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Tutto e subito? L’arte può attendere

  • Pubblicato il: 09/03/2012 - 16:13
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Editoriale, da Il Giornale dell'Arte numero 318, marzo 2012

Talvolta i miracoli avvengono. Un anno fa nessun italiano avrebbe immaginato che l’anno seguente l’Italia sarebbe stata guidata da un Governo virtuoso di soli esperti. «Time» del 20 febbraio ha messo il presidente Mario Monti in copertina e intitolato l’articolo «L’uomo più importante d’Europa». Anni luce da quando, soltanto in autunno, sembrava un verdetto per noi irreversibile quello di essere il ventre molle d’Europa. Non sapevamo che tre monti erano troppi, che uno bastava. Ma di qualità diversa. Questo preambolo introduce una riflessione che molti di coloro che si occupano d’arte hanno fatto in queste settimane. Perché l’unico inesperto in un Governo di esperti è il ministro per i Beni culturali? Dicono che la destinazione di Lorenzo Ornaghi in origine fosse un’altra e che la sua partecipazione sia stata mantenuta in quanto esponente cattolico.
Diciamo subito che il professor Ornaghi è una persona di primissima qualità, di impeccabile preparazione culturale, degno di assoluta fiducia e che in tempo abbastanza rapido acquisirà la necessaria cognizione di un settore e di materie complesse e determinanti. Ma quanto tempo potrà concedersi di apprendistato in un Governo, ahinoi, di vita così breve? E afflitto da un numero esorbitante di problemi assillanti. Rimane l’anomalia di un ministro che esperto non è (e difatti è stato subito affiancato da un superesperto di valore come Roberto Cecchi). È dunque comprensibile che in questi primi tre mesi ben poco sia stato fatto e che così scarsi segnali siano stati mandati su quale ruolo questo Governo potrà avere. Tra i pochi messaggi pubblici, la lettera (tanto seria e condivisibile quanto generica) del 24 febbraio su «Il Sole 24 Ore», firmata dai ministri Ornaghi, Passera e Profumo, colleghi allo Sviluppo economico e all’Istruzione, Università e Ricerca.
Nessuno si lamenta. Tutti hanno capito che ben altre sono le priorità e le riforme necessarie in una situazione così estrema (e prima che il vento giri). Che non bisogna annunciare e promettere, bensì agire. Ma l’energia e la determinazione del Governo non possono non suscitare aspettative molto sentite. Tutti speriamo che prima della sua scadenza la compagine ministeriale avrà tempo e voglia di incidere con bisturi e ricuciture anche nella ferita sanguinante dei beni e delle politiche culturali. L’incognita è il premier. La sua unica esternazione artistica era stata la visita con la signora Monti a una mostra di Caravaggio la sera della sua nomina. Un inizio incoraggiante. Poi il tempo è certamente mancato. Tutti sappiamo che ancora lontano è il momento in cui torneranno, se torneranno, più risorse per le necessità e attività culturali. Per fortuna, la lesina obbligatoria ha interrotto o limitato nel frattempo il penoso spettacolo di denaro pubblico dispensato spesso con modalità scriteriate da uomini politici come alibi della loro personale insipienza artistica e apatia culturale. Ma non è solo questione di risorse. La competenza, l’intelligenza, l’uso di un mezzo potentissimo come le leggi, la collaborazione con altri Ministeri, la distribuzione degli incarichi, l’eliminazione di errori e di omissioni potrebbero intanto generare alcuni risultati strepitosi senza grandi spese.
L’affidamento a un ministro degnissimo ma inesperto potrebbe far pensare a una sottovalutazione (non certo paragonabile a precedenti tipo i Facchiano, i Bono Parrino, i Vizzini, i Vernola). È dunque opportuno che il Governo dimostri non solo a parole (e in verità, per fortuna, di parole ve ne sono state assai poche, prudenti e appropriate) di avere la consapevolezza che, se le politiche culturali possono e debbono attendere il loro turno, esse non sono affatto secondarie nel futuro del Paese. Al contrario, che saranno centrali e predominanti. E la volontà di agire quando tornerà la bella stagione.

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da Il Giornale dell'Arte numero 318, marzo 2012