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Incontrare il pubblico partendo dalla comunicazione. Iniziamo dalla didascalia

  • Pubblicato il: 14/06/2016 - 19:31
Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Cristina Da Milano, Erminia Sciacchitano

Cambiano i musei, cambiano i pubblici.  Come evolve la narrazione dell’opera e della stessa istituzione, ripartendo dalle didascalie, come testi interpretativi per un pubblico sempre più ampio, diversificato, attivo e co-creatore? Le istituzioni culturali sono sempre più consapevoli del loro ruolo formativo e sociale. La Direzione generale musei del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo pubblica le Linee guida per la comunicazione nei musei. Segnaletica interna, didascalie e pannelli. Le autrici Cristina Da Milano e Erminia Sciacchitano parlano del testo nato per mettere  a disposizione degli operatori italiani le esperienze e buone pratiche internazionali, collegandole ai più recenti orientamenti europei. Un punto di partenza sul quale costruire. Domande più che risposte.
 
 
 
 
Ha senso oggi per le istituzioni museali, travolte dal ciclone digitale, interrogarsi sulle didascalie delle opere esposte nelle sale? Perché rinnovare pannelli e schede di sala quando le nuove tecnologie consentono ai visitatori di approfondire l’informazione in modo dinamico e personalizzato? Qual’è il motivo di elaborare testi interpretativi in un’epoca in cui si sperimentano nuovi allestimenti interattivi, che catturano l’attenzione dei visitatori grazie a schermi tattili e presentazioni immersive? E quale utilità hanno mappe e segnaletica di orientamento quando smartphone e tablet oggi ci guidano anche all’interno degli edifici, compresi aeroporti, stazioni, hotel e centri commerciali?
Perché l’Italia ha saltato un “passaggio” nel lungo percorso compiuto da quel capitolo delle politiche di promozione dell’accesso alla cultura che guarda all’ampliamento del pubblico dei musei. A partire dagli anni cinquanta e sessanta, quando si afferma l’idea di stampo welfarista della “democratizzazione della cultura”, comincia infatti a svilupparsi a livello internazionale una corposa letteratura sul “text labelling”.  Si producono studi, indagini, ricerche, manuali, documenti strategici, originati dal desiderio di mettere a punto la “ricetta” per comunicare più efficacemente il significato delle collezioni e delle opere custodite nei musei a un pubblico che stava crescendo esponenzialmente grazie alle nuove politiche. Si trattava però di un pubblico diverso da quello consueto, certamente animato da curiosità e interesse, ma che non aveva compiuto studi specialistici o non aveva avuto tempo o opportunità di documentarsi sulle opere prima della visita.
Le didascalie, quindi da strumento per conoscitori si trasformano in “piccoli ambasciatori”, secondo Beverly Serrell, autrice del manuale Exhibit Labels. An Interpretive Approach. 280 pagine attraverso le quali quale l’autrice guida i responsabili di esposizioni museali alla scoperta dell’arte dello scrivere testi museali accessibili ed efficaci, fornendo utili consigli ad ogni fase, dalla pianificazione, alla scrittura, alla progettazione grafica fino la realizzazione finale. Un classico che ha visto la luce nel  1994 e che ha venduto più di 15000 copie, ancora oggi richiesto dai curatori museali, tanto da essere stato ripubblicato nel 2015.
Accanto alla produzione manualistica, crescono i siti web che ospitano suggerimenti per la scrittura di testi e pannelli, sia ad uso interno, sia per stimolare il confronto con altre istituzioni museali sul tema. Fra gli esempi interessanti, l’Australian museum, il Victoria and Albert Museum di Londra, e associazioni la Museum association, alla quale aderiscono circa 7500 professionisti del settorenel Regno Unito. 
 
Il tema quindi, nonostante la rivoluzione digitale a livello internazionale resta di piena attualità. Viene persino assegnato un premio annuale alle didascalie più efficaci e innovative, bandito dall’American Alliance of Museums: l’Excellence in Exhibition Label Writing Competition, con lo scopo di stimolare dibattito e confronto, oltre che di costruire un repertorio di buone pratiche da mettere a disposizione della comunità museale (http://aam-us.org/about-us/grants-awards-and-competitions/excellence-in-label-writing). In verità esiste anche una Bad Label Hall of Fame, che identifica a analizza esempi inefficaci di didascalie e pannelli (https://msu.edu/~dillenbu/exhibits/Bad/exbadlabels.html).
In controtendenza con questo importante movimenti, purtroppo in Italia questo filone di studi non ha avuto lo stesso successo. Inoltre i manuali non sono stati tradotti nella nostra lingua, ponendo gli operatori italiani di fronte alla difficoltà di ricorrere per un compito così delicato a testi in lingua straniera, nella maggior parte in inglese, e a volte di difficile reperimento.
Nello scrivere queste linee guida, abbiamo quindi voluto colmare un vuoto, mettendo a disposizione degli operatori italiani le esperienze e buone pratiche tratte dall’ampia manualistica sui testi accessibili e interpretativi già in ambito museale, e ricollegandola ai più recenti orientamenti europei. Siamo infatti oggi nel cuore di una trasformazione ancora più radicale, che dallo sviluppo di misure mirate a garantire pari opportunità di accesso alla cultura a tutti, che guardavano all’identificazione e rimozione di specifiche barriere, siano esse fisiche, intellettuali, culturali/attitudinali o finanziarie, ma dove la comunicazione era intesa in un senso univoco, dall’istituzione al pubblico, guardano piuttosto a forme di partecipazione culturale e coinvolgimento, dove il visitatore è visto come interlocutore attivo, non semplice “ricettore” di un messaggio, ma co-creatore del suo senso. Molte sperimentazioni interessanti in questo senso sono raccolte e analizzate da Nina Simon, autrice di The Participatory Museum, nel suo blog museum 2.0 http://museumtwo.blogspot.be/.
 
Questo passaggio è stato marcato nel nostro continente dall’adozione del programma Europa Creativa[1] che assegna un ruolo chiave allo sviluppo del pubblico (audience development), componente ritenuta necessaria nei progetti di cooperazione culturale sostenuti dall’Unione europea. Uno degli aspetti più significativi che emerge dall’analisi dei dati è che i tassi di partecipazione sono ancora fortemente influenzati da variabili socio-demografiche come l’età, il genere, il livello di istruzione e l’occupazione. Le politiche di democratizzazione della cultura non si sono quindi compiute secondo le aspettative[2], come mostrano i dati dell’Eurobarometro sulla partecipazione culturale del 2013 [3],che presentano un quadro in linea generale peggiorato rispetto a quello del 2007 (pur con differenze notevoli tra i vari Paesi), che vede una diminuzione della gran parte dei consumi culturali, ad eccezione del cinema.
 
Allo stesso tempo la massiccia crisi del welfare rende oggi indispensabile per il settore culturale guardare alla sua sostenibilità economica insieme a quella sociale. Le politiche di sviluppo del pubblico diventano quindi uno strumento per concorrere al raggiungimento dell’obiettivo della sostenibilità sociale dal momento che facilitano la creazione di spazi per la partecipazione collettiva. In questo le istituzioni culturali sono sempre più consapevoli del loro ruolo formativo e sociale. Esiste infatti un’altra questione traversale, strettamente connessa alla nozione di cultura come agente per la trasformazione sociale, e cioè il diritto di prendere parte alla vita culturale in quanto questione legata alle pari opportunità: l’idea della cultura come agente che facilita l’inclusione sociale e la nozione di partecipazione culturale come modo per superare le divisioni in classi e culture e come competenza chiave e base per la creatività.
In questo quadro, gli strumenti che veicolano il contenuto informativo e di significato delle collezioni museali, didascalie, pannelli, e che aiutano il visitatore ad orientarsi lungo il percorso di scoperta delle collezioni sono senz’altro uno supporto chiave per rafforzare il legame tra cittadini/visitatori e patrimonio culturale.  Siamo inoltre convinte che un efficace comunicazione dei valori del patrimonio culturale contribuisca a rafforzare il senso di appartenenza e di responsabilità dei cittadini verso il patrimonio culturale, contribuendo alla sua salvaguardia e trasmissione alle generazioni future, in linea con la Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società.
Non pretendiamo certo di affidare esclusivamente al miglioramento degli apparati comunicativi il difficile compito di incrementare la fruizione del patrimonio culturale e l’accesso alla cultura, aprendo al cosiddetto “non pubblico”, ma di riconoscere che questo tipo di interventi ha una sua potenzialità, anche perché non onerosi e realizzabili dalle strutture nell’ambito dell’ordinaria revisione degli allestimenti.
Inoltre, la riflessione sull’accessibilità dei testi mette gli operatori nella condizione di ripensamento della propria politica di comunicazione a partire dalla definizione e dalla conoscenza delle tipologie di pubblico/i che si vogliono raggiungere e con cui si vuole comunicare e dalla conoscenza profonda dei bisogni e delle aspettative culturali del pubblico, sia reale che potenziale. Solo avviando questo processo di consapevolezza, sarà possibile implementare strategie comunicative che soddisfino le diverse esigenze specifiche dei visitatori.
Si tratta di attenzioni che devono necessariamente essere rivolte non solo ai turisti, ma anche e soprattutto ai cittadini residenti, orientando le attività di valorizzazione in maniera più mirata al rafforzamento delle relazioni tra cittadini e patrimonio.
 
La Linee guida sono una guida pratica per progettare, realizzare e valutare l’efficacia dei diversi strumenti di informazione, di mediazione e interpretazione all’interno dei musei, dalle didascalie, ai testi, ai pannelli, partendo da quattro domande fondamentali: a chi, cosa, dove, e come comunicare?
Il lavoro, avviato nel 2011, è stato arricchito dal costante confronto con gli operatori e il pubblico, grazie a preziose esperienze di revisione degli apparati e dei processi di comunicazione culturale condotte presso un nucleo di musei statali italiani, che vengono raccontate nel testo. Con la costituzione della nuova Direzione generale per i musei, cui compete l'elaborazione di modelli, standard, linee guida in materia di gestione e valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura, con particolare riguardo ai musei, questo testo è stato infine aggiornato, allineandolo ai più recenti indirizzi europei di politica culturale.
 
 
Rispondiamo quindi in questo modo alle domande che ci siamo poste all’inizio di quest’articolo. Perché il successo dell’uso efficace delle nuove tecnologie in campo museale è legato alla capacità di “mirare” l’informazione, personalizzandola, adattandola in modo interattivo alle specifiche esigenze cognitive e necessità del visitatore: approdare alle nuove tecnologie senza avere “digerito” quei principi che ormai guidano la comunicazione in campo museale nel mondo,  produrre strumenti che non potranno essere utilizzati in pieno per le loro potenzialità, come dimostrano le piattaforme impolverate che troviamo nei nostri musei, le app dai testi eccessivamente lunghi, i siti web dove è difficile orientarsi e trovare l’informazione che si cerca.
Con le Linee guida per la comunicazione nei musei abbiamo voluto offrire agli operatori impegnati quotidianamente ad aprire i musei italiani al pubblico che oggi è sempre più consapevole, maturo ed esigente, una chiave per trasformare la visita ai musei italiani in un'esperienza culturale piena e soddisfacente. Una chiave che,evidentemente, non può essere forgiata da un matrice universale, ma che è il risultato di una combinazione sempre unica e speciale: quella fra il museo e il proprio pubblico.
A qualcuno che di recente ci ha risposto “Embè, imparino”, quando spiegavamo che alcune didascalie non erano comprensibili ad un pubblico ampio, rispondiamo che non è  affatto così semplice. Si tratta di ottemperare al diritto di accesso alla cultura, che appartiene alla sfera dei diritti umano che sono a loro volta alla base di una società democratica ed equa. Perché come dice Alma Wittlin “I musei non sono un fine in se stessi, ma un mezzo al servizio dell’umanità”.
Rien ne va plus, indietro non si torna.
 
Il testo è liberamente disponibile sul sito della Direzione generale musei http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2016/04/Linee-guida-comunicazione.PDF.pdf
 
 
© Riproduzione riservata
 

 
 ph| museo MAST, Bologna © Erminia Schiacchitano
 
 
 

[1]CreativeEurope, http://ec.europa.eu/programmes/creative-europe/

[2]Bodo S., Da Milano C., Mascheroni S. (eds), 2009, Periferie, cultura ed inclusione sociale in Quaderni dell’Osservatorio, n. 1, Fondazione Cariplo, Milano, pp. 9-11

[3]EuropeanCommission, 2013, Special Eurobarometer 399, Cultural Access and Participation, http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_399_en.pdf