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Palermo: odissea nel provvisorio

  • Pubblicato il: 25/03/2013 - 15:15
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Edek Osser e Tina Lepri
Un soffitto della chiesa della Martorana a Palermo

Palermo. Tutto a Palermo nasce precario, non solo nel campo della cultura. Ogni progetto, ogni inaugurazione, ogni iniziativa è provvisoria, destinata a esaurirsi, a diventare residuale.L’esempio più clamoroso è quello della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, nel cuore del quartiere medievale della Kalsa. Riaperta nel 2009 dopo un lungo restauro da 12 milioni di euro, che ne ha raddoppiato la superficie, è la più importante pinacoteca della Sicilia ma le sue inefficienze sono un concentrato dei problemi della città. Difficile raggiungerla, senza indicazioni, per le stradine del centro antico con il rischio di trovarla chiusa. Orari incerti, a volte chiude il pomeriggio, spesso il sabato, quasi sempre la domenica. «Il meccanismo è questo, spiega Gianfranco Zanna, direttore di Legambiente Sicilia: buona parte del personale dieci anni fa lavorava in una fabbrica di scarpe, che ha chiuso. Sono tutti passati alla Regione come precari part time: 20 ore a settimana. Se c’è un soprintendente di polso riesce a concordare gli orari con i sindacati. Altrimenti decidono loro: per esempio lavorano anche lunedì, quando il museo è chiuso per riposo settimanale. Tra martedì e venerdì esauriscono le loro 20 ore, quindi sabato e domenica il museo resta chiuso. Tutto senza preavviso, senza che il sito web lo segnali. Se aprire o no si decide al mattino, a seconda del personale che arriva». Risultato: soltanto 40mila visitatori all’anno. «Le denunce della stampa, le proteste dei turisti restano lettera morta. Secondo me, continua Zanna, la situazione sta perfino peggiorando. Il nuovo assessore, Antonino Zichichi, non è in grado di occuparsene». La situazione dell’Assessorato regionale ai Beni culturali, affidato dal neopresidente della Regione Rosario Crocetta a uno scienziato di 83 anni che vive quasi sempre a Ginevra e sa poco di siti archeologici e di musei, è diventata imbarazzante. A questo si aggiunge la mancata nomina del soprintendente regionale: beni culturali senza referente.

La difficile «seconda primavera»
Dal maggio del 2012, alla guida del Comune di Palermo è Leoluca Orlando già sindaco per due volte negli anni Novanta, protagonista della «primavera di Palermo». Aveva avviato una profonda trasformazione del centro storico e del sistema della cultura. L’attuale assessore comunale ai Beni culturali, Francesco Giambrone, aveva condiviso, sempre come assessore, quella stagione politica: «Oggi partiamo da una grave condizione di arretratezza sulla qualità dei servizi culturali, denuncia. Tra il 1993 e il 2000, sull’onda della voglia di riscatto dell’intera comunità dopo le stragi di mafia, avevamo iniziato un percorso in questa città ferita. Poi il cambiamento si è fermato, anche nella cultura». Tra gli aspetti più negativi, la mancata collaborazione tra le diverse istituzioni della città, Regione, Comune, Provincia, Curia, che pesa in ogni aspetto della cultura palermitana. Anche le cose più semplici, come gli orari, non sono coordinate. I beni preziosi della città sono dispersi, senza segnaletica né regole. Fa eccezione la Galleria d’Arte moderna. Dall’inaugurazione del 2006 funziona regolarmente: orari precisi, una buona caffetteria, bookshop, servizi didattici ecc. Un’isola di normalità. «Abbiamo un grande problema per il “sistema città”, dice Giambrone. Non c’è mai stata la volontà di sedersi intorno a un tavolo e decidere che cosa fare per operare insieme. Oggi sono ottimista, qualcosa sta cambiando. Con la Regione si è aperto un rapporto positivo per costruire un “sistema”, con regole uniche per tutti. Siamo ai principi base. È drammatico partire da una condizione tanto arretrata: terribile dover dire che non so se oggi il Museo Abatellis è aperto o no».

Musei in crisi
Non è stata soltanto la crisi globale ad affossare le istituzioni museali di Palermo e della Sicilia. Non esiste una vera politica della cultura e del turismo, mancano comunicazione e promozione. Le cifre ufficiali sono sconfortanti. In meno di quattro anni, i visitatori dei 62 siti dei beni culturali siciliani sono passati da 4,5 milioni nel 2007 a 3,3 milioni nel 2010. Una diminuzione del 25%, ben oltre la media nazionale. «È grave che di quei 3,3 milioni, stranieri e siciliani, spiega Gianfranco Zanna, 2,7 milioni, cioè il 75%, vadano soltanto in 8 luoghi: Taormina, Siracusa, Segesta, Agrigento, Piazza Armerina, Selinunte, Monreale e, a Palermo, Cappella Palatina. C’è stato un leggero recupero nel 2011, ma sempre in quegli 8 luoghi. Ancora più grave che sempre su 3,3 milioni, soltanto il 13% dei visitatori entri in un museo. È inconcepibile, per esempio, che ad Agrigento 460mila persone vadano nella Valle dei Templi e soltanto 40mila di loro entrino nel museo che si trova nella Valle e ne conserva i reperti». Questo turismo rapido e distratto riguarda anche Palermo. A parte Monreale che si trova in un altro Comune (circa 200mila visitatori nel chiostro, a pagamento; molti di più nel Duomo) la città ha un solo grande polo d’attrazione: la stupefacente Cappella Palatina. I visitatori sono in crescita: 350mila nel 2012. La Palatina con tutto il Palazzo dei Normanni dipende da una fondazione pubblica, la «Federico II», diretta emanazione dell’Assemblea regionale, che con biglietti e altri introiti riesce a coprire gran parte dei costi di gestione. Esempio positivo e insieme strana anomalia: la fondazione è una realtà a parte, una struttura della quale non è chiara la necessità, autonoma anche dalla Soprintendenza e dallo stesso Assessorato regionale proprietario del palazzo.

Le ambizioni della città
Palermo si pone due obiettivi che potrebbero farne una vera città d’arte. Primo: entrare nell’élite dei siti Unesco Patrimonio dell’Umanità con l’Itinerario arabo-normanno, uno straordinario insieme di tesori medievali: la Cappella Palatina, la Zisa, la Cuba, San Giovanni degli Eremiti, la Martorana appena riaperta dopo il restauro, San Cataldo oltre al duomo di Monreale e quello di Cefalù. Ne sono promotori Regione, Fondazione Patrimonio Unesco Sicilia e, molto attiva, la Fondazione Sicilia. Il piano di gestione è pronto da tempo: la decisione dell’Unesco è attesa nel 2014. Presidente della Fondazione Sicilia è Giovanni Puglisi, personaggio chiave della cultura palermitana, presidente della Commissione Italiana per l’Unesco. «Abbiamo buone speranze di riuscire, dice. La cosa più interessante è che per accelerare il percorso abbiamo dovuto spostare la nostra attenzione dal centro storico di Palermo all’Itinerario arabo-normanno. La città deve prestare attenzione, per esempio, alla Zisa: bisogna liberarla da quello che c’è intorno, pensare alla sua manutenzione. La valorizzazione di un tale monumento dovrebbe essere affidato a professionisti responsabili». Sulla Zisa, uno dei monumenti simbolo della città, è drastico il giudizio di Sergio Troisi, critico d’arte, scrittore, giornalista, curatore di mostre: «Il giardino della Zisa è una cosa mortificante per chi l’ha progettato e chi lo frequenta. Ed è abbandonato. Il vero problema è quello di inserire la valorizzazione del bene in una visione urbana complessiva. Questo è il punto cruciale. Per la Zisa bisogna prima di tutto agire sul quartiere anche dal punto di vista dei servizi urbani “normali”. Non si può pensare di valorizzare nessun elemento architettonico di pregio senza intervenire sul contesto».
La stessa Cappella Palatina ha bisogno di attenzione maggiore e nuove cure. Dal soffitto dorato si staccano tessere di mosaico, probabile effetto di un restauro mal fatto. Giovanni Puglisi è indignato: «Pur restaurata da poco, comincia a cadere a pezzi». Inaccettabile, poi, che il prezioso, fragile pavimento (del 1100) a meandri, fatto di minuscole pietre colorate, resti senza protezione, calpestato dalle scarpe di migliaia di persone.

Capitale europea nel 2019
Il secondo obiettivo di Palermo è ancora più ambizioso: ha lanciato la sua candidatura aCapitale Europea della Cultura per il 2019. Antonio Gerbino, responsabile della comunicazione di Civita Sicilia, è stato tra i sette promotori del primo appello nel 2011, che si è trasformato in manifesto pubblico nel febbraio del 2012. «Hanno aderito 101 istituzioni: Università, Arcidiocesi, associazioni culturali, Camera di Commercio ecc., racconta Gerbino. A settembre 2012 il nuovo sindaco Orlando ha reso ufficiale la candidatura. È una sfida seria e difficile, perché prevede un percorso obbligato, con scadenze e regole precise. L’Europa non si accontenta della storia passata. Per il 2019 la città deve essere capace di proporre un progetto culturale. Palermo ha due forti elementi di base a suo favore: primo, è una città del Sud, e finora le “capitali” italiane sono state del Nord. Secondo: è in posizione privilegiata per un dialogo con i Paesi del Mediterraneo. Dobbiamo superare la concorrenza di altre 20 città italiane (cfr. n. 320, mag. ’12, p. 9, Ndr). Se passiamo la prima fase, alla giuria dovremo presentare un programma dettagliato. In sostanza, si tratterà di un progetto di sviluppo della città basato sulla cultura». Che possibilità ha Palermo, la città della mafia, quella che non riesce ancora a raccogliere i rifiuti per le strade? «Questa, dice Gerbino, è una sfida e una grande opportunità: può costringere Palermo a superare i suoi ritardi, a progettare in grande, per la prima volta, guardando lontano».

Tagli lineari
Come presidente della Fondazione Sicilia, Giovanni Puglisi è stato protagonista di un grande restauro progettato da Gae Aulenti: il recupero integrale di Palazzo Branciforte, inaugurato nel maggio del 2012 nel cuore di Palermo (cfr. n. 321, giu. ’12, p. 19). Un recupero esemplare, aperto alla città, con una biblioteca di 50mila volumi, una grande sala per i reperti archeologici della Fondazione e altri servizi. «Un bene, precisa Puglisi, che ha il valore di un museo». La Fondazione Sicilia è al centro della cultura palermitana ma, dice Puglisi, «vorrei che diventassimo punto di forza di un sistema stellare, non credo negli eroi solitari, ma nelle politiche di sinergia. Purtroppo a Palermo manca ancora un’identità cittadina forte».
Puglisi racconta un caso che descrive lo stato dei beni culturali palermitani: «In piazza San Domenico, il convento della Basilica ospita un’antica istituzione, la Società siciliana di Storia Patria della quale da anni sono presidente. Ha un patrimonio librario impressionante in un contesto architettonico unico, un chiostro simile a quello di Monreale. C’è anche il Museo del Risorgimento che sono riuscito a restaurare con finanziamenti europei, inaugurato da Napolitano nel settembre 2011. Adesso sono costretto a chiudere la Società (cfr. lo scorso numero, p. 17, Ndr), culla della cultura cittadina. La Regione non ha risorse. Ma tutti i musei sono a rischio. Questo perché la “spending review” si fa come i tartufi, nascondendosi. E come ti nascondi per fare i tagli? Facendoli lineari. A Palermo hanno inventato un assistenzialismo culturale che io chiamo “il terziario della cultura”. Si costituiscono associazioni o fondazioni inutili, spesso legate a gruppi famigliari, che ottengono soldi da Regione, Comune, Provincia. Quando poi si deve tagliare non si fanno distinzioni. Sono le cattive pratiche della cultura».
Le finanze del Comune sono a secco. In crisi perfino istituzioni prestigiose come il Teatro Massimo. Mancano anche i soldi per la manutenzione ordinaria. Accanto a Palazzo dei Normanni e alla Cappella Palatina, uno dei luoghi più conosciuti di Palermo, Porta Nuova, è in degrado. Lo denuncia da due anni Legambiente. A causa delle infiltrazioni d’acqua e delle vibrazioni da traffico, cadono calcinacci e la ringhiera della balaustra è a rischio crollo. In attesa di fondi per il restauro, si sta mettendo in sicurezza il monumento.

Qualcosa si muove?
Al di là della mafia, di istituzioni finora distratte, di una burocrazia malata, la Palermo della cultura ha risorse inaspettate: gruppi e associazioni attivi, un volontariato diffuso. I 500 iscritti di Salvare Palermo fanno parte di una delle associazioni «storiche» della città, pronte a intervenire contro scempi e abusi. «Abbiamo costituito un Forum della cultura con il Fai, Italia Nostra, Amici dei Musei, Anisa, Dimore Storiche. Con la nostra ultima battaglia, racconta la presidente Rosanna Pirajnosiamo riusciti a evitare la sparizione del Fondo Luparello, uno degli ultimi terreni agricoli della Conca d’Oro: invece di difendere quello spazio, la Regione voleva coprirlo di cemento per costruire la sua sede. Contestiamo soprattutto i metodi delle istituzioni: decidono senza informare, senza consultare nessuno. Non c’è trasparenza e il dialogo è difficile». Nel cuore del centro storico sta crescendo un progetto culturale e sociale molto complesso. Fa capo a padre Giuseppe Bucaro, un prete molto attivo, che si muove in accordo con la Curia cittadina. «Abbiamo intitolato questo grosso progetto “Il Genio di Palermo. La bellezza salverà il mondo”,spiega padre Bucaro. Ci lavorano 45 persone. Per noi la vera bellezza è espressione del vivere dell’uomo. Attraverso l’arte intendiamo creare un sistema di rapporti all’interno della comunità che possiede questa bellezza». Il fine è di creare il Circuito museale e culturale integrato del Centro storico, ma anche di sostenere commercio di vicinato e artigianato tradizionale, promuovere partecipazione e integrazione. Parte del circuito è già attiva con guide: comprende gli oratori di Santa Cita e San Domenico con stucchi di Serpotta e tele di Van Dyck e Luca Giordano, altre chiese della zona, e si estende alla Martorana, all’oratorio di San Lorenzo, alla Cattedrale. «Fino al luglio del 2014, dice padre Bucaro, abbiamo un finanziamento della Fondazione con il Sud. Poi dovremo rivolgerci alle istituzioni». Si sta formando anche un’orchestra di bambini seguendo il metodo Abreu, sono avviati corsi di «teologia della bellezza» per guide turistiche «per far capire cosa c’è dietro ogni opera d’arte anche dal punto di vista teologico».

Restaurati (ma vuoti)
Il Salinas è tra i più importanti musei archeologici italiani: non ha mai avuto molti visitatori, ora è chiuso dal 2009 per restauri. Doveva riaprire a luglio 2012 ma servono ancora mesi. Le collezioni sono nei depositi nonostante la possibilità di esporle in gran parte, durante i lavori, in un grande, splendido edificio antico della Regione: il Reale Albergo delle Povere. Ma soltanto nel 2011 è stata organizzata una mostra con la collezione Casuccini del Salinas: 200 reperti, soprattutto etruschi, in attesa che riapra il museo. Qualche mostra anima di tanto in tanto gli enormi spazi delle Povere che, privo dei necessari impianti di condizionamento, non può ospitare mostre importanti. È un bellissimo guscio sottoutilizzato.

I tesori della Provincia
Un altro immenso, magnifico edificio, Palazzo Sant’Elia, è semivuoto, in attesa. Appartiene alla Provincia, restaurato una decina d’anni fa e attrezzato con impianti efficienti. Da allora, mostre senza un preciso programma, di qualità modesta, inadeguata all’importanza e alla vastità del complesso. Due sole esposizioni di spicco: la prima nel 2008, «España 1957-2007», con opere di Picasso, Dalí, Miró e altri da grandi musei spagnoli. Circa 20mila i visitatori. Due anni fa, un altro evento con capolavori italiani arrivati dall’Ermitage di San Pietroburgo. Il palazzo ha una serie infinita di sale su tre piani: 1.600 mq per piano e vasti caveau. Oltre a Palazzo Sant’Elia, la Provincia possiede l’antico Loggiato di San Bartolomeo, tre piani per mostre accanto a Porta Felice, all’ingresso del centro storico di Palermo e con magnifica vista sul mare, e Palazzo Comitini, proprio di fronte a Sant’Elia, che ospita gli uffici della Provincia. Ha arredi settecenteschi, mobili, stucchi, affreschi. Per gestire questi palazzi, alla fine del 2011 è stata creata la Fondazione Sant’Elia in capo alla Provincia. Un anno di passaggi burocratici per tutti i permessi necessari, così in pratica tutto è partito solo da poche settimane. Soprintendente della fondazione è Antonio Ticali, avvocato, che ha accettato una scommessa difficile e, come gli altri membri del Cda, ha deciso di occuparsene a titolo gratuito. Il programma è in costruzione. Una cosa è chiara: Palazzo Sant’Elia farà mostre e non avrà collezioni permanenti. «La nuova programmazione, spiega Ticali, prevede per l’estate la mostra di Francesco Clemente, poi “Van Dyck in Sicily” che porterà qui l’esposizione della Dulwich Gallery di Londra, finanziata dalla Regione». Le idee del soprintendente per il 2013 e oltre si basano sulla collaborazione con i privati: «In Sicilia e a Palermo esistono grandi collezioni di arte antica e contemporanea, quasi tutte non visitabili. In una casa vicina a noi ci sono dei Picasso, a meno di 400 metri c’è un “Cristo” di Caravaggio quasi sconosciuto. E ancora Mantegna, Luca della Robbia, opere fiamminghe esposte finora di rado, lontano da Palermo». Il problema è trovare i finanziamenti per tutto questo: Antonio Ticali è convinto di farcela: «Questi palazzi, è uno dei nostri punti fermi, devono diventare risorse, non soltanto centri di costo. La fondazione nasce per metterli a reddito. Ospiteremo congressi, mostre, avremo caffetteria, bookshop, altri spazi commerciali».

L’arte contemporanea
Palermo non ha ancora uno spazio istituzionale per l’arte contemporanea. Il museo regionale di Palazzo Riso, aperto nel 2005 con due mostre legate alla Biennale veneziana (progetto «Sensi Contemporanei»), non è decollato, ha attraversato una crisi profonda e ha chiuso. Riaperto a maggio 2012, resta in attesa, ancora senza progetti. C’è un nuovo direttore,Francesco Andolina, e da febbraio un comitato scientifico con Achille Bonito Oliva. Il futuro per l’arte contemporanea sul quale punta il Comune è nei capannoni dei Cantieri della Zisa. Non è la prima volta, negli anni erano stati in parte restaurati, usati a fasi alterne, poi chiusi per anni. «Erano diventati una discarica pubblica, abbiamo rimosso 160 tonnellate di rifiuti, anche amianto. Li abbiamo fatti rivivere», racconta l’assessore Francesco Giambrone, forte sostenitore del progetto. «Abbiamo scelto 80 giovani talenti palermitani per creare un’opera plurima, un laboratorio entusiasmante con la collaborazione di artisti già affermati. Credo che sarà inaugurata a maggio. Abbiamo anche riaperto un cinema pubblico. Possiamo contare sull’entusiasmo anche dei componenti di due comitati scientifici, una ventina, che lavorano gratis». Del progetto è parte anche la direttrice della Galleria d’Arte moderna, Antonella Purpura: «Stiamo cercando di definire l’identità di quello spazio al di là dell’esperimento in corso. A questa prima fase, che terminerà a dicembre, deve seguire un progetto diverso e spero originale. Ai Cantieri adesso c’è il cinema, l’Istituto Gramsci, quello di cultura francese, il Goethe-Institut, altri spazi saranno recuperati. Quello dell’arte contemporanea in Sicilia è problema complesso. Gli artisti vengono affascinati da mille stimoli, ma qui non esiste un mercato dell’arte contemporanea. Forse si potrà sviluppare con dinamiche diverse dal resto del Paese». Tutto questo senza dimenticare la presenza della mafia «che non ama i cambiamenti, neanche nella cultura, dice Giambrone, e noi li stiamo imponendo. Qui fuori c’è una macchina blindata. È la mia».

Le altre puntate dell'inchiesta:

1. Bari, città senza musei
2. Firenze, si naviga a vista
3. Napoli, la normalità dell'emergenza
4. Roma. Una volta era la città eterna
5. Venezia contro Venezia, tra splendore e degrado
6. La dotta decadenza di Bologna
7. Miracolo a Milano: com’è piccola la Grande Brera
8. Torino: a rischio il «modello Cultura»
9. Genova: ambizione superba

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da Il Giornale dell'Arte numero 329, marzo 2013