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Il racconto social delle comunità urbane tra local e glocal: le pagine "Humans"

  • Pubblicato il: 16/12/2018 - 09:57
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA DIGITALE
Articolo a cura di: 
Claudio Calveri, digital strategist DeRev
Lo storytelling dello spirito delle città via social nell'analisi di Claudio Calveri. Una panoramica sulle possibilità e le potenzialità del racconto digitale collettivo come strumento di Digital Social Innovation. In collaborazione con DeRevLab.
 
Digital Social Innovation in pratica… social
Era il novembre del 2010, quando in un Facebook non ancora così affollato, anche se in grande crescita, veniva aperta una pagina dedicata agli "Humans" di New York. Una sorta di catalogo aperto nato come progetto artistico che raccogliesse storie di persone che abitavano la città, mediante foto e breve testo narrativo in prima persona. Un format naturalmente dettato dagli strumenti della piattaforma che si è rivelato (e si rivela tuttora) interessante per vari motivi. Lo spirito della ricerca era casuale, e mirava a far emergere – attraverso le storie dei singoli – la complessità del tessuto sociale e antropologico della metropoli, evidenziando i tratti del multiculturalismo e dell’inclusione sociale di cui essa è capace.
Una pratica coerente con il concetto di Digital Social Innovation e insieme di “geografia emozionale”, ma anche e soprattutto una linea narrativa che ha affascinato (e attratto) milioni di fan, generando derivazioni in tutto il mondo, con un totale di centinaia di pagine dedicate al format.
Per rendere il senso dell’operazione abbiamo scelto qui di concentrarci solo su quelle che hanno richiesto la cosiddetta “spunta blu”, un meccanismo di riconoscimento di ufficialità che si ottiene dalla piattaforma su richiesta e corrispettiva presentazione di requisiti. Un meccanismo che rivela una volontà di adesione particolarmente forte al “manifesto concettuale trasversale” che anima il progetto.
 
Sei città, sei versioni della storia condivisa
Partendo dal format originario è interessante osservare lo sviluppo che le diverse community censite hanno proposto agli utenti, con effetti alle volte abbastanza dissonanti rispetto all'intenzione originaria e germinale.
  • Non è chiaramente il caso di Humans of New York, la "capostipite", che con i suoi 18.190.949 di fan ad animarla rende assolutamente giustizia alla dimensione globale della Grande Mela. Il sito internet collegato attrae un flusso (stimato, secondo dati Similarweb) di oltre 230.000 visite mensili e quasi 90.000 utenti unici. Al circuito mediatico è stata anche connessa una campagna di crowdfunding permanente che ha convinto oltre 22.000 donatori a sostenere le attività, versando almeno 1.50 dollari al mese, col beneficio di poter accedere a una quantità più ampia di storie e contenuti. Non si tratta della "semplice" applicazione di un modello di business editoriale a un'avventura partita "dal basso", quanto della dimostrazione che un messaggio inclusivo, ispirato all'empatia, alla sensibilità multiculturale e alla vocazione divulgativa, legato alla parte migliore della città, è in grado di motivare continuativamente gli utenti, coinvolgendoli nel supporto alla perpetuazione e alla diffusione di un racconto virtuoso. La storia del manager accanto a quella del clochard, quella di abusi subiti (senza che il volto sia associato, ma solo le mani) assieme a quella di un viaggio dettato dalla speranza di una vita diversa, migliore, contribuiscono a portare nel cuore di New York chiunque si perda per qualche minuto nel newsfeed della pagina. 
  • Altrettanto forte l'esperienza di immergersi tra le storie degli Humans of Bombay, seguite da 902.594 persone. La traccia della pagina, pienamente iscritta nel solco della "tradizione" del format, utilizza le vicende dei singoli per disegnare il quadro di una "normalità" che sia ampliata tanto da ricomprendere ciò che non ha ancora uno spazio di riconoscibilità sociale pienamente accettato. Nella pagina spiccano storie al femminile che raccontano con forza ed energia (oltre che con sorrisi inscalfibili) l'emancipazione capace di abbattere barriere - visibili e non, ma sempre e comunque tangibili - alla libertà di esplicazione dell'identità. Significativa in tal senso una serie di post (risalenti al 2017) costruiti insieme a una ONLUS per una campagna contro la stigmatizzazione del ciclo femminile. Un esempio di sensibilizzazione ed educazione che insieme evidenziano un percorso di empowerment digitale notevole.
 
  • Humans of Amsterdam è uno dei primi spin-off del progetto originale, con una comunità (456.867 iscritti) estremamente viva e vivace, raccontata molto spesso mediante la storia delle relazioni sentimentali di ogni genere, familiari, amorose, che tendono a sottolineare l’apertura circa la varietà di condizioni - tutte pariteticamente accettate e accettabili - tradizionalmente ascritta alla cultura olandese.
 
  • Parlando di Humans of Paris (326.755 follower) è interessante segnalare come i pochi tentativi di "immortalare" personaggi se non celebri, quantomeno noti (come una partecipante a un reality) dimostrano come gli utenti vedano simili operazioni come un tradimento dello spirito del canale. In effetti il numero di reazioni ottenute (di qualsiasi segno) da questi post soccombe decisamente se rapportato a quelli che i fan dedicano ai contenuti che parlano di persone comuni, esplorandone specificità e peculiarità.
 
  • Humans of Cardiff (26.952 persone iscritte) è il caso di una pagina lanciata da un media, e precisamente la testata Wales Online, un sito ovviamente dedicato alle news locali del Galles. L'esperimento, fermo all'agosto 2017 in quanto a pubblicazione, segue la tendenza del racconto della città come somma di diversità, con tante storie di persone che a Cardiff sono arrivate, spinte dalle più diverse motivazioni, ma anche di residenti. Tra queste ultime una delle più significative è la testimonianza di un clochard, che descrive l'atteggiamento delle persone nei suoi confronti insieme alle proprie sensazioni, restituendo un ulteriore esempio di volontà di superamento della marginalità, per di più scevro da qualsiasi tentativo di spettacolarizzazione.
 
  • La community Humans of Liverpool (13.883 membri) è la meno numerosa e la più recente, almeno quanto a "ufficializzazione" mediante spunta blu, cosa che potrebbe suonare sorprendente se rapportata al fatto che le attività di pubblicazione sono ferme all'estate del 2014. La realtà è che - contrariamente alla comune concezione che vede i social come il regno del passeggero - l'archivio di storie conservato è lì, a costituire un diario perpetuo del senso del vivere un luogo e in un luogo che chi ha creato la pagina ha voluto di fatto eternare e rendere più visibile mediante l'operazione di attribuzione dell'identità "certificata".
 
  • La declinazione del format "Humans" da parte della community di Taipei (81.418 fan) offre un'ulteriore interessante proiezione dell'uso dello strumento, essendo stata la pagina aperta dall'amministrazione pubblica della città, che ne ha fatto il contenitore di messaggi istituzionali legati al civismo e ai comportamenti virtuosi. Un'interpretazione lontana da quella vocazionale originaria, con contenuti istruttivi ma anche legati a dinamiche (francamente non molto efficaci) di promozione turistica abbastanza poco fluida e spontanea.
 
Una strada possibile
Il filone Humans rivela molte delle opportunità che i social offrono in tema di narrazione urbana, civica, emozionale e – soprattutto – funzionale, dimostrando anche che racconti positivi, pur svolti sui social, possono essere indenni da messaggi di odio o intolleranti (molto rari su tutte le pagine). È come se si fosse disegnata una “zona franca” di espressione civica preferenziale cui ispirarsi per poter dialogare nel modo giusto con le comunità territoriali. In più – valore aggiunto – assolutamente in modalità low cost.

 
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