Un’analisi del mercato delle opere d’arte: chi riceve i maggiori vantaggi dalle aste di beneficienza?
L’asta «Artisti per Haiti», organizzata dalla Galleria David Zwirner di New York e da Christie’s lo scorso 22 settembre, è forse l’evento filantropico più ambizioso dall’asta organizzata da Sotheby’s nel 2008 per la Red Charity della rock star Bono, che investe per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria in Africa.
L’asta per Haiti ha presentato alcune opere di alto valore, nuovi lavori di artisti come Luc Tuymans e Jeff Koons. Ci sono similarità tra i due eventi: il risultato dell’asta della Red Charity, 42,6 milioni di dollari – grazie alla confluenza perfetta di un mercato forte, artisti blue-chip e una causa guidata da una celebrità – non sarebbe stato possibile se Damien Hirst, dopo un incontro con Bono, non avesse invitato a partecipare altri artisti come Bansky, Jasper Johns e Julian Schnabel.
Nel caso di «Artisti per Haiti», dopo un viaggio ad Haiti con l’attore Ben Stiller che lavora con alcune charity sul territorio, Zwirner ha messo mano alla sua rubrica telefonica. Mentre non tutte le aste filantropiche hanno lo stesso livello di «Artisti per Haiti», o della prossima asta che Christie’s sta organizzando con Takashi Murakami a favore del Giappone (la data è ancora da confermare), i galleristi risparmiano tempo e partecipano volentieri. L’immagine di Christie’s e di David Zwirner incomincia a essere sempre più coinvolta in aste di beneficienza non tanto per la responsabilità sociale d’impresa, ma perché ci sono altri benefici marginali. Questi eventi sono ottimi per le pubbliche relazioni e possono aiutare a migliorare il business: clienti consolidati e potenziali sono spesso attivi in organizzazioni filantropiche. E sono anche buone occasioni per i collezionisti. Anche se lo Stato di New York richiede per legge una tassa di vendita, nelle aste di beneficienza non c’è la commissione di vendita. Ad eccezione dell’asta per la Red Charity in cui c’erano alcuni incentivi finanziari per Sotheby’s, che ha richiesto commissioni di vendita al 10% (comunque un tasso più basso di quello usuale, che va dal 12% al 25%). I collezionisti che donano un’opera d’arte per un’asta di beneficienza ricevono una deduzione fiscale sul suo valore pieno di mercato; i compratori hanno una deduzione sulla differenza tra il prezzo di vendita dell’opera e il prezzo di partenza.
Le aste di beneficienza esistono da un po’ di tempo. Lo specialista d’arte decorativa di Sotheby’s, Robert Woolley che è morto nel 1996, era diventato una star tra i banditori delle aste di beneficienza negli anni ’80 e ’90. Lydia Fenet di Christie’s spiega che l’incremento notevole di queste aste si è registrato negli anni di boom del mercato tra il 2000 e il 2008. Poi, sono arrivati i fondi d’investimento che hanno creato eventi ancora più risonanti, come l’asta di gala piena di star del cinema della Robin Hood Foundation, ma questi hanno ovviamente sofferto dello scoppio della crisi.
Le aste per la raccolta fondi sono ancora in crescita, nonostante la crisi economica, e sono molto diverse dalle aste normali: per esempio sono serviti alcoolici, forse per tenere su il morale. I battitori non sono obbligati ad attenersi alle regole che governano le aste regolari (e la legge dello stato di New York), inclusi gli incrementi successivi d’asta, così da avere più oscillazioni per prolungare le puntate. Questo può influenzare il mercato. E’ inusuale che i livelli di prezzo degli artisti siano fissi, ma dopo l’asta della Red Charity ce n’erano 17, come Bansky a 1,9 milioni di dollari e Howard Hodgkin a 792,000 dollari (record di battitura d’asta per entrambi gli artisti). Poiché l’asta era organizzata da Sotheby’s, questi risultati sono stati pubblicati su Artnet (mentre la maggior parte delle aste di beneficienza no) dove manca un chiaro segnale che quel risultato fosse stato conseguito in un asta di beneficienza. Questo è naturalmente fuorviante: chi sa che questi prezzi non sono stati raggiunti in un’asta regolare?
Comunque, le aste di beneficienza non sono sempre vantaggiose per i galleristi e gli artisti. Un luogo comune tra i galleristi è che ci sono troppi di questi eventi, impacchettati con troppe opere di basso valore (Zwirner ha proposto ad «Artisti per Haiti» solo 26 lotti costosi, praticamente tutti in mercato primario). Alcuni board delle istituzioni culturali non si espongono troppo, portando spesso queste aste a risultati scialbi. I galleristi e gli artisti, allo stesso tempo, non vogliono obbligare nessuno – i galleristi sono influenzati dai collezionisti che sono trustees nelle istituzioni culturali, mentre gli artisti si sentono in debito con gli spazi espositivi che favoriscono la loro carriera. Inoltre ci si lamenta sul livello delle opere in beneficienza: ad alcuni artisti viene spesso richiesto di donare opere che hanno composto in larghe edizioni. In giugno, Mat Gleason, critico d’arte dell’Huffington Post, ha avvisato gli artisti «non donate mai più la vostra arte a un’asta di beneficienza». Gli artisti che donano ricevono una deduzione fiscale solo sul costo dei materiali. E i galleristi, che vogliono controllare i mercati, rendono ogni asta problematica.
Ma le aste di beneficienza possono avere i loro vantaggi anche per i galleristi: eventi di successo come «Two x Two for Aids and Art» di Dallas per supportare l’American Foundation for Aids Research e l’Aspen Art Museum’s Artcrush (l’asta del 3 agosto è stata condotta dal battitore Tobias Meyer di Sotheby’s) attraggono collezionisti di alto profilo e danno grande visibilità agli artisti (che sono volati tutti lì per l’opportunità di costruire il loro network con collezionisti e curatori). Il primo lotto di Aspen quest’anno era un nuovo dipinto dell’artista newyorkese Rashid Johnson, le cui opere non sono mai apparse in un’asta pubblica. E’ saltato a 52,000 dollari, più del doppio del suo valore di mercato, che si aggira sui 24,000 dollari. Questi risultati possono riciclare il denaro nel sistema. Dopo che Augusto Arbizo della galleria newyorkese 11 Rivington ha donato un’opera della sua artista Katrin Sigurdardottir per l’asta «Two x Two», gli organizzatori hanno mandato i potenziali compratori dell’opera (che l’avrebbero acquistata a un prezzo inferiore) direttamente in galleria. «Il più delle volte chi organizza un’asta di beneficienza sa cos’è chiamato a fare e sa quanto spesso gli artisti vengono coinvolti in iniziative di questo tipo» ha detto Arbizo. «Gli artisti fanno bene a rispondere di no ogni tanto. Queste aste favoriscono le istituzioni no profit e possono essere positive per l’artista, perchè ci sono dei collezionisti che vanno a questi eventi e non in galleria».
Anche l’art advisor Allan Schwartzman decanta le aste come «Two x Two», iniziate dal suo cliente Howard Rachofsky, e dice che possono essere delle grandi opportunità per i collezionisti. Ma avverte anche che le istituzioni no profit «hanno avuto qualche difficoltà ad avere buone opere donate per l’asta perché le aste sono diventate il terreno d’acquisto dei cercatori di occasioni» - spesso non ci sono riserve - «e spesso le opere date per giuste cause sono vendute a speculatori che le portano ad altre aste pochi anni dopo». In rari casi le aste di beneficienza che sono supportate da artisti emergenti, come quella dello spazio alternativo newyorkese The Kitchen, permettono agli artisti di ricevere una parte del prezzo di vendita. Questo può permettere di vedere in asta dei pezzi di buona qualità. Lo scorso novembre, l’evento di The Kitchen ha presentato lavori degli emergenti Tauba Auerbach e Jacob Kassay, entrambi con alle spalle forti risultati d’asta nel mese precedente: da Phillips, un paio di opere su carta di Auerbach sono state vendute per 17,500 dollari e un dipinto di Kassay con una base d’asta tra i 6,000 e gli 8,000 dollari ha fatto 86,500 dollari. A The Kitchen un dipinto di Auerbach è stato venduto per cinque volte il valore iniziale di vendita (8,000 dollari) e un dipinto di Kassay è salito alle stelle passando dal prezzo iniziale di 14,000 dollari a 94,000 dollari. Non si sa se questi artisti abbiano richiesto una percentuale sul prezzo di vendita, ma, ironia della sorte, lontani da ricevere una misera deduzione fiscale sui materiali, sono riusciti a far salire il prezzo delle loro opere proprio grazie all’asta di beneficienza, molto più di quanto sarebbero riusciti attraverso un gallerista.
da The Art Newspaper, settembre 2011
L’autrice è la culture editor del New York Observer