Focus Montagna XXI secolo. Sud Tirolo/Alto Adige, un progetto organico di abitabilità della montagna
Un’ingente opera di infrastrutturazione dello spazio montano, che da Bolzano si spinge fino alle ultime propaggini delle vallate, con le Dorfhaus – letteralmente le Case del paese – a servizio delle piccole comunità valligiane. Tali architetture sono solo l’epifenomeno più evidente di un progetto organico e soprattutto cumulativo che ha al proprio centro un’idea di montagna abitata fondata sull’articolazione e il policentrismo degli insediamenti e delle popolazioni locali. Perché il Sud Tirolo di oggi è soprattutto questo, al di là degli stereotipi sul bel paesaggio alpino sudtirolese originati dai processi turistici: la possibilità di vivere in ambienti montani dentro la contemporaneità. Limitata urbanizzazione, forte urbanità.
Attribuire la fortuna odierna dell’Alto Adige solamente all’autonomia e alle conseguenti risorse economiche sarebbe riduttivo, come del resto dimostra il confronto con altre regioni autonome. È, soprattutto, un tema di matrice culturale, dove l’appartenenza all’Heimat, e al contempo l’apertura al mondo, giocano un ruolo fondamentale. Dopo la oramai lontana stagione delle tensioni tra le comunità di lingua tedesca e italiana, oggi il Sud Tirolo – grazie anche all’opera pioniera di intellettuali come Alexander Langer – sembra avere sviluppato una dimensione propria e specifica, che fa della pluralità e dell’essere spazio di frontiera il nucleo pulsante dell’innovazione.
Un’innovazione misurabile proprio sulle politiche territoriali. Non soltanto conservazione delle risorse naturali e delle valenze storiche e agricole dei luoghi. Ma un progetto di spazio attento a intrecciare questi elementi con un’idea di sviluppo sostenibile dell’ambiente locale, con politiche a sostegno della mobilità pubblica – si pensi ai progetti per le ferrovie delle valli Venosta e Pusteria –, e con una visione di sviluppo economico non limitata solamente al turismo come avviene in troppi settori delle Alpi. In Sud Tirolo si abita, si produce – qui ad esempio le principali industrie del legno per l’edilizia –, si fa ricerca e innovazione. Una pratica di pianificazione innovativa del territorio perseguita con forza dalle amministrazioni locali degli ultimi decenni: si pensi all’istituzione nel 2005 del “Comitato provinciale per la cultura architettonica ed il paesaggio” che affianca le realtà locali nella valutazione dei progetti, o al recente disegno di legge territorio e paesaggio che introduce il concetto di «perimetro di area insediabile» per contenere la diffusione dell’edificato negli spazi aperti e rurali, o ancora al ricorso dello strumento del concorso per ottenere soluzioni architettoniche di qualità. Quindi una politica territoriale non volta alla semplice tutela, ma a un disegno proattivo – esito delle politiche soprattutto degli ultimi anni – volto a conciliare sviluppo, abitabilità della montagna, qualità.
Abbiamo chiesto a Adriano Oggiano, architetto e importante dirigente allo Sviluppo del territorio, Ambiente ed Energia della Provincia autonoma di Bolzano, di descriverci l’articolato processo che ruota intorno alle politiche di sviluppo territoriale.
Negli ultimi anni l’amministrazione provinciale ha sviluppato diverse iniziative di politica territoriale che vengono a intrecciarsi con una visione complessiva di sviluppo locale. Quali sono stati i temi conduttori di tale azione?
Dal 1970, con il passaggio delle competenze dallo stato alla Provincia Autonoma, la programmazione territoriale ha perseguito in modo costante alcuni obiettivi prioritari. Innanzitutto il mantenimento delle popolazioni rurali contadine nella proprietà di origine, garantendole un reddito per il sostentamento di una famiglia (riforma agraria con aggregazione delle piccole proprietà fino alle minime unità colturali). Inoltre una politica del territorio salvaguardante la capacità di accesso all’abitazione da parte dei residenti. E ancora lo sviluppo di attività industriali capaci di generare posti di lavoro, oltre a quelli già creati prima e dopo la seconda guerra mondiale. Tutto questo è stato accompagnato dalla creazione di un’amministrazione in grado di gestire il progressivo passaggio di competenze dallo stato alla regione/provincia.
Infine centrale è stato il tema della salvaguardia del territorio dal rischio geologico e idrogeologico, con l’istituzione dell’Azienda per la sistemazione dei bacini montani e più di recente dell’Agenzia per la protezione civile
Da quel momento è iniziata la produzione ed attuazione di strumenti che, di pari passo con le riforme nazionali, le deleghe alle regioni e le prerogative dell’autonomia, hanno portato allo scenario istituzionale attuale, cosa che è stata favorita nel tempo dall’ampio e continuo consenso politico intorno a una maggioranza assoluta.
Qualche esempio sono la dotazione di infrastrutture anche dai costi elevati per garantire l’allacciamento di piccoli centri (aree interne si direbbe oggi) e collegamenti anche per singole aziende agricole (masi), i centri per associazioni ricreative e culturali, per la protezione civile, le scuole primarie nelle frazioni. È interessante perché è stata quasi la politica inversa a quella indicata oggi per il risparmio di consumo di suolo. Mantenimento delle popolazioni in zone di montagna e/o investimento pubblico su aree residuali? Sarebbe un interessante dibattito.
A partire dal 1970 ogni singolo comune ha elaborato il proprio piano regolatore e piano paesaggistico comunale, tanto che oggi siamo alla quarta generazione di strumenti urbanistici locali. I piani hanno definito le aree di paesaggio agrario con divieto assoluto di edificazione al fine di preservare le aree e i paesaggi liberi, contenere il consumo di suolo in aree compatte intorno ai piccoli centri abitati, garantire la disponibilità del verde agricolo ad esclusivo uso delle coltivazioni per foraggio e alberature viti-frutticole.
Questo è il paesaggio che si offre ancora oggi al turista che ha scelto come destinazione l’Alto Adige. La sua collocazione periferica, rispetto ai poli di pianura divorati dall’espansione di industria e residenza, ne ha salvaguardato l’assetto territoriale e rinforzato la resilienza alle trasformazioni e agli assalti dei processi speculativi di suolo.
Oggi valutare vantaggi e criticità di queste politiche è diventato importante sia per parlare del futuro sviluppo sostenibile di questa terra, sia per delineare una possibile strategia di salvaguardia dei tratti autentici e culturali di una comunità nel territorio alpino.
Perché oltre tutto quello che si è detto, non si capirebbe il formidabile effetto di coesione territoriale di queste “buone modeste pratiche” se non lo si coniugasse alla fondamentale caratteristica di questo territorio: il radicamento storico della popolazione locale alla propria terra e alle forme del paesaggio antropico.
Anche il modo con cui è stato affrontato il tema della seconda casa ha portato l’Alto Adige a differenziarsi nettamente dagli squilibri nelle regioni alpine confinanti (Trentino, Bellunese, Grigioni, Tirolo), colpite dagli effetti negativi del mercato immobiliare della casa di vacanza.
La produzione architettonica contemporanea altoatesina sembra esprimere in maniera quasi metonimica queste istanze di sviluppo e conservazione, di innovazione e capacità di valorizzare i luoghi alpini. Un tema che viene da lontano: penso ai Premi di architettura alpina contemporanea di Sesto Cultura degli anni ‘90, o a riviste come “Turris Babel”, edita dall’Ordine degli Architetti di Bolzano, capaci di agire efficacemente sul piano culturale.
In un tale contesto di così grande attenzione per la qualità dello sviluppo del territorio si è innescato facilmente un laboratorio di giovani professionisti che nel tempo e grazie all’istituzione di concorsi pubblici di progettazione ha creato le prime opere private e pubbliche edilizie di qualità. L’impegno culturale è partito dai colleghi architetti venostani. In una terra di confine lo scambio dei saperi con le vicine Svizzera e Austria, dove si sono formati molti architetti locali, ha potenziato l’elaborazione di forme e concezioni dello spazio innovative che lentamente ma inesorabilmente si sono affiancate alla tradizione spesso modesta e di facile imitazione della consuetudine “tirolese”. Tutto aiutato anche da contesti economici in progressivo consolidamento. È stato lo stesso soggetto pubblico a farsi promotore di concorsi di progettazione per scuole, case della cultura, sedi di comuni, comprensori socio-sanitari, ma anche di piani attuativi che in ogni comune hanno modellato il disegno delle nuove aree insediative attraverso i concorsi.
Nel 2006 è stato istituito il Comitato per la cultura architettonica e il paesaggio che propone già dall’inizio della fase progettuale l’accompagnamento del processo e contribuisce a diffondere una metodologia per aprire il confronto tra progettista, committente e valutazione da parte dell’ente pubblico.
In epoca altrettanto recente lo strumento degli «insiemi», introdotto nel 2007 nella legge urbanistica provinciale, ha fornito alla comunità locale la possibilità di evidenziare nei piani urbanistici comunali complessi di importante valore storico, paesaggistico e di cultura locale, incrementando la responsabilità e consapevolezza rispetto i propri territori.
Secondo te, che progetto di futuro per le Alpi, della montagna, esprime in questo momento la società e realtà territoriale sudtirolese?
Il primo criterio impellente è quello di produrre qualità e garanzia di risorse, nonché attrazione anche della periferia. Ma soprattutto innovazione e offerta di un futuro di benessere per la crescita di una società equa e pluriculturale.
La nuova legge Territorio e paesaggio promulgata in luglio 2018 introduce la definizione di un limite/confine all’espansione e uno sviluppo equilibrato con la garanzia di abitazione lavoro per il passaggio generazionale nei settori forti dell’economia della produzione e dei servizi. Esso garantisce il controllo e la quantificazione sul consumo di suolo e definisce la capacità edificatoria residua di ciascun territorio comunale. Assunzione quindi di responsabilità da parte dei Comuni e garanzia di ulteriore sviluppo equilibrato e compatto negli insediamenti esistenti. Privilegiate saranno la qualità architettonica, l’accesso pedonale, il trasporto pubblico e la permeabilità dei suoli.
I comuni possono istituire propri Comitati per la cultura architettonica che affiancano il Sindaco nelle decisioni di trasformazione edilizia e urbana. Le commissioni comunali saranno formate da soli esperti in cultura architettonica, urbanistica, paesaggio, ecologia, economia e pericoli naturali.
La legge introduce lo strumento di perequazione per le zone residenziali interne e per le nuove zone turistiche esterne all’area insediabile, che otterranno il benestare alla trasformazione d’uso. Il Comune recupera il 30% dell’aumento del valore di mercato delle nuove aree. Solo con progetti edilizi valutati positivi dal Comitato si potranno realizzare interventi in dette aree turistiche esterne al centro edificato.
Queste le proposte per il prossimo compito dello sviluppo del territorio che recepiscono l’imperativo dell’azzeramento del consumo di suolo e dell’abbassamento della temperatura della parte di pianeta di cui abbiamo e sentiamo la responsabilità nella gestione.
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