Nuove economie per la cultura
Mentre i numeri della cultura, latamente intesa, salgono in termini di addetti e quota di PIL e reggono il sistema paese nel posizionamento strategico e in competitività, i fondi alla cultura scendono. Ma parlare di questo sarebbe scontato. Piuttosto l’obiettivo è spostare il focus dal sostegno finanziario a forme altre di investimento: giustizia ed equità fiscale, nella convinzione che attraverso un sistema di regole chiare sia possibile recuperare competitività e welfare e, conseguentemente, attrarre i privati convincendoli della strategicità della scelta.
Lo scenario che si presenta oggi non è affatto confortante:
- l’introduzione di franchigie e tetti di spesa alle liberalità per i privati (detraibili al 19%) disincentiverà le micro-donazioni, quando in realtà il tessuto civico nazionale e il patrimonio si presentano stratificati e diffusi;
- la presenza di norme «liquide» sparse ovunque: dal C.C al TUIR al Codice beni culturali, dalle norme sul diritto d’autore al diritto di seguito, dal DPR Iva al decreto su enti non commerciali e Onlus, impongono una riflessione (e un’azione) seria sulla necessità di una legge-quadro per la cultura;
- una fiscalità pesante sulle transazioni nel mercato dell’arte combinata all’abbassamento del tetto per la normativa antiriciclaggio e all’introduzione di strumenti di accertamento (spesometro, redditometro, etc.) sta causando all’Italia perdita di competitività, poiché ovunque è più conveniente vendere, comprare, produrre arte, tenere aperta una galleria;
- la normativa introdotta ad ottobre dalla Regione Toscana per la deducibilità Irap e Irpef (addizionali regionali) di erogazioni liberali è stata al momento dichiarata incostituzionale dalla Corte e mentre si scrive è in atto un «combattimento» (espressione usata dall’Assessore al Bilancio Riccardo Nencini nel convegno «Niente cultura, niente sviluppo. Rapporto pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale» il 23.11 u.s. a Prato nella Settimana della Cultura di Confindustria) il cui esito è ancora incerto;
- i «markets» culturali, museali in particolare, a distanza di 20 anni dalla Legge Ronchey e di oltre 10 dagli Standard sono ancora pochi o inadeguati, se si pensa che il Louvre da solo fattura in merchandising l’80% di quanto viene fatturato nel nostro paese. Così mentre attendiamo una politica culturale inclusiva da questo punto di vista (come rafforzamento della brand identity, prima ancora che come fonte di entrate/ricavi) e un programma di incentivi che possano far sviluppare un merchandising identitario e di qualità, il consumatore culturale deve accontentarsi di statuette in plastica fuori dal museo;
- l’interpretazione restrittiva su deducibilità e detraibilità delle sponsorizzazioni(che alcune sentenze dei Giudici di Cassazione stanno assimilando alle spese di rappresentanza) sta minando la valenza dello strumento cardine finora più adottato per gli investimenti culturali.
Le sponsorizzazioni, in particolare, meritano un commento visto che i Supremi Giudici si stanno pronunciando in ambito sportivo già dal 2011, e con sentenze successive nel corso di quest’anno (cnf. Cass. N. 3433/2012), affermando che dette spese possono essere considerate integralmente deducibili (dal reddito, ai fini Ires e Irap, e dunque con Iva detraibile) solo ed esclusivamente se sussiste un «nesso logico tra l’attività dello sponsor e la promozione dedotta». L’onere probatorio è, ovviamente, a carico del contribuente (cfr. Cass. N. 6548/2012), che deve anche dimostrare l’esistenza di un contratto sinallagmatico tra le parti. In altre parole ciò potrebbe significare di volta in volta dover dimostrare che la sponsorizzazione, quindi anche quella culturale (per una mostra, un restauro, un concerto, etc.), generi non tanto un ritorno di immagine per lo sponsor ma un incremento commerciale diretto; altrimenti sarebbe fiscalmente mera «spesa di rappresentanza» (con le conseguenti rigide limitazioni di deducibilità e detraibilità).
Sono «emergenze» i cui costi diretti, indiretti, ombra, si riflettono sul sistema paese causando un gap di valore (monetario, economico e culturale) non meno importante dei continui tagli lineari, più facilmente riconoscibili ed identificabili, ancorché più insidioso e nascosto.
Irene Sanesi è Presidente Commissione «Economia della Cultura» UNGDCEC (Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili)
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