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Passaggi

  • Pubblicato il: 16/03/2015 - 18:40
Autore/i: 
Rubrica: 
IN QUESTO NUMERO
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

 
 
La nave ha rotto gli ormeggi,
non ti prenda nostalgia della terra.
F. Nietzsche
 

 
Colpo da Maestro. Capolavoro assoluto di Giuseppe Guzzetti, padre nobile dell’Acri, l’associazione che riunisce le fondazioni di origine bancaria. Giocando d’anticipo, le fondazioni hanno promosso un ulteriore passo della loro autoriforma, siglando nei giorni scorsi con un protocollo di intesa con  il Ministero dell'Economia e delle Finanze. Una sorta di moderna circolare interpretativa delle norme che le disciplinano  con la previsione «di ridurre la partecipazione nella banca conferitaria oltre i limiti di legge »: un atto unilaterale d’obbligo, liberamente assunto dalle singole fondazioni, che dovrà essere deliberato dai singoli cda. L’accordo risponde alle pressioni sull’eccesso di prossimità con le banche e manifesta la volontà delle fondazioni di agire un ruolo di attore primario del terzo settore nel solco delle legge Ciampi del 98/99 e successive modifiche «in continuità con scelte già effettuate da molte (..), ma con un'innovazione assoluta nel rapporto fra vigilante e vigilato».
Con questa mossa l’Acri ha posto la parola fine all’assedio, alla conflittualità che ha caratterizzato il rapporto tra il mondo delle fondazioni di origine bancaria e il Governo, una conflittualità che non ha fatto bene al sistema, segno di un’atmosfera tesa, di una messa in discussione dei corpi intermedi, né Stato, né mercato, cruciali in un momento storico di fragilità istituzionale. Le fondazioni possono avere un grande ruolo nella ricomposizione dei sistemi locali che oggi sono come specchi caduti a terra. E’ crollato il sistema politico, nazionale da un lato e locale dall'altro. Pur dominato da “piccoli ras, da congreghe, diavoli goffi, bizzarre streghe,” aveva tessuti connettivi forti, non sempre spregevoli, oggi precipitati. In questo scenario magmatico,  le fondazioni di origine bancaria consapevoli e preparate, stanno rispondendo alle esigenze aggregative. Un valore che moltiplica quello delle loro erogazioni. Una strada aperta sulla quale molto è ancora da fare in questa età dell’incertezza, di passaggio.
 
“Passaggi”, questo è il tema della la quarta edizione di Biennale Democrazia, organizzata a Torino dalla Fondazione per la Cultura (dal 25 al 29 marzo), progetto partito dieci anni fa, alla scomparsa di Norberto Bobbio. «Sappiamo ciò che non siamo più, non sappiamo ciò che saremo, ciò che stiamo diventando» afferma il Presidente, Gustavo Zagrebelsky (La Stampa, 15 marzo). «Siamo post. Il post più tipico è la democrazia, in cui non conosciamo il futuro, e neppure bene il presente».” Un tema che richiama i passages di Walter Benjamin, la scoperta degli aspetti nascosti, degli anfratti, delle possibilità del cambiamento.  Il passaggio tipico è quello del mar Rosso. «Come gli Ebrei non sappiamo a cosa andiamo incontro(..) in questa traversata. Rimpiangeremo le cipolle del Faraone. Ma dovremo andare avanti». La prima incertezza è la Politica,  « diventata pura riparazione di guasti sociali, meramente esecutiva (..) sotto la legge della necessità, dell’equilibrio finanziario. Manca la cultura del governo». La democrazia è malata. Un’incertezza globalizzata nelle trasformazioni geopolitiche, delle migrazioni, dell’incontro-scontro.  Incertezza per i mutamenti economici, il passaggio dall’economia reale a quella finanziaria, a quella 3.0. E i passaggi generazionali. E’ il tempo della «generazione Telemaco», come l’ha definita Matteo Renzi - forse ispirato da Recalcati-. Dell’erede che riconosce i padri, ma vuole una nuova identità fatta di innovazione, velocità, concorrenzialità.  E’ tempo di passaggi delicati per i più deboli, per coloro che non producono. Passaggi per i quali sono necessari anticorpi sociali, nei corpi intermedi. Per questo la Biennale avrà un’attenzione particolare per la Cultura. Perché «Il tempo delle inquietudini può seminare prospettive». Se le vediamo.
 
In questo scenario, ringraziando i nostri lettori che sono triplicati in due mesi, rispondiamo con queste riflessioni a coloro che ci chiedono perché una testata che vuole essere uno spazio di riflessione sul ruolo agito delle fondazioni, nella cultura, accolga voci dall’Europa, segua i processi di innovazione dal basso, si occupi di «ciò che sta intorno». Perché non si può agire in termini strategici se non si comprende, in senso etimologico, il contesto, un contesto che non è solo fatto da pari. Perché l’azione individuale è marginale rispetto agli impatti della creazione di una ecologia, di una circolarità, fuori dai recinti, senza gerarchie di pensiero, tra alto e basso.
Come reclama Neve Mazzoleni, nel suo articolo sull’innovazione sociale, perché in Italia sia permesso di diventare grandi alla «massa di lavoratori ultra-precari che hanno spesso fatto percorsi di formazione post-laurea, parlano diverse lingue, sono parte del dibattito internazionale, hanno familiarità con gli strumenti digitali e con la trasformazione continua dei sistemi di produzione. […] È di questo che parliamo quando parliamo di innovazione culturale».
 
In questo numero, tra gli altri contributi, PierLuigi Sacco ed Erminia Sciacchitano ci parlano delle evoluzioni politiche del nuovo ciclo di programmazione comunitaria, al rientro dalla conferenza tenutasi a Riga, l’11 e 12 marzo, per il semestre lituano di Presidenza. Tema dell’incontro la «Cultural e Creative Crossover», una chiave nel trend globale di una economia guidata dall’innovazione, della smart specialization, dell’era 3.0 (digital heritage, creative placemaking, gamified communication); le opportunità delle connessioni tra cultura e salute, cultura e green economy, cultura e sharing economy, verso un nuovo way of life, di partecipazione attiva, di rigenerazione, dal basso e inclusiva. Vanno in questa direzione le riflessioni di Paolo Castelnovi sul paesaggio, di Eugenia Monzeglio sull’accessibilità della cultura di tutti, con tutti, per tutti, le politiche di audience engagement della Fondazione Torino Musei. Saprà l’Italia capitalizzare il percorso progettuale delle candidature alla Capitale Europea della Cultura 2019? E’ in scadenza in bando per il progetto di Capitale Italiana della Cultura 2016.2017. Nella sua analisi Alessandro Bollo rileva una regressione degli indirizzi ministeriali verso il turismo. Centrali sono le competenze di progettazione. La novità è lo stanziamento del Mibact al «fondo per la progettazione della cultura» per l’innalzamento della qualità progettuale, chiamando in causa soggetti privati. Si affacciano nuove formule organizzative, ibridi, le chiama Paolo Venturi. Le Fondazioni d’impresa scendono in campo con progetti sempre più strategici e di rete. Un esempio l’analisi dell’impegno di 48 fondazioni a favore di 40mila giovani. Ma la crescita di un paese è variabile dipendente della qualità dell’investimento pubblico, afferma Mariana Mazzucato nel suo best sellers «Lo stato innovatore», nonostante la piena controffensiva neoliberista. Non basta l’ottimismo Expo driven, grimaldello, condizione necessaria per smuovere, ma non sufficiente.
Il cambiamento si sente ed è possibile. La strategia della mostra di Palma il Vecchio a Bergamo, profonda scientificamente, attrattiva internazionalmente, ma basata su un pervasivo nel coinvolgimento della comunità, lo dimostra. Un investimento di energie in 481 incontri per un Bergamohood. Un patrimonio di identità e di metodo, al di là dell’evento. Lo dimostra il Muve, la Fondazione Musei Civici di Venezia, comunale, sesto bilancio consecutivo in utile senza contributi alla gestione. Lo dimostra il Mef-Museo Ettore Fico, un privato che scende in campo, in una periferia ricca di diversità quanto fragile, e con rigore e autorevolezza della ricerca, pone al centro della sua azione la comunità. Ripartire dalle persone. E’ la ragione d’essere della cultura. Non un ossimoro.