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Fondazioni, la politica e la disinformazione


  • Pubblicato il: 23/06/2016 - 10:09
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Giuliano Segre

In un Paese privo di enti intermedi, il ruolo di quelli che ci sono e operano per legge per la promozione sociale ed economica è già figlio di una prima grande “rottamazione” istituzionale

Un siparietto inatteso: le Fondazioni, quelle 88 di origine bancaria, subito al centro della scena post elettorale e pure come protagoniste negative. Sulla Sette nella trasmissione pomeridiana di Tiziana Pannelli aperta lunedì ai primi commenti, si è subito dibattuto sul rapporto politica-fondazioni sulla base di alcuni assunti immaginari, diffusamente ripetuti, intorno all’intervento del nuovo sindaco Chiara Appendino, la quale – come prima dichiarazione – ha preteso un “passo indietro” di Francesco Profumo, appena nominato il 5 maggio presidente della Compagnia di SanPaolo.
Il senatore Maurizio Gasparri ha subito predicato sulla nomina dovuta al passato di banchiere di stretta osservanza PD; chiarito che non di nomina bancaria si trattava e soprattutto che non di Alessandro si parlava, il tema è stato ripreso in un chiarimento ancor più sconsolante del giornalista Antonello Caporale, per il quale la Compagnia è di fatto l’assessorato al welfare del Comune, e quindi è di parte per definizione, e l’intervento della novella Sindaco è teso ad impedire sia la spesa a favore del PD di un fondo appena deciso di 400 mila euro sia la vendita per miliardi di una parte della fondazione.
Siamo giusti: a chi segue, per qualsiasi ragione, le fondazioni, il ragionamento appare disastrosamente disinformato: intanto non esiste quel fondo di 400 mila euro: si tratta di ben altro, quasi di pura computisteria, seppure forse improvvida; poi nessuno può vendere una fondazione, perché il libro primo del Codice civile italiano ne fa un soggetto non commerciabile, anzi non possedibile da alcuno. Ma francamente i cultori della materia sono pochi, mentre il peso delle fondazioni è grande e, seppure arcano, compare ormai nella vita economica quotidiana. Non passa settimana senza che qualche evento, in generale non glorioso, porti le fondazioni alla ribalta. Con un modulo ormai stabile: o le fondazioni stanno perdendo i loro soldi nel disastro bancario o le loro erogazioni appaiono poco incisive nelle realtà locali.
Invece in realtà non è così: i patrimoni vanno organizzandosi in maniera moderna in fondi di intervento mirato, che in alcuni casi si trasformano da strumento di salvataggio a impianto di intervento collettivo. Questo è il positivo rilancio delle fondazioni che culmina nel Fondo di contrasto alla povertà culturale dei minori, previsto per legge e in via di costituzione con la partecipazione di quasi tutte le fondazioni. Esse provano a passare dalla erogazione benevolente a “qualcuno perché faccia qualcosa” all’intervento diretto e regionalizzato per uno scopo (uno solo, ma ben preciso). Allora non avrà più senso il tentativo - vietato dalla legge, ma creduto invece possibile per una tradizione locale che non avrebbe dovuto esistere - dei nuovi sindaci di incidere sulle scelte ammnistrative delle fondazioni. Un po’ più di riflessione dovrebbe farsi strada nelle classi politiche nuove: in questo paese, così privo di enti intermedi, il ruolo di quelli che ci sono e operano per legge per la promozione sociale ed economica è figlio di una prima grande “rottamazione” istituzionale, che ancora opera per una valida collaborazione sui territori.

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