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Sacro e Contemporaneo: se la Biennale di Venezia diventa occasione per sperimentare un binomio possibile

  • Pubblicato il: 18/07/2016 - 10:00
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Andrea Archinà

Da Bill Viola ai Recycle Group, dieci anni di esperienze di arte contemporanea per adeguare i luoghi di culto ai nuovi canoni liturgici e trasformare la chiesa in un luogo privilegiato dove coltivare un rinnovato umanesimo. Ne parliamo con Don Gianmatteo Caputo, Delegato Patriarcale per i beni culturali e direttore degli Uffici per i beni culturali e per il turismo del Patriarcato di Venezia nonché direttore del Museo diocesano di Venezia 
 
 
 
La prima finalità dei musei ecclesiastici ha coinciso in passato con la necessità di conservare, studiare e valorizzare il patrimonio storico-artistico afferente i luoghi di culto sul quale essi gravitano. Oggi il mondo religioso si sente chiamato ad assumere nuove chiavi di lettura ai visitatori, indagando una diversa forma di rapporto tra committenza ed artisti che stimoli la riflessione sulla produzione contemporanea, percepita spesso come qualcosa di incomprensibile se paragonata ai precedenti canoni.
Ne parliamo con Don Gianmatteo Caputo, Delegato Patriarcale per i beni culturali e direttore degli Uffici per i beni culturali e per il turismo del Patriarcato di Venezia nonché direttore del Museo diocesano di Venezia considerato il luogo di accesso alla comprensione dell'arte presente nelle chiese, secondo la prospettiva dell'experience design. Curatore di mostre ed esposizioni d’arte nei maggiori musei in Italia e all'estero, a lui spetta il compito di selezionare progetti e allestimenti di arte contemporanea per la Biennale di Venezia nelle chiese. Durante la prestigiosa Esposizione internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, la Chiesa Veneziana, infatti, apre le porte di alcune chiese per una nuova esperienza di incontro fra l'arte contemporanea e la spiritualità. Si tratta di eventi collaterali che vedono coinvolti grandi artisti internazionali che hanno realizzato progetti nei quali il luogo di culto dialoga con installazioni site-specific per offrire un momento di riflessione sull'attualità e confrontarsi con alcune esperienze importanti dell'arte contemporanea.
 
 
 
 
Il Concilio Vaticano ha imposto un adeguamento dell’architettura alla liturgia riformata, di fatto introducendo un nuovo rapporto trilaterale tra la committenza ecclesiastica, gli artisti e i visitatori. Quanto è difficile oggi individuare un orientamento di dialogo preciso con l’arte contemporanea, specie alla luce di una tradizione artistica preconciliare che si è sedimentata e selezionata nei secoli con modalità a tratti un po’ “ingombranti”?
Il tema alla base di questa importante riflessione è quello dell’adeguamento dei luoghi di culto ai nuovi canoni liturgici. Uno degli aspetti più importanti da considerare oggi nella necessità di intervenire sul patrimonio architettonico delle nostre chiese rispettando le indicazioni dell’attuale liturgia è quello del dialogo tra le richieste della comunità con il suo vescovo, gli artisti chiamati ad esprimere un’idea di ridisegno del luogo e le soprintendenze, enti deputati a indirizzare gli interventi secondo criteri di tutela coerenti con l’evoluzione storico-architettonica dei siti. La sfida più grande è quella di giungere a dei risultati che siano frutto delle competenze e della professionalità di tutti questi soggetti coinvolti. Quello che non si coglie mai abbastanza è il fatto che la chiesa è frutto di un progetto complessivo e non l’assemblaggio di elementi distinti. L’obiettivo è quindi quello di riprogettare l’insieme e non di fare operazioni estemporanee slegate tra loro. L’intento degli interventi di arte contemporanea non deve essere quello di creare qualcosa di nuovo, avulso dal contesto, ma di inserirsi o contrappuntare il racconto originario. Spesso utilizzo l'immagine del passo evangelico in cui Gesù dice agli apostoli di andare a preparare la sala per l’ultima cena. Nell’idea della cena pasquale c’è anche quella di adeguare un luogo a ciò che è destinato ad ospitare: la festa memoriale.
La chiesa è sempre un luogo che si trasforma in ragione di questa sua funzionalità. Gli edifici di culto devono essere considerati un po’ come palinsesti di diversi stili con visioni del mondo e dell’arte anche diverse differenti fra loro ma destinate ad affiancarsi. Le prime chiese nascono dall'adeguamento delle basiliche, edifici con una precedente funzione in seguito adeguate non solo per ragioni funzionali, ma simboliche.
 
 
 
L’arte contemporanea, diversamente dal passato, consente sia all’artista che all’osservatore di non lavorare solo sull’immagine in sé e per sé, ma di indagare anche materie, tecniche e linguaggi differenti. Ciò necessariamente provoca una rottura con quella formalità che erano proprie del contesto liturgico pre conciliare. A che punto è il processo di ricomposizione di questo cambio di prospettiva?
Rispetto al passato abbiamo un giudizio critico che ovviamente non può essere rapportato alle categorie della contemporaneità. Se pensiamo ai grandi cicli pittorici o scultorei che ammiriamo nelle nostre chiese, nella stragrande maggioranza dei casi questi si sono imposti a posteriori. Il nostro giudizio critico su ciò che viene realizzato oggi è sempre incompleto e frutto di una mancata sedimentazione, di frequentazione e di consuetudine nel contesto sacro di una pluralità di materiali che sono ancora troppo recenti per essere in qualche modo oggetto di valutazione. Alcuni interventi di oggi fra qualche anno saranno dimenticati ed altri meno appariscenti saranno valorizzati positivamente. L'aspetto significativo è che ciò che finirà per imporsi sarà la corrispondenza di questi interventi allo spazio celebrativo e quindi alla performance liturgica nel suo insieme. Non possiamo nasconderci che la tendenza di oggi è spesso quella di ricercare l’artista già famoso per attribuirgli un incarico. Questo è un fenomeno sconosciuto al passato, dove l’esigenza dell’affidamento era decorativa o contenutistica con un valore didascalico o più strettamente liturgico e devozionale. Era l’occasione/committenza che rendeva l’uomo artista. Oggi, al contrario, l’intervento artistico, proprio per questo suo essere maggiormente legato al nome dell’autore, rischia di farsi maggiormente portatore dell’esperienza della sua vita e creatività, piuttosto che di quell’attento dialogo con i responsabili della liturgia e di tutto quel mondo che caratterizza il luogo “chiesa”.
E’ anche vero che la liturgia del Vaticano II è sì ben definita, ma non possiede più quegli elementi di riferimento puntuali che invece erano regolamentati negli scritti di San Carlo Borromeo o nelle norme e nelle rubriche liturgiche dei secoli passati. Anche questa libertà ha in qualche modo condizionato l’attuale incertezza. Siamo nella difficoltà di valorizzare opportunamente i beni e trovare delle occasioni di espressione dell’arte contemporanea in un contesto che non ha più canoni di riferimento. L’unica chance che è rimasta è quella di ricercare ciò che corrisponde a verità piuttosto che ciò che viene considerato esteticamente bello. In un mondo che vive costantemente di fiction, la liturgia non può mai rinnegare questa esigenza di verità. Nella celebrazione, pur vivendo di un rito, la Chiesa diventa sempre uno spazio di incontro. L’arte ha, dunque, valore lì dove mostra la realtà e la verità di ciò che si sta rappresentando in quello spazio. Un esempio importante è quello della croce, una delle espressione simboliche più alte che tutti gli artisti di ogni epoca e stile hanno cercato di indagare, interrogandosi attraverso la sua rappresentazione sull’umanità di Dio. Se oggi un artista contemporaneo decidesse di rappresentare la crocifissione coi un linguaggio informale, ovvero abbandonando il segno/simbolo è chiaro che verrebbe meno l’espressione della verità di quell'iconografia perché sarebbe privilegiata l'assenza di forma piuttosto che il legame più autentico con il contenuto.
 
 
 
La mancanza di una seria riflessione sul destino dei luoghi di culto che non vengono più utilizzati va di pari passo con quello di asportarne le opere con un alta probabilità di loro musealizzazione, il tutto a discapito del loro legame con il contesto in cui erano inserite e la loro intrinseca funzione liturgica. Quali azioni adottare per scongiurare questo rischio?
La funzionalità liturgica, sia quella del passato che quella di oggi, non deve essere esclusivamente vista come un aspetto legato ad una dimensione confessionale. Essa va riscoperta per rispondere ad un criterio di valorizzazione del suo contesto artistico e architettonico che può e deve essere narrato indipendentemente dall’approccio del visitatore, del fedele o dell’uomo di cultura.
La narrazione di un’opera va condotta attraverso l’indagine profonda del legame che l’opera ha con il contesto per cui è stata pensata e con l’azione liturgica a cui è connessa. Del resto è la stessa performance liturgica ad essere composita dipendendo contemporaneamente dal gesto, dall’opera d’arte, dal manufatto, dalla scultura e dall’ elemento architettonico. Il racconto (anche l'azione liturgica lo è) attiene a tutti questi elementi messi insieme e, dove questo legame si interrompe, si può certamente ancora cogliere la dimensione estetica o la qualità tecnica dell’autore, ma si rischia di perdere la dimensione cultuale che è culturale. E spesso anche la stessa bellezza di certi manufatti creati appositamente per la liturgia può essere compresa al di fuori del contesto per cui sono stati progettati e realizzati. Ecco perché anche quando ci troviamo ad esporre opere fuori dalle nostre chiese, è necessario considerare l’opportunità di proporre allestimenti capaci di evocare il loro contesto originario. Diversamente vengono mutilate di una parte della loro dimensione essenziale. Pensiamo ad una pala d’altare, progettata per essere collocata in una chiesa a tre o quattro metri d’altezza: esposta in un museo a 30 centimetri dal pavimento rischia di offrire una la visione prospettica stravolta che ignora quella appositamente studiata per ricreare nell’osservatore un certo effetto, anche di natura emozionale.
 
 
 
In tutto questo l’arte contemporanea che ruolo gioca?
In questo particolare frangente storico l’arte contemporanea può diventare occasione per comunicare il senso originario di un luogo attraverso operazioni che cercano di evocarlo non con la liturgia, ma con forme d’arte che la richiamano o la ricordano indirettamente abbracciando prima di tutto il contesto. In fondo ogni volta che siamo di fronte ad un’opera d’arte ci ritroviamo necessariamente a vivere un’esperienza emozionale forte che ci coinvolge spesso con tutti i nostri sensi. Questa devo ammettere che è prerogativa soprattutto dell’arte cristiana. Non dobbiamo mai dimenticarci che fra le grandi religioni monoteiste la religione cristiana si è imposta per il peso che in essa ha l’incarnazione. Dio che si fa Uomo non può non avere delle ricadute nell’arte che si propone di rappresentare questo dato che è anche elemento spirituale e mistico. L’opera del passato colta nel suo contesto originario evoca il radicamento di ogni espressione artistica che fuori da questo richiede un ulteriore intervento per essere compresa pienamente.
 
 
 
Quali risvolti si sono ottenuti facendo dialogare fra loro la Chiesa, intesa come edificio destinato al culto, e l’arte contemporanea, a maggior ragione in concomitanza con un evento di portata internazionale come la Biennale d’Arte di Venezia?
Venezia conta un centinaio di chiese a fronte di 55000 abitanti. È evidente che questi luoghi rischiano di perdere la dimensione del loro racconto originario, specie quando non sono più utilizzati liturgicamente. La Biennale di Venezia fornisce ogni anno l’occasione per una loro reinterpretazione: ciascun luogo interessato viene influenzato dall’opera attraverso uno scambio estremamente interessante. Abbiamo cercato di cogliere questa opportunità come un’occasione di vero dialogo e di nuova progettazione di location diverse da quelle tradizionalmente considerate. L’obiettivo è stato quello di creare degli spazi di espressione che fossero essi stessi motivo di ispirazione per una nuova ideazione creativa da parte di artisti e curatori. In questo senso l’artista aggiunge certamente qualcosa al luogo di culto che a sua volta aggiunge e interagisce con l’opera realizzata.
Si tratta di uno scambio culturalmente interessante che produce spesso un forte impatto sui visitatori, proprio perché di fronte a questi interventi la partecipazione della gente è totalmente diversa da quella che potrebbe avvenire in una galleria o in un padiglione espositivo. Prima di tutto perché sono consapevoli di entrare all’interno di un luogo già fortemente caratterizzato, quindi si crea una sorta di aspettativa di fronte alla quale può esserci sorpresa oppure curiosità, ma talvolta anche commozione. Tutti sentimenti veri, in nome di quella esigenza a cui accennavo prima, che riconducono a una qualità delle forme che si manifesta con un nuovo linguaggio, anche se non artistico in senso stretto, ma spesso con modalità più vicine alla performance.
 
 
 
Gli esempi più riusciti di questa sperimentazione decennale?
I nomi che hanno lavorato con noi in questi anni sono tra i più importanti del panorama internazionale. Questo non corrisponde ad una scelta, ma ad un’offerta di collaborazione che si manifesta ogni anno con una cospicua serie di progetti per i quali il mio unico lavoro è quello di verificare la coerenza della possibilità di dialogo tra contenitore e contenuto. Il mio non è mai un compito che riguarda la censura di cosa può stare o meno in una chiesa, bensì il valutare insieme all’artista le ragioni che lo spingono ad interagire con l’ambiente e le soluzioni quali risposte ha dato proposte in base alla sua esperienza e alla frequentazione personale del luogo. Non a caso la fase preparatoria di questi progetti dura ben oltre ad un anno.
Si tratta di esperienze vere ed autentiche per la singolarità di ciascun artista e per il linguaggio e le forme artistiche utilizzate (materiali, tecniche, media, ecc.). Alcune, proprio per il linguaggio artistico utilizzato, sono certamente di più immediata comprensione. Proprio per questo ottengono anche grandi numeri di visitatori come ad esempio quelle di Bill Viola diversi anni fa o dei Recycle Group dello scorso anno. Tuttavia, anche quelle che hanno ricevuto un apprezzamento più puntuale, sono progetti che proprio per la straordinaria intuizione che hanno avuto riescono ad arrivare alla gente con modalità altrettanto significative. In molti casi ci si potrebbe per esempio chiedere come sia stato possibile affrontare certi temi all’interno di una chiesa (penso al tema della violenza sulle donne nell'opera della Cronin lo scorso anno), ma la delicatezza con cui viene fatto, così come la capacità di comunicare, di suggerire ed evocare determinate situazioni, consente di arrivare alle persone attraverso un veicolo emozionale prima ancora che mentale e pertanto privo di qualsivoglia stigmatizzazione.
Trattandosi di arte contemporanea, poi, sono interventi che, proprio perché nascono in una chiesa che spesso ha perso la sua originaria funzione, cercano di riscoprire il valore del segno. Questo è significativo proprio perché in linea con la fede cristiana: la ricerca del segno per comunicare un determinato valore è la strada attraverso la quale si riscopre il senso dell’incarnazione e della modalità con la quale la fede cristiana si esprime più pienamente. La dimensione sacramentale nella chiesa rimanda a gesti e cose, segni e sensi: pane, vino, acqua... Vista, udito, olfatto, tatto, gusto... È, infatti, proprio dell’arte cristiana da un punto di vista teologico e antropologico affrontare attraverso i segni i temi della libertà, dell’uguaglianza, di giustizia ma seguendo sempre il tema dell’incarnazione e di ciò che questo comporta.
La chiesa, sia essa ancora officiata o no, richiama la dimensione spirituale e personale e comunitaria con la quale questi artisti dialogano alla ricerca di una condivisione degli aspetti umani che il luogo di culto afferma nella sua dimensione di casa di Dio-casa degli uomini; al tempo stesso il luogo eleva alla meditazione e offre un contesto nel quale la ricerca del bello viene sublimato nel richiamo al vero e al bene. E il risultato non può che essere sorprendente.
 
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