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Terzo settore e fondazioni di origine bancaria

  • Pubblicato il: 15/09/2015 - 10:27
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Pietro Barbieri

«Ancora più in una fase di crisi socio economica come quella che stiamo vivendo, è necessario concentrarsi sugli elementi che determinano le possibili strategie del rapporto consolidato tra fondazioni di origine bancaria e Terzo settore». Quali le sfide dei prossimi anni?

 
La comunità che abita il Terzo settore italiano è quella delle marginalità, delle diseguaglianze e delle emergenze sociali, il pieno sviluppo della persona umana è la cifra del suo agire. Ancora più in una fase di crisi socio economica come quella che stiamo vivendo, è necessario concentrarsi sugli elementi che determinano le possibili strategie del rapporto consolidato tra fondazioni di origine bancaria e Terzo settore. Un rapporto sinergico sancito dalle norme e, soprattutto, delle pratiche positive costruite. Le diseguaglianze in Italia risultano in maniera ancora più evidente se guardiamo agli indicatori culturali e persino ambientali: il divario nel Paese, che non riguarda più esclusivamente le differenze di reddito tra Nord e Sud, è molto più visibile nei dati sull’abbandono scolastico e sulla raccolta differenziata dei rifiuti. Da un lato, si è consolidato un processo di rafforzamento dell’idea che si possa creare benessere per se stessi solo attraverso la creazione di ricchezza economica e senza approdare alla società della conoscenza. Dall’altro, si è preferito guardare più all’individuo che alla comunità: ci si è occupati poco e male dell’ambiente in cui viviamo, a partire dalla sostenibilità per la salute delle persone che abitano le comunità. Questo divario può essere proiettato anche sulla dimensione europea: l’Italia non paga solo uno spread in termini di credibilità economica, ma soprattutto un divario di analoghi indicatori con l’Europa centrale e settentrionale. Sui temi del welfare, poi, il nostro Paese è agli ultimi posti della graduatoria europea quanto a spesa su PIL. Nel contrasto alla povertà assoluta, la condizione forse più estrema, siamo addirittura ultimi , dopo Grecia, Portogallo e tutti i paesi dell’ex “Cortina di ferro”. Nella nostra comunità è sempre stato più importante garantire il posto di lavoro a qualunque costo piuttosto che occuparsi, con un sussidio economico e un progetto di inclusione, delle persone in povertà assoluta. Grazie al Terzo settore siamo riusciti ad arginare questa emergenza. Un percorso in cui il sostegno delle fondazioni di origine bancaria è fondamentale, in assenza di risorse pubbliche. La cura della condizione di disabilità e non autosufficienza, così come dell’infanzia, si fonda sulla spesa privata: ecco, quindi, il fenomeno delle assistenti familiari straniere, più di 1 milione e mezzo di lavoratrici di altri Paesi, che rappresentano il vero baluardo del welfare italiano. Ormai la spesa out of pocket è più che doppia rispetto a quella pubblica, laddove la prima comunque occupa un numero di persone decisamente superiore alla seconda ed eroga prestazioni sul piano quantitativo decisamente superiori. È evidente che si tratta di un sistema abbandonato a se stesso, che si organizza sulla base delle proprie conoscenze e risorse, senza alcun accompagnamento pubblico. Ciò comporta il proliferare del lavoro sommerso, con le note conseguenze in termini di capacità professionale e tutela del lavoratore. Una parte rilevante del Terzo settore si è messa in gioco e ha costruito processi di mediazione e accompagnamento in un’ottica tutta sussidiaria, con alcuni inevitabili sconfinamenti verso la vera e propria sostituzione di funzioni pubbliche del tutto assenti. Per dirla con Eurostat, all’Italia mancano quasi tre punti di PIL per raggiungere la media europea quanto a spesa su povertà, disabilità e non autosufficienza e infanzia: più di 40 miliardi di euro. In questa condizione il pericolo maggiore che si corre è che l’alleanza tra Terzo settore e fondazioni di origine bancaria possa risultare un alibi per evitare allo Stato di assumere responsabilità pubbliche. In nessun Paese occidentale, Stati Uniti compresi, l’azione sussidiaria può essere sostitutiva dell’intervento dello Stato. Ancora di più in questa fase di crisi così profonda, si rende evidente la limitatezza delle risorse e quindi la necessità di un piano strutturato di lavoro per il contrasto alle vecchie e nuove marginalità sociali. Persino le vaticinazioni finanziarie mostrano tutti i loro limiti. Un progetto sociale, per sua natura, non ha indicatori di successo analoghi alle prestazioni di vendita e scambio di beni e servizi per remunerare il capitale: è fondato sull’empowerment delle persone, è un investimento economico che restituisce risultati con tempi e modalità difficilmente accomunabili a una trimestrale di cassa. L’alleanza tra Terzo settore e fondazioni di origine bancaria si deve quindi spostare su un terreno diverso (senza però abbandonare quello delle emergenze sociali delle nostre comunità): mettere assieme forze che nel welfare di comunità agiscono con separatezza, ridondanze e sovrapposizioni; definire un territorio largo nel quale operare per far coincidere e semplificare politiche pubbliche delle varie aree, assieme anche al profit, che in questi anni ha cominciato a erogare prestazioni sociali con gli accordi bilaterali. Si tratta, infine, di ridurre le diseguaglianze territoriali interne al nostro Paese e alle nostre comunità. Proprio laddove esiste più disagio sociale, in un nesso diretto con quello culturale e ambientale, l’investimento (pubblico, delle fondazioni e delle imprese profit) è minore. Questo, accanto ad altri elementi storici, è alla base anche di una carente infrastrutturazione sociale e quindi di un numero minore di volontari, addetti e organizzazioni non profit. Oltre a mostrare gli straordinari successi della Fondazione con il Sud, bisogna guardare allo sviluppo sociale e di coesione in quei territori come elemento fondamentale per il contrasto alla criminalità organizzata e il ripristino di legami sociali fondati sulla cittadinanza e non sul sopruso. Per questa ragione l’intervento di ACRI, con un bando nazionale sulla progettazione sociale interamente dedicato a povertà assoluta e infanzia, rappresenta un tentativo di sollecitare la comunità nazionale a farsi carico delle condizioni estreme. A ciò si aggiunge la necessità di sperimentare modelli di governance in cui le organizzazioni sociali di rappresentanza siano considerate veramente primo settore, poiché in grado di leggere e trasferire la conoscenza della dimensione sociale e delle marginalità che la nostra comunità produce. Senza alcun infingimento, il Terzo settore può essere vittima di infiltrazioni del malaffare e della corruzione. Financo della criminalità organizzata. Ciò accade quando si perde lo spirito originario, i valori e le motivazioni da cui prende spunto l’impegno, volontario o professionale. Ogni natura giuridica può diventare così uno strumento in mano alla speculazione e al facile arricchimento personale. L’alleanza ACRI-Forum Terzo settore è di per sé una declinazione della pluralità, della collettività e del bene comune e quindi un antidoto ormai consolidato da rinverdire con nuove sfide.
Dalla  Rivista "Risorse" di Fondazione CRC
 
Pietro Barbieri è Portavoce Forum del Terzo settore