Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Premiare il paesaggio attivo

  • Pubblicato il: 14/04/2015 - 18:10
Autore/i: 
Rubrica: 
PAESAGGI
Articolo a cura di: 
Paolo Castelnovi

Il 28 Aprile presso il Mibact, al Collegio romano, si consegnano i riconoscimenti ai selezionati del bando per la candidatura al IV Premio biennale del Paesaggio europeo. Un premio innovativo che guarda al paesaggio attivo. E l’Italia, per una volta, fa scuola. Nel processo di selezione, nella comunicazione e nella qualità dei progetti. Emerge un patrimonio di pratiche di cooperazione in cui il paesaggio è il mezzo. Da capitalizzare
 
 
Il Premio europeo del paesaggio sta diventando una vetrina di luoghi di eccellenza, come le iscrizioni al patrimonio Unesco o le Capitali culturali, ma con criteri del tutto innovativi.
A Strasburgo si selezionano i progetti attuati da oltre tre anni, con specifiche prestazioni in termini di partecipazione pubblica, di modello gestionale esemplare e di contributo ad uno sviluppo territoriale sostenibile. I criteri del Consiglio d’Europa premiano dunque azioni di interesse generale, che utilizzano il paesaggio come leva per esercizi di democrazia e volontariato, come generatore di confronti e circolazione di idee e di buone pratiche, come motore di sviluppo locale duraturo.
Non si scelgono i luoghi di eccellenza, ma piuttosto si premiano gli sforzi per rafforzare le comunità attraverso la qualificazione di luoghi difficili e del senso di identità dove è in pericolo, per abbandono o trascuratezza. Insomma si va in ricerca del paesaggio attivo, degli interventi progettati, programmati e gestiti che migliorano la società utilizzando il paesaggio. E’ un atteggiamento diverso da quello prevalente in Italia, nella cultura dei progettisti, degli amministratori e dei controllori, abituati al manicheismo della tutela del passato immobilizzante o del liberi tutti, consenzienti a subire i vincoli del paesaggio passivo in alcuni luoghi pur di non dover pensare agli impatti sociali e ambientali delle trasformazioni incoscienti in tutti gli altri.
 
In questo quadro europeo innovativo e così poco italiano, il Ministero italiano ha attivato una procedura di selezione della Candidatura al Premio che è modello per tutti gli altri paesi, e le nostre candidature sono le più considerate in tutta Europa.
Nelle scorse edizioni i candidati italiani hanno vinto una volta (con il recupero urbano e territoriale di Carbonia), una volta sono stati classificati secondi (con il modello gestionale innovativo dei Parchi della Val di Cornia). Nella edizione del 2013 la candidatura di una cooperativa di Libera nel Corleonese, che valorizza socialmente terre confiscate alla mafia, è stata giudicata all’unanimità la più interessante ma, non essendo proponibile un’ulteriore vittoria italiana, si è inventata una Menzione speciale per segnalarla.
 
Se si cerca di capire il motivo di questa eccellenza italiana, più conosciuta oltralpe che in casa, ci si addentra in un caso di schizofrenia istituzionale. Quello stesso Ministero, quegli stessi uffici che da una parte dedicano quasi tutte le loro energie nello sforzo di Sisifo di conservare il paesaggio alla stregua degli altri beni artistici con procedure pesanti e spesso poco efficaci , dall’altra sono capaci di mobilitare centinaia di esperienze e di pratiche locali, di farle partecipare ad un concorso il cui palio è un attestato, di entusiasmare e fare piangere di emozione sindaci di paesi e associazioni che valorizzano qualcuno degli innumerevoli luoghi straordinari del nostro paese.
Non è un’invenzione ma piuttosto una buona pratica: un bando ben diffuso e accompagnato in modo capillare raccoglie con una logica di persuasione e di inclusione le esperienze operative e gestionali più diverse, che interessano il paesaggio in modo anche molto lato, ma sempre sono partecipate, sostenibili, gestite con continuità.
 
Dove i ministeri degli altri paesi europei scelgono senza pubblicità i propri candidati al Premio di Strasburgo, il Mibact ha fatto della selezione un evento partecipativo e di sensibilizzazione di grande interesse. La selezione fa emergere le amministrazioni locali minori ma anche gli operatori privati impegnati nella gestione di beni comuni e le reti di valorizzazione di risorse culturali e ambientali in ambiti poco frequentati.
Si tratta di operatori quasi sempre dotati di un buon equilibrio tra tecnica e strategia politica, senza le depressioni dei lamentatori del paesaggio degradato né i narcisismi dei progettisti di Opere firmate.
Lo stile più frequente di queste partecipazioni è la sobrietà allegra, di chi usa al meglio risorse scarse per collaborazioni pubblico-privato, l’integrazione di risorse e di competenze per la loro gestione, programmi di attività sistematiche – per lo più di volontariato organizzato - che ravvivano luoghi in abbandono o degradati, con un lavoro spesso lungo e lento, e quindi più facilmente duraturo.
 
La selezione della cooperativa di Libera Placido Rizzotto, del 2013, ha portato alla luce un desiderio diffuso tra questo tipo di operatori: far coincidere il lavoro per il paesaggio con strategie etiche, di democrazia, di valorizzazione di beni comuni. Alla consegna dell’attestato da parte del Ministero molti dei concorrenti, menzionati per altri progetti, hanno avuto parole di gratitudine e di fierezza per aver partecipato ad una edizione in cui era stata giustamente emersa e portata all’attenzione europea l’impegno e la capacità operativa di Libera.
Insomma si è generato quasi inaspettatamente un clima adatto a costituire una rete solidale e collaborativa tra esperienze diverse e tra loro sconosciute, ma animate, quasi a loro insaputa, da uno spirito di servizio per il bene comune e da un interesse poli-tecnico per le pratiche operative di gestione e di partecipazione.
Il paesaggio sembra essere il mezzo, e non il fine, di aggregazione di soggetti interessati, di volontà non spinte dal bisogno ma da un desiderio di qualità e di miglioramento, che si esplica attraverso il progetto inventivo e ad hoc e la sua realizzazione tenace e sostenuta (non solo sostenibile).
 
Questo è il caso dell’intervento scelto per la candidatura 2015 che si presenta il 28 aprile: il Parco agricolo dei Paduli, un territorio rurale di oltre 5000 ettari ricco di storia antica, da millenni a uliveto e bosco, coinvolgente 9 comuni del Leccese. La selezione è motivata dalle attività svolte per oltre 10 anni dal gruppo promotore di un processo di coinvolgimento degli attori locali per progetti di sviluppo, in forma di Laboratorio urbano, finanziato dalla Regione Puglia e poi integrato nel Piano paesaggistico regionale come Progetto pilota.
I laboratori estesi a tutta la popolazione interessata, progettano, e in parte realizzano in autocostruzione, un albergo diffuso temporaneo e permanente, organizzano forme alternative di mobilità, promuovono la conoscenza del paesaggio con itinerari e documentazione di mete, diffondono metodi biologici di produzione agricola e di cura dell'ambiente, curando il rilancio di metodi tradizionali di coltivazione e lavorazione dei prodotti, con modalità e tecnologie adeguate ai tempi senza perdere la qualità originarie.

Accanto ai Paduli, primeggianti per l’eccellenza dei processi di volontariato e partecipazione, sono stati selezionati 9 altri programmi e progetti: per la complessità e la completezza delle strategie (l’attuazione del Piano provinciale trentino e il progetto strategico Corona Verde della regione Piemonte, i contratti di paesaggio della Provincia di Terni, il Parco delle Colline Carniche), per la qualità dei progetti di recupero (i contesti produttivi di Formignano e di Castel del Giudice), per la valorizzazione di itinerari (a Porto Empedocle e tra le cave della Val di Noto), per il coinvolgimento di contesti rurali (gli orti storici di Ostuni).
Questi sono i selezionati 2015 da un repertorio di 45 proposte, che si vanno ad aggiungere alle oltre 130 delle scorse edizioni. E’ un tesoro di buone volontà, di pratiche portate in fondo contro ogni ostacolo burocratico, di gestioni faticose e lente che costituiscono il migliore frutto della semina culturale sparsa con la Convenzione europea del paesaggio.
 
Ecco perché sarebbe un gran peccato disperdere queste esperienze, che chiedono solo di essere conosciute, di entrare in contatto con altri e di non farle tornare nella solitudine dei luoghi periferici da cui per lo più provengono.
Per una volta il Mibact, che ha fatto 30, potrebbe fare 31, promuovendo una rete permanente di informazioni e segnalazioni di buone pratiche del paesaggio attivo, che si potrebbe facilmente autogestire a costo zero.
 
 
© Riproduzione riservata