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Un’agenda per la cultura

  • Pubblicato il: 07/03/2014 - 07:42
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Irene Sanesi

Pensando all’Italia, l’immagine che immediatamente percepiamo è quella geografica: la forma dello stivale con un paesaggio variegato mai uguale, nel quale si alternano le emergenze naturalistiche, artistiche e architettoniche restituendo agli occhi dell’osservatore un unicum.
Non si registrano casi – ed effetti – Beaubourg o Guggenheim «all’italiana», questo è chiaro, ma nonostante ed in forza di ciò, i beni e le attività culturali del nostro paese restano un insuperato caso di svelamento e occasione di innovazione, prima ancora di essere un’opportunità di benessere per i cittadini e una risorsa economica.
Oggi è quanto mai urgente «fare sul serio» con un’agenda semplice di azioni efficaci. Prima di cominciare però è bene essere chiari in merito all’approccio metodologico. Le istituzioni culturali oggi hanno identità dinamiche, sono sistemi aperti e complessi che non possono essere «zippati»: per osservarli e comprenderli dobbiamo coglierne i processi e le dinamiche, e forse dobbiamo farlo con occhi e strumenti nuovi. Fondamentale sarà investire sulle istituzioni-pivot affinché si inneschi quel circolo virtuoso di innovazione-imitazione e si crei un effetto italiano, basato non su su cattedrali isolate ma su arcipelaghi, per una nuova geografia culturale.
Nella lettera al nuovo Ministro abbiamo titolato «Caro Ministro con la cultura si gioca ma non si scherza. Per questo Le chiediamo un game-endorsement», che riassume così l’agenda.
G - Governance: il futuro delle istituzioni culturali dipenderà anche dalle donne e dagli uomini al timone. Una vera e propria emergenza in Italia la revisione delle logiche di nomina a cominciare dai CdA e dagli organi di controllo, non centri di potere/interesse, ma luoghi dove persone capaci, preparate e motivate, siano in grado di guidare l’istituzione culturale, improntando il loro ruolo a criteri di trasparenza, creazione di valore, economicità. Va inoltre aperto un discorso serio su nuovi modelli di governance più flessibili e leggeri e meno onerosi. Particolarmente adatti alle realtà territoriali, alle reti e ai sistemi, le governance nella «terra di mezzo» rappresentano, con la loro struttura organizzativa funzionale o progettuale, nuovi strumenti per governare gestioni integrate, promuovere la comunicazione coordinata e il marketing territoriale, azionare percorsi di crowdfunding allargato, condividere buone pratiche. Senza riprodurre altre poltrone, assicurando sussidiarietà e capaci di garantire il ruolo identitario ai vari nodi del sistema, si riuscirà meglio e in tempi più rapidi a disegnare nuove geografie culturali.
A - Accountability
Nelle prossime generazioni il vero analfabeta culturale sarà colui incapace di capire un bilancio? «Rendere conto con trasparenza» come nuova moneta culturale, attivando e implementando logiche di restituzione fondate sul bilancio economico (e non solo finanziario), vero strumento che consente di misurare lo stato di salute e le prospettive dell’istituzione culturale e su indicatori di valore qualitativo (Standard, VAC – Valore Aggiunto Culturale, Intangibili). L’obiettivo è infatti cominciare a guardare l’istituzioni culturale come organizzazione complessa emergente dalle relazioni e dai processi, oltre che come insieme di cose ed oggetti.
M - Management
Capita spesso di utilizzare la parola management, come del resto accade oggi trattando della gestione delle risorse. In realtà l’accezione del verbo «to manage» (da manus: opera, azione, impresa) deve essere colta anche per quanto attiene la gestione della conoscenza: «non esistono risorse senza conoscenza. È strategico il come orientare e usare la nostra acquisizione di conoscenza» (non solo accipere ma concipere). Un management che sappia coniugare la specializzazione con una formazione multidisciplinare, coltivi la «visione d’insieme» e atteggiamenti assertivi e resilienti nelle persone –veri motori del cambiamento-.
M - Mercato dell’arte
Un’agenda per la cultura non potrà essere pensata solo per il patrimonio –tangibile e intangibile- a rilevanza e di interesse pubblico. Una riforma per il mercato dell’arte è non solo necessaria ma funzionale a mettere in moto percorsi di sviluppo e competitività del sistema paese. Ad oggi purtroppo il quadro è sconfortante. Acquistare opere d’arte nel nostro paese significa pagarci l’Iva al 22% e al 10% per l’importazione contro aliquote inferiori nella vicinissima Svizzera, in Francia, Germania e nel Regno Unito, senza contare gli USA dove la Sales tax sull’arte è presente in percentuali contenute. Una sana competitività fiscale applicata alle compra-vendita di opere d’arte (si pensi al collezionismo imprenditoriale assimilato oggi alle spese di rappresentanza) alimenterebbe flussi di capitali a cui fra l’altro corrisponde –a differenza del settore finanziario- un mercato «reale» (fiere, biennali, aste, gallerie, etc.) con tutto il suo indotto di attività intellettuali e artigianali. A frenare lo sviluppo della circolazione delle opere d’arte non c’è soltanto l’imposizione fiscale (senza contare l’effetto cascata del «diritto di seguito») ma anche l’istituto giuridico della «notifica». Introdotto con la finalità di evitare fughe dal nostro paese di opere di «rilevante interesse culturale», è diventato uno strumento che nel tempo ha rallentato le transazioni, riducendo il valore commerciale delle opere stesse creando ritardi, incertezze e non pochi disagi agli uffici ministeriali periferici incaricati delle esportazioni. A fortiori la legge sulla tutela aveva previsto il limite dei 50 anni per la libera esportazione, un termine che con le lentezze amministrative di oggi fa «invecchiare» ogni anno molte opere di artisti «contemporanei».
E - Exemption (leva fiscale)
Le norme fiscali del settore culturale, lo abbiamo già visto, sono inadeguate, liquide e parcellizzate: dal codice civile al Testo unico delle imposte sui redditi, al Testo unico beni culturali, alle norme sul diritto d’autore, diritto di seguito, normativa antiriciclaggio, ecc.. E’ necessario inquadrare e razionalizzare, una volta per tutte, il tema della fiscalità per la cultura. Intanto c’è un’emergenza per la deducibilità e detraibilità degli attuali strumenti, in particolare le sponsorizzazioni(che alcune sentenze dei Giudici di Cassazione stanno assimilando alle spese di rappresentanza), la franchigia ed il tetto per le liberalità delle persone fisiche, la membership ancora non deducibile, la mancanza dei regolamenti attuativi del Decreto Valore Cultura.

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Irene Sanesi è presidente commissione «Economia della cultura» UNGDCEC (unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili)