duchamp, chi è Picasso, chi è Rembrandt. Abbiamo anche fatto ricerca in ambito scientifico e religioso, prima era proibito studiare altre religioni in Arabia Saudita.
Ci sono state molte guerre nella regione negli ultimi dieci anni, e con le guerre la gente è cambiata: dopo la prima guerra mondiale sono nati molti movimenti artistici – tra cui il Dadaismo – dopo la seconda guerra mondiale si è verificata la stessa cosa, è nata l'arte concettuale per esempio. In Medio Oriente, in particolare in Arabia Saudita, c’è stata la prima guerra del Golfo, la seconda guerra del Golfo, la guerra in Iraq, la guerra nello Yemen. Anche oggi ci sono scontri in queste regioni in seguito alla Primavera Araba, che cambierà tutto e influenzerà l’arte stessa, coinvolgendo gli artisti e la gente, portandoli insieme a cercare una nuova piattaforma per le nuove idee. L’artista negozierà i problemi delle persone, che saranno coinvolte direttamente e non staranno solo a guardare.
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Traduzione a cura di Anna Follo