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L'ABBANDONO, TRA DISAGIO E RINASCITA

  • Pubblicato il: 16/12/2018 - 09:54
Autore/i: 
Rubrica: 
PAESAGGI
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe
Forse sarà perché può essere al contempo transitivo e riflessivo, attivo e passivo, perché a seconda dei casi può provocare disagio, dolore o estasi, l'abbandono ha sempre un certo fascino.
E l'abbandono – con il recupero di spazi non utilizzati e dismessi nelle aree montane – è tra gli asset principali del Programma AttivAree di Fondazione Cariplo che finanzia e accompagna (a seguito di un bando conclusosi il 30 giugno 2016) due progetti di "rinascita" nelle aree interne dell' Oltrepò Pavese e delle valli bresciane Trompia e Sabbia.
I progetti vincitori sono OLTREPÒ (BIO) DIVERSO e VALLI RESILIENTI e, nella loro complessità e trasversalità, abbracciano una molteplicità di territori e azioni intersettoriali e si muovono su un'idea di sviluppo data dalla creazione di connessioni -  non in chiave di subalternità o di perdita della propria identità – e dalla ricucitura tra periferie territoriali e centri di maggiori dimensioni.

 
In questo quadro in cui conservazione delle biodiversità, agricoltura sostenibile, turismo e accoglienza, conservazione, valorizzazione e produzione culturale si muovono in maniera rizomatica, un ruolo centrale è affidato proprio al recupero e alla riattivazione di luoghi abbandonati.
 
Sul fronte dell’Oltrepò Pavese, con Oltrepò (bio)diverso, che vede coinvolti 19 partner con 25 azioni su un territorio di 12047 abitanti, con un investimento di 5.875.673 euro di cui 4.103.573 in arrivo da Attivaree, i recuperi e riutilizzi sono tre: una ex scuola elementare degli anni ’20 a Pietra de’ Giorgi, che diventerà la sede di una casa accoglienza per famiglie che hanno bambini ricoverati al reparto di oncologia dell’ospedale di Pavia; una ex scuola elementare degli anni ’50 a Cecima, che diventerà la sede di una scuola di astronomia; un edificio storico nel cuore del borgo di Golferenzo che diventerà un centro di valorizzazione e raccolta delle produzioni agronomiche del territorio.
 
Nell'ambito invece di Valli Resilienti, con 25 comuni coinvolti per un totale di 39134 abitanti, 16 azioni e un costo di 6.546.992 euro di cui 4.444.882 provenienti da Fondazione Cariplo, sono quattro gli spazi che saranno recuperati e riattivati.
Nell'Alta Valle Trompia a Bovegno una vecchia scuola abbandonata da tempo diventerà un centro di raccolta e somministrazione dei prodotti della montagna; a Lodrino, un impianto di pescicoltura abbandonato sarà rimesso in produzione, per l’allevamento di trote e salmerini in acque purissime cresciute senza mangimi industriali ma con una dieta che prevede anche l’introduzione di cereali antichi recuperati; a Rebecco, nel territorio del Comune di Pezzaze il recupero di un borgo rurale che diventerà luogo di ricettività e sperimentazione agricola. Nell'Alta Valle Sabbia a Barghe, l’ex centrale idroelettrica diventerà uno spazio multifunzionale in cui sarà prevista anche un’area di servizio per cicloturisti, collegandosi al tracciato della ciclabile che congiungerà il centro di Brescia alle vette del monte Maniva.
 
 
Design thinking, tra Rebecco e Barghe
A Rebecco e Barghe siamo stati in un pomeriggio di inverno e alla primissima neve.
Sono il segno di questa effervescente vitalità che si muove in questi territori e rappresentano due casi interessanti in quanto sono il risultato di un processo di “mappatura” dell’architettura  tradizionale e del suo potenziale in aree troppo spesso dimentiche delle opportunità latenti che in esso si celano.
Un processo avviato con il coinvolgimento dell’Università di Brescia – Dipartimento di Ingegneria civile, architettura, territorio, ambiente e matematica – e finalizzato all’individuazione di un codice di intervento e definizione di pratiche di restauro volte a salvaguardare e valorizzare le caratteristiche storico-architettoniche degli edifici locali, per coglierne potenzialità e opportunità.
Ma non solo, un elemento di grande interesse - contemporaneamente ai processi di mappatura – è l'adozione di laboratori partecipativi basati sul “design thinking” e finalizzati al coinvolgimento e nell’ingaggio della comunità locale nelle scelte di ridestinazione degli spazi ma soprattutto nell'immaginazione nel futuro degli stessi.
Un processo che si arricchisce di uno sguardo 'straniero' offerto dalla collaborazione con il Master “Urban and Landscape design” di Domus Academy che a Rebecco svolgerà parte del programma con un workshop internazionale e studenti provenienti da tutto il mondo.
 
Se gli interventi sul Borgo di Rebecco risultano essere paradigmatici nella valorizzazione e nell'utilizzo di materiali locali e nel recupero di pratiche di costruzione tradizionale, mentre Barghe è un buon esempio di rifunzionalizzazione di antichi edifici industriali e produttivi, ciò che più colpisce di questi luoghi, ascoltando anche la voce dei protagonisti, è la volontà di volersi re-immaginare, come comunità e come paesaggio. Ripensandosi a partire dalle risorse esistenti, soprattutto umane.
 
Al di là degli stereotipi cui spesso riconduciamo le aree interne e le terre alte troviamo in questi luoghi un mondo tutt'altro che ameno, fatto di panorami fortemente antropizzati, di abusi e abusivismi edilizi, di una industria pesante che ha lasciato un segno profondo in territori violati e messi a dura prova dallo sviluppo per poi essere abbandonati per mète più produttive e competitive.
Ma c'è anche una forte volontà di rinascita e di riscatto in cui la cultura – del territorio, del locale, dell'umano – gioca un importante ruolo.
 
La ritroviamo in questi territori. Ciò che caratterizza infatti i due progetti vincitori del bando AttivAree - OLTREPÒ (BIO) DIVERSO e VALLI RESILIENTI – è la volontà di costruire nuovi immaginari sociali rimettendo in moto un tessuto intriso di potenzialità, da riscoprire e riattivare per riportare ciò che è percepito come margine al centro.
Un guardarsi dentro che però si arricchisce di uno sguardo plurale - fatto di contaminazione, di innovazione, di reti – per riflettersi, senza complessi e remore, verso l'esterno.
 
Il bando come strumento di innovazione culturale in sé
Se tutto ciò può essere ricondotto ad un progressivo prendere forma di un fermento esistente all'interno dei territori stessi è fattore possibile ma da verificare nel tempo, nel valutare la sostenibilità e la durabilità dei processi attivati, il grado di capacitazione dei territori raggiunto.
Ciò che invece appare elemento – secondo chi scrive - da non sottovalutare e a partire dal quale avviare una riflessione, è da ricercare a monte, nella primavera del 2016 o certamente prima, ovvero nella definizione e nel lancio della call.
 
Il bando AttivAree lanciato da Fondazione Cariplo parte da un'evidenza empirica  - l'abbandono e lo spopolamento delle aree interne – e lo fa in stretta relazione e in dialogo con le politiche nazionali sul tema (la SNAI) per rispondere ad un'urgenza e per trasformare l'emergenza in risorsa, a partire dalle potenzialità inespresse di queste aree e abbracciando una visione intersettoriale che fa leva sulle risorse delle comunità.
 
E' nel bando in sé che ritroviamo come condizione sine qua non degli elementi di innovazione che inevitabilmente si riversano nelle progettualità presentate e avviate.
La promozione di processi partecipativi, la valorizzazione delle energie locali, l'approccio intersettoriale con un'integrazione tra aspetti ambientali, sociali, culturali, economici, la promozione di collaborazioni a livello sovracomunale, lo sviluppo di interazioni proficue tra aree interne e urbane, il riutilizzo di manufatti esistenti, l'importanza del monitoraggio e della valutazione insieme ad un accompagnamento triennale da parte della fondazione costituiscono il presupposto alla qualità  e alla meravigliosa complessità dei progetti presentati.
 
E seppur il programma AttivAree non costituisce una certezza del raggiungimento degli obiettivi generali come l'inversione della tendenza allo spopolamento, senza dubbio costituisce un impiego strategico e sostenibile delle risorse impiegate ed è espressione di una politica  visionaria e un investimento delle risorse responsabile che ai finanziamenti a pioggia – caratterizzanti molti dei bandi presenti sul territorio, soprattutto pubblici - preferisce fornire delle linee programmatiche capaci si di intercettare fermenti culturali esistenti e indirizzarli verso progettualità sostenibili nel tempo, capaci di generare impatti sui territori e avviare altre progettualità.
 
In tempi bui, in cui la cultura fatica a trovare un posto nel mondo, avere buone idee non è cosa rara, saper trasformare le buone idee in pratiche generative, replicabili e sostenibili nel tempo è questione ben più ardua. Per questo più che risorse economiche servono visioni, capacità progettuale e pianificatoria, responsabilità. Mettere questi elementi insieme in un bando non è scontato, può non essere tutto, ma certamente è un modo per avviare laboratori di sviluppo di buone prassi. Buone prassi che con AttivAree dal margine sono pronte ad essere poste al centro, della riflessione e del dibattito.
 
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