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Ritorno al futuro per il Mauritshuis

  • Pubblicato il: 15/02/2014 - 11:34
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Giovanni Pellinghelli del Monticello
Emilie Gordenker Foto © Max Coot Studio

Bologna. Il Mauritshuis è in questi giorni forse il museo più nominato d’Europa, senz’altro d’Italia. Il palazzo che lo ospita e da cui prende il nome fu edificato fra il 1636 e il 1641 al centro dell’Aja, sulla sponda meridionale del piccolo lago Hofvijver, dagli architetti Jacob van Campen (1596-1657) e Pieter Post (1608-69), i maggiori esponenti dello Stile Palladiano olandese della metà del Seicento e ne esalta i canoni classicisti di eleganza, simmetria, armonia coniugati alla severità olandese. Costruito su due piani, sovrastati da una grande cupola andata distrutta da un incendio nel 1704, è infatti rigidamente simmetrico: quattro appartamenti si affacciano su una grande sala centrale e ciascuno è composto da anticamera, sala principale, camera e vestibolo. Committente fu un cugino dello Stathouder dei Paesi Bassi Federico-Enrico, il principe Johan-Maurits di Nassau-Siegen (1604-79), governatore del Brasile olandese, da cui il nome, letteralmente «Casa di Maurizio». Restaurato fra il 1708 e il 1718, il palazzo fu acquistato nel 1820 dal governo olandese per ospitarvi le Collezioni Reali d’Arte e le Collezioni Reali di Rarità, l’equivalente delle Wunderkammer di molti principi tedeschi. Nel 1995 il museo è stato privatizzato e da allora è attiva la Fondazione che si prende cura sia delle collezioni d’arte sia del palazzo stesso.
Oggi, il Mauritshuis è «scrigno» di molti fra maggiori «gioielli» artistici dell’arte europea, scegliendo a caso: «Il peccato originale» di Rubens (1617), «Il ragazzo che ride» di Frans Hals (1625), «La lezione di anatomia del dottor Tulp» di Rembrandt (1632), «Il toro» di Paulus Potter (1647), «Il cardellino» di Carel Fabritius (1647), «Come i vecchi cantano, così i giovani suonano» di Jan Steen (1675) e, oggi negli occhi e sulla bocca di tutti, le tre più celebri opere di Vermeer «La ragazza con l’orecchino di perla» (1665 ca), «La veduta di Delft» (1660-61 ca) e «Diana e le Ninfe» (1653-54 ca).
In questi giorni, per l’apertura a Bologna a Palazzo Fava della mostra «La ragazza con l’orecchino di perla. Il mito della Golden Age da Vermeer a Rembrandt. Capolavori dal Mauritshuis», ultima tappa (fino al 25 maggio) del progetto itinerante che dal 2012 a oggi ha portato un numero variabile dei tesori del Mauritshuis in giro per il mondo (37 a Bologna, 15 alla Frick Collection a New York, 35 a San Francisco al De Young Museum e all’High Museum of Art di Atlanta, 48 in Giappone al Tokyo Metropolitan Art Museum e al Kobe City Museum) mentre all’Aja si prepara l’attesissimo global restyling del museo, da inaugurarsi il 27 giugno, abbiamo incontrato Emilie Gordenker, direttore del Mauritshuis dal primo gennaio 2008 e ideatrice sia del tour mondiale sia del progetto di restauro e ristrutturazione.
Americana di madre olandese, nata a Princeton nel 1965 (ma appare di almeno 10 anni più giovane), dottorato nel 1998 all’Institute of Fine Arts di New York con una tesi su «Van Dyck and the Representation of Dress in Seventeenth-Century Portraiture», pubblicata nel 2001 da Brepols, decisamente bella, Emilie Gordenker ha la semplicità disinvolta e distaccata dell’upper class colta angloamericana, a suo agio su qualsiasi sponda dell’Atlantico. È la curatrice perfetta per un museo dalla raffinatezza sontuosa ma mai sopra le righe come il Mauritshuis. Eppure si entusiasma e si appassiona con vivacità inaspettata, quasi mediterranea, da vera passionate connoisseuse ancora prima di entrare nel vivo della conversazione, fin dal commento d’esordio, quasi una frase detta per «rompere il ghiaccio».
Ma con questa totale ristrutturazione, il Mauritshuis non perderà quell’atmosfera caratteristica e intangibile, condivisa con pochi altri piccoli musei privati al mondo, che ne ha fatto finora, più che un museo, una residenza privata in cui si ha il privilegio di ammirare tesori d’arte senza pari?
Ma no, assolutamente! Anzi, esattamente il contrario. Il grande progetto di ristrutturazione nasce proprio dal desiderio anzi dalla necessità e dal dovere di mantenere quell’atmosfera speciale di residenza privata che ha sempre caratterizzato il Mauritshuis e che è il valore aggiunto esclusivo che il museo offre ai suoi visitatori. Capolavori indiscussi si possono vedere in qualsiasi grande museo del mondo: al Louvre, agli Uffizi, al Metropolitan. Ma solo in pochi musei si ha il piacere della contemplazione artistica nell’intimità di sale piccole, raccolte, oserei direi familiari, quella sensazione di eleganza intima e privata, «cosy» e «gemütlich», accogliente e confortevole, che contraddistingue il Mauritshuis. Un valore aggiunto e un carattere che le necessità operative contingenti e pressanti del museo hanno sempre più messo a rischio: le esposizioni tematiche e temporanee, la didattica, l’informatizzazione, l’interattività digitale che in altri contesti portano i musei all’avanguardia, qui potevano riuscire fatali. Da ciò lo studio di un progetto di ristrutturazione del museo che riuscisse nel non facile intento di coniugare tradizione e rispetto del passato, conservazione dei caratteri distintivi del Mauritshuis e proiezione nel futuro, con strumenti di innovazione tecnologica on-the-edge per la digitalizzazione, l’interattività, la didattica e ogni altra necessità di un museo contemporaneo.
Quindi un progetto che realizzasse una sorta di «Ritorno al futuro», per usare una metafora e citazione cinematografica ardita?
La citazione è ardita ma centrata. «Ritorno» e «Futuro» sono i concetti base di tutto il restyling del museo. Abbiamo puntato in due direzioni opposte: un restauro che restituisse nella sua integrità il fascino del Mauritshuis presente e d’antan e una ristrutturazione e un ampliamento che proiettassero il Museo già nel futuro non di domani ma di dopodomani. Da quest’ultimo punto di vista, il magnum opus di tutto il progetto, iniziato nel 2010 e affidato allo studio di architettura Hans van Heeswijk Architects di Amsterdam, è la nuova ala del museo, la Royal Dutch Shell Wing, realizzata a lato del palazzo barocco in quella parte del fabbricato anni Trenta della Sociëteit de Witte prospiciente la Corte d’Onore del Mauritshuis. La nuova ala raddoppia gli spazi del museo ed è collegata al palazzo seicentesco da un vasto foyer sotterraneo, situato sotto il Korte Vijverberg [il viale su cui si affaccia il Museo, Ndr] e dotato di illuminazione naturale, a cui si accede con un ascensore in cristallo di forma cilindrica situato nell’angolo sinistro della Corte d’Onore e da uno scalone al piano terreno della nuova ala. In quest’ultima si trovano il centro didattico, il Mauritshuis Cafè & Bookshop, le nuove gallerie per le mostre temporanee a tema, le sale-convegni e i centri di ricerca interattiva. Il celebre laboratorio di restauro del museo, che gode di una speciale partnership con Shell Nederland e regolarmente collabora con il Netherlands Institute for Art History, le Università di Delft e Anversa e con la National Gallery of Art di Washington, resta invece, ma ampliato in spazi e strutture, nella piano più alto del palazzo barocco. Ancora più affascinante, il lavoro di restauro del palazzo sei-settecentesco: in tutto un percorso à rebours, un ritorno al Seicento. Per la facciata si è ripristinata la versione originale voluta da Campen e Post, ripristinando per le grandi finestre le vetrate a quattro luci, sostituendole a quelle a sei luci di fattura ottocentesca, e ritinteggiando le facciate nella tinta ideata dagli architetti costruttori, una tonalità più leggera e morbida di rosa terracotta sfumata nel beige mandorla. Allo stesso modo, ritorno all’origine anche per il restauro di stucchi, boiseries e tappezzerie: sulla base della palette di tessuti e colori scelti sempre da Campen e Post sono state ritessute le sete nei colori e decori anticamente usati, sottoponendole a uno speciale trattamento per renderle ignifughe.
Si direbbe un progetto costosissimo…
Certamente l’impegno economico è più che importante. La Fondazione ha coperto gran parte dei costi, grazie anche ai proventi del travelling tour, ma ha potuto senza dubbio contare sul sostegno principale di Shell, a cui è infatti intitolata la nuova ala, e su quello di molti altri sponsor e donatori tramite i Vrienden van het Mauritshuis [Amici del Mauritshuis]. Del resto la storia del Museo è anche storia di continue donazioni. Dopo l’esilio napoleonico al Louvre dal 1795 al 1815, la collezione privata dei Principi d’Orange-Nassau venne resa pubblica da re Guglielmo I (1772-1843) nel 1815 e nel 1822 fu lo stesso re a voler che la «Veduta di Delft» di Vermeer venisse esposta al Mauritshuis, anche se era stata acquistata su richiesta del direttore del Rijksmuseum di Amsterdam. E ancora nel 1828, «La lezione di anatomia del Dottor Tulp» di Rembrandt e la «Veduta di Haarlem» di Jacob van Ruisdael, acquistate per lo studio personale del re, furono dal sovrano donate al Mauritshuis mentre lo stesso Guglielmo I acquistò per il museo «La lamentazione di Cristo» di Rogier van der Weyden. Dopo Guglielmo I, fra i maggiori donatori figura il collezionista Arnoldus Andries des Tombe (1818-1902), che donò al museo proprio la «Ragazza con l’orecchino di perla» e altri 11 dipinti fra cui una «Composizione di fiori» di Ambrosius Bosschaert e la «Ragazza sulla sedia» di Govert Flinck. Ma la donazione più vasta è venuta da Abraham Bredius (1855-1946) che, come direttore del museo dal 1889 al 1909, non solo acquisì numerose opere che fanno oggi il vanto della collezione ma alla sua morte lasciò al Mauritshuis ben 25 dipinti, di cui 3 Rembrandt: «Andromeda», «Omero» e «Saul e David». In 1936 Sir Henri Deterding (1866-1939) donò 5 opere, fra cui «Il mangiatore di ostriche» di Jan Steen e la «Donna che scrive una lettera» di Gerard ter Borch. Louise Thurkow-van Huffel (1900-87) ha legato 3 dipinti, fra cui una «Marina» di Salomon van Ruysdael e dal 2002 si è aggiunto il barone Willem van Dedem (1929), che ha donato al Mauritshuis 5 opere fra cui una «Natura morta» di Willem Kalf, un «Paesaggio brasiliano» di Pieter Post, chiaro omaggio al committente e all’architetto del palazzo, e «La danza dei contadini boemi davanti alla locanda» di Roelant Savery.
In sintesi: un museo che non si può non visitare, dal 27 giugno in poi più che mai.
Esatto. E a dimostrazione di quanto il Mauritshuis sia aperto all’ospitalità dei suoi visitatori, tengo molto a sottolineare che l’ornata cancellata seicentesca in ferro sul Korte Vijverberg, finora perlopiù chiusa dato l’accesso laterale al museo, sarà dall’inaugurazione tenuta aperta, a invitare i passanti e i visitatori a entrare nella Corte d’Onore e da lì nel museo, passando dall’ingresso principale, come faceva nel Seicento il padrone di casa Johan-Maurits di Nassau-Siegen.
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