Oggi la realtà sociale è di gran lunga più complessa
Sono lieto di contribuire a questo supplemento del «Giornale dell’Arte» nel ventesimo anniversario della legge istitutiva delle fondazioni di origine bancaria. Lo farò ricorrendo in larga parte a quanto ebbi a dire qualche tempo fa in un convegno che ha avuto luogo a Roma. Il mio contributo volutamente prescinde dalla discussione attuale sugli aspetti e sulle problematiche che investono l’oggi delle fondazioni. Esso segue il filo della memoria, per risalire alle sorgenti, al concepimento, al quale intensamente partecipai, della legge Amato-Carli, che segnò un passaggio fondamentale, di chiarimento istituzionale.
Quella legge consentì di separare nelle casse di risparmio le due anime che avevano fino ad allora convissuto, quella pubblicistica e quella imprenditoriale. Quel connubio improprio costituiva un rovello insinuatosi da tempo nei miei pensieri: avvertivo l’opportunità che si procedesse a modificare la normativa sulle casse di risparmio, enti ormai totalmente diversi rispetto a quel modello di esercizio del credito di ispirazione filantropica che nell’Ottocento aveva dato loro origine.
Un tema, d’altra parte, che prendeva le mosse da molto lontano. Già nel 1924 Maffeo Pantaleoni nel corso di un convegno organizzato dalla Cariplo, era stato «invitato a dire, se e come le casse di risparmio possano funzionare da istituti bancari». Fu, tuttavia, l’esplodere dei clamorosi eventi giudiziari all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso a rendere pienamente manifesta, con le sue drammatiche implicazioni, l’urgenza di porre termine a quel connubio. Nello stesso tempo, inoltre, la Banca d’Italia si andava rafforzando la convinzione che la banca fosse impresa, indipendentemente dalla sua natura giuridica e che la «pubblicità» non ineriva al soggetto, in modo che qualunque cosa faccia, qualunque cosa tocchi, diventi tutto pubblico.
Cito da un mio intervento del 1982: «...nel caso delle Casse di risparmio la pubblicità c’è dove c’è: essa non s’addice alla loro attività di impresa, per sua natura neutra ed assoggettata al diritto privato». Ho voluto riproporre la genesi della legge di cui si celebra il ventennale per sottolineare come le riflessioni di ordine giuridico ed economico sulla banca pubblica impegnavano da tempo la Banca d’Italia. L’accelerazione, almeno per quanto concerneva la normativa sulle casse di risparmio, fu impressa, come ho sopra ricordato, da eventi traumatici, quali quelli che portarono alla decapitazione dei vertici delle maggiori Casse e all’arresto di molti presidenti. Da allora, la portata della trasformazioni avvenute nel campo della finanza e della banca è stata tale da rendere improponibile qualsiasi confronto diretto: sono mondi radicalmente diversi. Illustri studiosi si sono occupati delle fondazioni, che in vent’anni hanno visto ampliarsi l’originaria sfera di operatività.
Nel frattempo, la realtà sociale, terreno in cui le fondazioni manifestano appieno la propria vocazione, è divenuta di gran lunga più complessa; ha assunto mille sfaccettature, al limite della frammentazione. Una complessità che richiede un enorme sforzo di comprensione, nella scelta stessa degli strumenti concettuali, nelle categorie a cui facciamo ricorso per capire. Per capire come sono cambiati e come, sempre più rapidamente, continueranno a cambiare bisogni, aspirazioni, scelte nelle nostre società. Lo stesso carattere epocale della crisi economica, i cui prodromi risalgono a tempi molto anteriori alla presente crisi finanziaria ed economica, è innanzitutto crisi culturale, morale e di valori.
Non sembri peregrino questo richiamo alla natura e alla portata delle trasformazioni che stiamo vivendo. Il coinvolgimento a cui ci sottopone la dimensione quotidiana dei nostri affanni sovente non agevola la comprensione dei fenomeni più rilevanti, non affina la capacità di cogliere i sommovimenti più profondi. E, tuttavia, non può sfuggire l’indispensabilità di volgere lo sguardo in direzione di un orizzonte più ampio; collocandoci in un punto di osservazione che permetta di percepire con chiarezza il tornante della storia che stiamo percorrendo.
L’organizzazione della nostra società, stretta tra vecchi e nuovi bisogni e severi vincoli di economicità, impone radicali trasformazioni. Le fondazioni, come corpo sociale intermedio, assumono un ruolo rilevante nell’applicazione su più ampia scala del principio di sussidiarietà.
La crisi economica ha messo irrimediabilmente in luce l’insostenibilità dello Stato sociale così come lo abbiamo sperimentato finora. Ma non è solo l’insostenibilità finanziaria a decretarne il totale ripensamento. Vorrei in proposito, e con questo concludo, riproporvi un passaggio della Centesimus annus di Giovanni Paolo II: «Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti con enorme crescita della spesa».
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(X Rapporto Annuale Fondazioni)