Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

L'analogismo di Luigi Presicce

  • Pubblicato il: 13/10/2016 - 16:11
Rubrica: 
LA PAROLA AGLI ARTISTI
Articolo a cura di: 
Andrea Bruciati e Stefania Crobe

Anche questo mese apriamo con le riflessione degli artisti, dai quali ci lasciamo ispirare e stimolare. La partnership tra Il Giornale delle Fondazioni e ArtVerona | Art Project Fair continua con l'ascolto di Luigi Presicce. Sul ruolo dell'arte e degli artisti oggi parleremo domani 14 ottobre durante il talk inaugurale di ArtVerona


Per cominciare vorremmo che individuassi un brano importante, che ti rappresenta e che ritieni sia importante per avvicinarti al tuo lavoro.
Ecco, o Tat, l'immagine di Dio come possiamo rappresentarcela: se tu la contempli attentamente e la comprendi con gli occhi del cuore, credimi, figlio, tu troverai la via dell'ascensione: o piuttosto, questa immagine stessa ti condurrà, giacché questa è la via della contemplazione: incatena coloro che sono giunti a essa come dicono che la calamita attiri il ferro
Tratto da Ermete Trismegisto, il Pimandro, L'intelligenza suprema che si rivela e parla ed altri scritti. Editrice Atanòr s.r.l. Roma, 1980.

Partendo da questa citazione, il ruolo dell'artista è quello di figura che trasforma alchemicamente ciò che esperisce?
L'artista è uno strumento nelle mani di Dio e Dio è armonia. Tutto è segno del divino, noi stessi lo siamo quando non ci lasciamo abbrutire.
"Tutto è santo, tutto è santo, tutto è santo. Non c'è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tientelo bene in mente. Quando la natura ti sembrerà naturale tutto sarà finito - e comincerà qualcos'altro. Addio cielo, addio mare! Che bel cielo! Vicino, felice! Dì ti sembra che un pezzetto solo non sia innaturale? Non sia posseduto da un Dio?" Tratto da Medea, Film, colore, 1969 di Pier Paolo Pasolini.

08_allegoria_astratta_dellatelier_del_pittore_allinferno_tra_le_punte_gemelle_2014.jpg

Allegoria astratta dell’atelier del pittore all’inferno tra le punte gemelle, 2014, performance per un solo spettatore alla volta, accompagnato. Teatro Studio, Scandicci (FI). Fotografia Dario Lasagni, video Daniele Pezzi. Courtesy l’Artista e Teatro Strudio, Scandicci (FI).

Ritieni che l'artista debba riattivare un recupero del sacro in un mondo sconvolto dalla guerra fra religioni?
Non parlerei di sacro, ma di santità. Le guerre tra religioni sono sempre esistite da quando gli Israeliti hanno scoperto Dio. Questi racconti hanno portato alla nascita di tutta l'arte a sfondo religioso che conosciamo.
Pensiamo a 'Le Storie della Vera Croce', interi cicli pittorici che hanno fatto la magnificenza dell'arte italiana del Trecento e del Quattrocento. L'attualità è ancora ferma li, dove l'impero Bizantino combatteva con quello Ottomano per la supremazia di un solo Dio...presumibilmente lo stesso.
L'idea stessa di santità è nei gesti semplici, nello sguardo che ci tramandiamo di padre in figlio, nell'ascolto che poniamo nei confronti della terra e del cielo, nel nostro prostrarci di fronte all'immenso.

In che modo ritieni che un artista possa essere al servizio di questa funzione, diciamo, sociale. Con quali mezzi, meccanismi.
Non sono affatto sicuro che un artista debba avere una funzione sociale, ci sono persone molto più competenti e con mezzi più validi e autorevoli. Se un artista riesce a salvaguardare la propria anima dalle brutture del mondo, dai giochi di potere e dai meccanismi dell'arte stessa, ha già fatto tanto. Chi prega non lo fa per se stesso, ma soprattutto per gli altri. L'arte è un mezzo che soccorre per necessità l'artista. L'artista non può fare a meno di esporsi ogni santo giorni ai rischi di questa condanna che è a tutti gli effetti una vocazione, una chiamata. Tutti gli altri ne traggono solo giovamento, ma questi restano semplicemente intorno, l'artista è il centro e niente esisterebbe senza di esso, né musei, né collezionisti, né curatori, né parassiti di ogni genere.
Mi accorgo ora che nelle due citazioni fatte c'è sempre un dialogo tra "padre e figlio", tra maestro e discepolo...questo è stato il fulcro del mio lavoro per lungo tempo e continua a esserlo. Qui sta il senso dell'insegnamento, della preghiera, perché anche la preghiera è manifestazione del bello non solo dell'onnipotente.

07_il_giudizio_delle_ladre_pentecoste_2012.jpg

Luigi Presicce e Maurizio Vierucci (Oh Petroleum), Pentecoste (Il Giudizio delle ladre), 2013, Azienda floricola Albano, Leverano (LE). Fotografia Alessia Rollo. Courtesy gli Artisti e Museo MAMbo, Bologna.

 

E' molto interessante questo rimando al 'santo', al consacrato.
Se nel Medioevo ad esempio vi era il predominio di un ordine simbolico che scandiva il tempo, lo spazio, le relazioni, oggi assistiamo ad un primato del visibile su tutte le altre forme di conoscenza. Un predominio che sembra non lasciare spazio ai segni, ai simboli e alla loro contemplazione; linguaggi sensibili e metaforici per la creazioni di immaginari altri. Uno spazio e un’attitudine alla contemplazione che forse solo l’arte – nella sua non funzionalità – può recuperare per costruire terreni e territori di riflessioni, ‘posti dell’immaginari che realmente esistono’ (per citare il grande lavoro che porti avanti, insieme a illustri compagni di viaggio, in Puglia)
La nostra epoca in effetti lascia poco spazio all'invisibile, semmai ci si nasconde dietro un falso nome, mentre la produzione di immagini cresce in maniera vertiginosa, il tutto negando ogni forma naturale di contatto, di scambio. La vita, l'arte e tutto ciò che ci circonda è un "Giardino delle delizie" che viene osservato attraverso il filtro di uno schermo. Ieri riflettevo sulle lezioni del Longhi, ho tra le mani un saggio su Caravaggio, all'interno ci sono molte immagini, ma tutte in uno spietato bianco e nero. Se non si potevano vedere i quadri dal vivo tanto meglio togliere i colori ed evitare spiacevoli shock cromatici. Nell'epoca della post riproducibilità dell'immagine tutto è opinabile, ogni immagine è falsa e tutti sono in grado di generare nuove aberrazioni del reale. I musei sono pieni di gente che anziché godere della presenza dell'opera, la fotografa e la condivide solo per quel senso di onnipresenza a cui la rete ci sta abituando (dico "ci" e mi metto anch'io in mezzo, anche se personalmente non utilizzo la rete quando sono fuori casa).
Questo solo per dire come è diventato più complesso il ruolo dell'artista, che si rivolge a un pubblico per la maggiore con un'attenzione pari allo zero, tutto viene consumato in pochi secondi ed è così spiacevole vedere che esistono spettacoli in cui il pubblico non fa altro che filmare o fotografate con il telefono, senza godimento alcuno, senza ricevere né dare. Chi se lo ricorda cosa vuol dire contemplare?

Un problema esteso a tutti i campi, a tutte le progettualità. L’arte quando eccede è capace di rendere l’invisibile visibile, mostrando connessioni tra elementi apparentemente sconnessi, svelando e re-incantando, agendo politicamente ma senza essere palesemente ‘politica’, sociale.
Si assiste però non di rado a una «colonizzazione»:  eventi – non ricerche – ‘mordi e fuggi’, che invadono i territori mascherati da un intento sociale, cavalcando le onde mediatiche del momento. Risposta ad un’esigenza di ‘mercato’, di apparizione per esserci, più che a una vocazione.
Tu, che hai fatto della tua vita una performance incarnando quella fusione tra arte e vita, come credi si possano attivare dispositivi che sappiano far ritornare a parlare i segni imbalsamati di un un territorio (di una società) che non sa più narrare se stessa?
Come tornare a interrogare quei segni e sviluppare quell’“attitudine alla contemplazione non di ciò che c’è ma di ciò che manca”?
Forse, nel mio caso, che l'arte sia fusa con la vita è una falsa leggenda che a qualcuno piace alimentare. Io conduco una vita abbastanza normale e priva di eccentricità, mi piace essere sempre in ordine come ci ha insegnato il nostro Filippo De Pisis, mai vistoso e i cui trattati sull'eleganza sono molto curiosi. Quando si lavora tutto cambia e non sono nemmeno più io, riesco a uscire da me diventando altro. Certo ai miei studenti a ogni fine lezione chiedo che anche fuori o a casa si muovano con lentezza e abbiano un tono di voce soave, esattamente come Yves Saint Laurent che per ottenere l'attenzione della gente preferiva parlare con un tono molto basso.
Il mio lavoro è fatto di immobilità, non è contemplata la frenesia, chi entra, letteralmente, nella mia opera lo fa a passo lento, accompagnato per mano e con un distacco totale dal fuori, senza telefoni o altri mezzi che lo possano distrarre. Il rapporto che si crea tra spettatore e opera è inscindibile, si avverte la sensazione di farne parte e in effetti è così, la performance inizia a funzionare quando questa si trova nello sguardo dello spettatore e lo spettatore è nel punto esatto dove io ho voluto che si trovasse. Tutto questo ha a che fare con il liturgico, con la sapienza antica che muove gli stessi gesti da tempo immemorabile e da qui le tradizioni che mi appartengono, quelle del mondo contadino e quelle della chiesa cristiana. Il punto in cui questi mondi si fondono è un terreno infermo dove la devozione lascia il posto alla superstizione e la magia diviene regola, segno inequivocabile. Il simbolo è semiotica del racconto, tutto è inteso perché diversamente parlato attraverso le relazioni tra segni. Da qui si spiega il mio essere analogista.

Dunque un rapporto intimo e personale con l'opera d'arte, 1:1. Un rapporto alchemico tra elementi diversi che si incontrano. Questo rimando alla magia fa venire in mente Jodorowsky, secondo cui “Se si vuole avere una funzione generatrice, non bisogna avere alcun limite. [...] Un artista - dice - ha bisogno di immaginare le più grandi aberrazioni. Abbiamo bisogno di sviluppare nella nostra mente tutte le possibilità.” E' in questa liturgia (letteralmente «il servizio pubblico, liberamente assunto, in favore del popolo») e in questa creazione di possibilità (nello sguardo che incontra e che la incontra) che l'arte offre, che essa svolge la sua 'funzione' (al momento il linguaggio limita, non trovo un termine migliore)?
Si, se l'Arte non crea questo dialogo basato sullo scambio non può neanche essere considerata tale, ma non si tratta soltanto di alchimia, perché questo vorrebbe dire che a volte funziona e altre no. Ho spesso detto che lo spettatore è l'anello debole della catena e per spettatore intendo tutti coloro che si pongono di fronte all'opera, che siano cassiere di supermarket o direttori di biennali. Ci sono opere che rimangono inascoltate e questa è sia responsabilità dell'artista che di chi si pone o meno all'ascolto, ma anche di chi, avendone, non dà le possibilità all'artista di operare e all'opera di nascere, impedendo l'avvio dell'intera catena (che poi l'artista non è neanche un anello della catena, ma il metallo con la quale essa si forgia). Si tratta a mio avviso di restituire all'opera quanto questa chiede, ed è solo una questione di nudità intellettuale reciproca. Questo è uno dei motivi per il quale scelgo solo dei bambini come unici spettatori per far vedere il mio lavoro. L'opera va vista senza sovrastrutture e con la maggior purezza possibile: come se un canto lontano ci aprisse il cuore e ci bastasse sentirlo senza chiederci da dove esso provenga.
Tornando a Jodorowsky, credo che abbia finito di dire quello che doveva dire con La montagna sacra e El topo...poi tutto il resto, la lettura dei tarocchi, i libri sui tarocchi per i gatti (...stiamo davvero esagerando) ecc. è busines spirituale per casalinghe annoiate. Ma per fortuna non è l'unico a questo mondo ad aver intrapreso questa strada, così almeno le casalinghe tutte hanno di che svagarsi.

Prossimi progetti in cantiere?
A Luglio ho terminato il ciclo de Le Storie della Vera Croce, composto da nove episodi che comprendono diciotto performance (... e non si tratta di quelle performance dove l'artista arriva vestito da casa e legge la poesia a sfondo politico o sui canotti che arrivano dal terzo mondo). Dopo questa faticosa ascesa iniziata nel 2012 credo che in cantiere posso avere anche solo di guardare il mare e giocare con mio figlio.

Concludiamo con il tuo rapporto con la letteratura. Se, quanto, in che modo questa influisce nella tua ricerca artistica e quanto conta il linguaggio nella tua produzione di immagini e immaginari.
Ricordo esattamente quale è stato il mio primo libro nell'adolescenza, Siddharta di Herman Hesse. Qualche mese fa a Zurigo, Ingeborg la moglie di Harald Szeemann mi ha detto che assomiglio a Siddharta. Non so se questo ha un nesso, ma sono certo che non è stato un caso aver iniziato la professione del leggere con quel libro. Da allora ho continuato a leggere tantissime cose e di ogni genere e mi rendo conto che nonostante alcune notizie siano state apprese molti anni fa, c'è un momento in cui queste riaffiorano in quello che faccio ora (sempre perché sono un analogista). La scrittura del mio lavoro performativo non è mai nata spremendosi le meningi di fronte a un computer, ma sempre e in tutti i casi attraverso stati di sonno, dormiveglia o corsa all'aria aperta. Le immagini contano certo, ma è la scrittura a crearle, in quel sedimentare che lascia le cose ferme li come strati geologici sovrapposti in attesa che qualcuno o qualcosa (uno stimolo) li porti alla luce.
Il linguaggio inteso come parola non ha nessuno sfogo nel mio lavoro, quello definito come mezzo invece ne ha moltissimo. Ci sono cose che vanno dette in determinati modi e questi servono ad amplificare la ricezione dell'opera. L'atto performativo in sé non mi riguarda, non intrattengo il pubblico, e anche se vengo definito un performer di fatto non ci sono quasi mai in scena, almeno che non sia strettamente necessario. Il mio racconto è fatto di immagini strappate alla storia e alle storie, di pittura, di tanta pittura, Questa è la mia ossessione, voler parlare di performance con un linguaggio puramente pittorico. Non credo di aver mai smesso di dipingere.

04_fine_eroica_di_unimmagine_del_quattrocento_2015.jpg

Fine eroica di un’immagine del Quattrocento, 2015, performance per soli due spettatori. Museo MAMBO, Bologna. Fotografia Niccolò Morgan Gandolfi, Video Daniele Pezzi. Courtesy l’Artista, Museo MAMbo e Accademia di Belle Arti, Bologna.

 

© Riproduzione riservata

Luigi Presicce. Nato a Porto Cesareo (Lecce) nel 1976, vive e lavora tra Porto Cesareo e Firenze. Ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Lecce, scegliendo deliberatamente di non discutere la tesi. Il suo lavoro è stato decisamente influenzato dai suoi studi indipendenti. Nel 2007 ha partecipato al Corso Superiore di Arti Visive (CSAV) presso la Fondazione Antonio Ratti di Como con l'artista americana Joan Jonas. Nel 2008, nell’ambito di Artist in Residence, ha partecipato al workshop in Viafarini a Milano con l'artista americano Kim Jones. A Milano, nel 2008 ha fondato (con Luca Francesconi e Valentina Suma) Brownmagazine e in seguito Brown Project Space, per il quale cura la programmazione. Nel 2011 con Giusy Checola e Salvatore Baldi ha fondato a Lecce "Archiviazioni" (esercizi di indagine e discussione sul sud contemporaneo). Nel 2012 ha preso parte a Artists in Residence al MACRO, Roma. Dal 2010, con Luigi Negro, Emilio Fantin, Giancarlo Norese e Cesare Pietroiusti è coinvolto nel progetto Lu Cafausu, con il quale è stato invitato da AND AND AND a dOCUMENTA13, Kassel. Con gli stessi è co-fondatore della Fondazione Lac o le Mon situata in San Cesario di Lecce. Attualmente porta avanti un progetto didattico chiamato L'Accademia dell'immobilità e insegna Installazioni multimediali presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna.
Ha realizzato performance presso la Fondazione Claudio Buziol, Venezia (2010), Thessaloniki Performance Festival, Biennale 3, Grecia (2011), Reims Festival Scènes d'Europe, Frac Champagne-Ardenne, Francia (2011), Màntica festival, Cesena (2011), Corpus, MADRE, Napoli (2012), We Folk - Drodesera Festival, Centrale Fies, Dro (2012), Art City Bologna 2013, Bologna (2013), CastelloInMovimento, Castello di Fosdinovo, Massa Carrara (2013), ARTDATE 2014, Bergamo (2014), Il teatro dei luoghi Fest, Lecce (2014), Kunsthalle Osnabruck, Germania (2015), MAMbo Bologna (2015), Museo Marino Marini, Firenze (2015), Tenuta dello Scompiglio, Vorno- Capannori, Lucca (2016), Le Murate, Firenze (2016).
Ha vinto l’Epson Art Prize, Fondazione Antonio Ratti, Como (2007), Premio Talenti Emergenti, CCC Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze (2011), Long Play, MAGA, Gallarate (2012), Icona, ArtVerona, Verona (2014), Level 0, ArtVerona, Verona (2015). 

Ph cover | 

Luigi Presicce e Maurizio Vierucci (Oh Petroleum), Il Giudizio delle ladre, 2014, performance aperta al pubblico. Teatro Romano, Lecce. Fotografia Luigi Negro.

Courtesy gli Artisti e Teatro dei Luoghi Fest, Lecce.