L’invasione della città: la Biennale entra ed esce da tutti gli storici Palazzi
Il palazzo enciclopedico
La grande attesa, alimentata anche dal plauso internazionale con il quale era stata accolta la nomina a curatore di Massimiliano Gioni (nella foto), arriva ormai a compimento. Il primo giugno, infatti, nelle sedi tradizionali dei Giardini di Castello e in quella del complesso dell’Arsenale apre i battenti la 55ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Titolo: «Il Palazzo Enciclopedico»; sei mesi la durata fino al 24 novembre; costo 13 milioni di euro, in gran parte autofinanziati.
Mostra di ricerca, la definisce Paolo Baratta, presidente della Biennale (nella foto); d’impronta antropologica puntualizza Gioni, preso atto dell’impossibilità di rappresentare lo stato dell’arte ogni due anni. Punto di riferimento l’edificio posto all’inizio del percorso dell’Arsenale, progettato da Marino Auriti (1891-1980) per contenervi un’impossibile sintesi del sapere universale. Un’utopia rimasta tale. Che fornirà il pretesto per un’ideale camera delle meraviglie, fianco a fianco oggetti di varia natura, selezionati da un gusto soggettivo, e opere che aspirano allo statuto d’arte.
Lo stesso criterio seguito da Gioni nell’invitare i 150 selezionati, di 37 diverse nazioni. Nomi collaudati come Peter Fischli & David Weiss; Walter De Maria, a cui spetta l’onore di chiudere la rassegna; Steve McQueen o come Cindy Sherman che, all’Arsenale, presenta una mostra nella mostra mettendo in scena un suo personale museo a cui concorrono anche i carcerati. Nomi meno noti come lo statunitense John Outterbridge e il rumeno Stefan Bertalan o declinazioni collettive quali l’universo mitologico della comunità americana degli Shaker.
Il lato inconscio
L’altro filone prende spunto dal «Libro Rosso» di Carl Gustav Jung, una summa del suo pensiero posto all’inizio del padiglione centrale ai giardini, un viatico per penetrare nei segreti dell’anima Gli si affiancano i disegni di Rudolf Steiner che tanta influenza ebbe su artisti come Josef Beuys. Dall’inconscio al corpo: ecco un altro percorso ricco di suggestioni, per lo più declinato al femminile nelle opere di Marisa Merz o Maria Lassnig o Carol Rama. Giovani? Pochi, soprattutto se si considera la natura di mostra di arte contemporanea. Ma forse è da loro che verranno le sorprese e quelle indicazioni sul futuro dei prossimi trent’anni che, almeno a parole, Gioni si rifiuta di enumerare. Quattordici gli artisti italiani selezionati: Yuri Ancarani, Enrico Baj; Gianfranco Baruchello; Rosella Biscotti; Roberto Cuoghi; Enrico David; Domenico Gnoli; Marisa Merz; Marco Paolini; Diego Perrone; Walter Pichler; Carol Rama; Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi.
I padiglioni
Drastico ridimensionamento, per il Padiglione Italia, dei numero dei partecipanti dopo l’alluvione della precedente edizione sgarbiana.
Il nuovo curatore, Bartolomeo Pietromarchi, ha scelto 14 artisti divisi in 7 coppie. Giulio Paolini e Marco Tirelli; Francesco Arena e Fabio Mauri; Luigi Ghirri e Luca Vitone; Flavio Favelli e Marcello Maloberti (nella foto); Piero Golia e Sislej Xhafa, Francesca Grilli e Massimo Bartolini; Gianfranco Baruchello e Elisabetta Benassi. Abbinamenti che costituiscono «una serie di concetti polarmente coniugati» secondo la definizione di Giorgio Agamben.
Dodici delle quattordici installazioni sono inedite e plurisensoriali sollecitando anche il tatto l’udito. Raggiunto l’obiettivo di raccogliere, con l’innovativa formula del crowdfunding, i 120.000 euro. Intanto le partecipazioni internazionali salgano a 88, con dieci nuove presenze: la più prestigiosa quella della Santa Sede, inserita nel percorso dell’Arsenale. Tema: la Genesi, illustrata da Studio Azzurro, Josef Koudelka, Lawrence Carroll e Tano Festa.
La Biennale ancorata ad un’anacronistica formula ottocentesca, modello Expo? C’è chi cerca di scardinare questo schema obsoleto. Francia e Germania si scambiano i padiglioni. Qualcuno, ironizzando, fa presente che, per fortuna, sono di fronte l’uno all’altro. Ed anche la scelta degli artisti è piuttosto eccentrica. Per il padiglione francese l’albanese Anri Sala. Per quello tedesco Ai Wewei (cinese); Dayanita Singh (indiana); Santu Mofokeng (sudafricano) e finalmente, l’ultimo, un tedesco,
Romuald Karmakar.
Tutti i musei civici aperti al contemporaneo
Tutti coinvolti i Musei Civici nell’operazione del contemporaneo. Segno di una volontà propositiva di riprendere il filo, in passato un po’ diradato, e con la finalità di incrementare, ove possibile, le collezioni, specie quelle di Ca’ Pesaro. Due gli indirizzi: la proposizione di personali di maestri come Anthony Caro (Museo Correr) o Tàpies (Palazzo Fortuny) o di monografie come la collezione di Ileana Sonnabend (Ca’ Pesaro), da un lato. Occasione, quest’ultima, per un riallestimento delle collezioni. Dall’altro lato, l’inserimento di opere contemporanee nel contesto tradizionale. Avviene al Museo della Scienza con il «Bestiario Contemporaneo» (compresi i «Musicanti di Brema» di Cattelan); a Ca’ Rezzonico dove il tema scelto è quello della luce (tra gli altri Airò, Ontani e Flavio Favelli). Esiste, inoltre, la specificità di due settori tipicamente veneziani: il vetro a Murano con una retrospettiva dedicata alla fabbrica di vetri d’arte Seguso (1932-1973) e due antologiche di Anna Skibska e Eraldo Mauro. A Flora Viale il compito di rinnovare la tradizionale arte del merletto a Burano.
Movimenti rivisitati
Nel clima generale di revival sotteso tanto alla mostra principale al Padiglione Italia, centrali sono gli anni Settanta del secolo scorso: Domenico Gnoli, Enrico Baj, Carol Rama e Marisa Merz, per limitarci agli esempi italiani della 55ma Biennale; Giulio Paolini, Fabio Mauri e Luigi Ghirri per il padiglione italiano. Il primato della rivisitazione lo detiene, però, la Fondazione Prada che riproduce, alla lettera, a distanza di 44 anni, la mostra «cult» di Harald Szeemann «When attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013». Un omaggio all’Arte Povera si ha anche in «Prima Materia», nel nuovo allestimento di Punta della Dogana ma, e questa è la novità, messa a confronto con il movimento giapponese, per certi versi analogo, Mono-ha degli anni Sessanta.
Artisti a confronto
È «Vedova Plurimo» al centro di dialoghi che lo vedono interagire con i Musei Civici (Correr, Ca’ Rezzonico e Ca’ Pesaro) e soprattutto porsi in colloquio con il Tintoretto, sua dichiarata fonte d’ispirazione, alla Scuola Grande di San Rocco.
Sul versante dell’attualità il raffronto è con le sculture di Roy Lichtenstein ai Magazzini del Sale.
Alla Fondazione Bevilacqua La Masa, invece, lavori inediti Edvard Munch (150 anni dalla nascita) e il film di Lene Berg affrontano il dilemma dell’emancipazione, tra istanze del nuovo e rischio della solitudine.
Artisti in solitaria
Patrick Mimran con il suo ciclo sui fantasmi a Palazzo Malipiero, dove dal 28 maggio al 3 giugno saranno anche proiettate le scritte in laser verde di Arthur Duff. Marc Quinn alla Fondazione Cini, con 50 opere tra cui «Evolution» (2005), il ciclo di dieci marmi raffiguranti i feti in uno speciale allestimento dello stesso artista. Robert Motherwell con i suoi collage alla Peggy Guggenheim. Bernar Venet all’Abbazia di San Gregorio con i suoi dipinti di grande formato in cui inserisce testi matematici (in arabo) ed equazioni. Un omaggio a Al Khwarizmi (c. 783-850) considerato l’inventore dell’algebra. Alla Fondazione Querini Stampalia, invece, espone per la prima volta l’artista cinese Qiu Zhije, fautore di «un’arte totale» come ai tempi del Rinascimento. Con il suo approccio cartografico esplora le relazioni che intercorrono tra l’Oriente e l’Occidente.
All’inizio della modernità
Se in tanti labirintici percorsi il rischio è quello di perdere la bussola, un buon viatico potrebbe essere quello di tornare all’origine. Un salto a Palazzo Ducale per la mostra «Manet. Ritorno a Venezia». Uno dei protagonisti dell’arte moderna che dialogava con i maestri antichi. Veneziani ma non solo.
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