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Fiaba dai due finali

  • Pubblicato il: 16/07/2015 - 00:27
Autore/i: 
Rubrica: 
LA PAROLA AGLI ARTISTI
Articolo a cura di: 
Fabio Cavalli

Il Giornale delle Fondazioni per parlare di politiche culturali per la gestione del patrimonio storico e artistico e produzione dà la parola agli artisti. Carta bianca a Fabio Cavalli, regista, attore, produttore, che racconta una «Fiaba dai due finali» nella quale si pone questa domanda: perché mai, se un battito d’ali di farfalla a New York basta a scatenare un uragano in Cina, decenni di catastrofi culturali in Italia provocano soltanto sbadigli?
 
 
 
C'era una volta il Sindaco di una bella e grande città. Questo Sindaco desiderava che i bambini imparassero ad amare il teatro. Così decise di stanziare una somma per aiutare le famiglie a pagare il biglietto. Ora, si deve sapere che in quella città il biglietto costava 10 soldi. 5 erano per i poeti che scrivevano le favole e per gli attori che le recitavano. Gli altri 5 soldi erano per gli autisti dei pullman che accompagnavano i bambini dalla scuola fino al teatro dove recitavano gli attori. Ma il sindaco non aveva 10 soldi per tutti. Quindi pensò di darne 5 ai poeti e agli attori per fare lo spettacolo e poi chiese ai genitori dei bambini di pagarne 5 di tasca loro per gli autisti dei pullman. E così fece. E per molti anni i bambini andarono contenti a teatro, gli attori recitarono soddisfatti e gli autisti guidarono i loro mezzi che erano sempre pieni. Poi, un giorno, quel Sindaco – chissà perché -  cambiò idea e decise di dare 5 soldi agli autisti dei pullman, perché portassero i bambini a teatro, mentre ai poeti e agli attori non diede più nulla. Questi ci rimasero male e ben presto, sentendosi maltrattati, cominciarono a scrivere favole sempre più tristi. I bambini finirono presto per annoiarsi a teatro e tornavano a casa sbadigliando. I genitori pensarono che non valeva la pena di spendere 5 soldi per far annoiare i bambini. Così, nel giro di pochissimo tempo, i bambini smisero di andare a teatro, i pullman restarono fermi in autorimessa, i poeti e gli attori sparirono dalla circolazione.
 
 
Passò qualche anno, i bambini diventarono grandi e ciascuno decideva da sé dove voleva andare: allo stadio, al mare, a ballare, persino al cinema. Ma a teatro no. Non si ricordavano cosa fosse. Era passato troppo tempo da quella volta che si erano divertiti guardando quei buffi personaggi che giocavano come bambini su un palcoscenico illuminato. Così i teatri senza pubblico languivano silenziosi.
 
Il Sindaco della grande e bella città, ricordò il motto del nonno: quando la merce non si vende, va tolta dagli scaffali. Fu dunque orgoglioso di essersi liberato dei teatri ormai semivuoti e pensò e ripensò a come impiegare i quattrini che aveva risparmiato per qualcosa di più utile e bello. Mentre camminava per la sua città grande e bella, finì per attraversare il confine del centro e si ritrovò nella periferia grande e brutta. Anche là c’erano teatri ormai dismessi, nascosti sotto palazzoni dalle facciate grigie e scrostate, con le ringhiere rugginose appese ai balconi cadenti. Allora, all’improvviso, comprese che i cittadini di quei quartieri scrostati non potevano essere felici al mattino, uscendo di casa nel bel mezzo di quel paesaggio scolorito. Ed ecco, decise che i soldi rimasti, li avrebbe investiti per il decoro dei palazzi scrostati. Detto fatto furono chiamati i pittori, montate le impalcature e si cominciò a dipingere di tutti i colori una facciata qui e una là, tanto per cominciare.
 
Erano belli quei palazzi colorati, uno qui ed uno là, come fiori in una sassaia. I cittadini, uscendo di casa al mattino, pensavano che erano allegri quei fiori sbocciati, e subito passavano oltre.
 
Ora, si deve sapere che in quei palazzi fioriti qui e là, vivevano certi ragazzi che erano stati bambini senza teatro e senza fiabe, e crescendo si erano appassionati alle avventure, ma non quelle scritte sui libri, o dipinte sui muri o recitate nei teatri – no - le avventure da vivere in mezzo alle strade dei quartieri scrostati. Sopra tutte le cose, amavano fare a cazzotti per vedere chi era il più forte e organizzare commerci pericolosi. Più scazzottate c’erano e più pericolosi erano i commerci, tanto più le giornate e le nottate diventavano avventurose. I loro avventurosi commerci si chiamavano: spaccio. Per intendersi fra di loro, i ragazzi si davano appuntamento sotto i palazzi colorati, che erano più facili da distinguere anche la notte. Ci vediamo a mezzanotte sotto il palazzo blu – dicevano. - All’una sotto il palazzo rosa… - e là sotto, al lume dei lampioni fiochi, facevano i loro commerci pericolosi fra una scazzottata e l’altra. Ma siccome non tutti erano d’accordo sulla divisione dei frutti dei commerci, né su chi fosse il più forte, si divisero in gruppi che furono chiamati: bande. E le bande cominciarono a farsi la guerra. Così, mentre i ragazzi di qui commerciavano qui, e i ragazzi di là commerciavano là, qualcuno venne mandato sui tetti dei palazzi colorati per controllare che chi commerciava là, non venisse a rompere le scatole qui e viceversa.
 
Come tutti sanno, se ti viene proibito qualcosa è proprio allora che quella cosa hai più voglia di farla. Dunque quelli che commerciavano sotto il palazzo giallo limone decisero di andare a prendere il posto di quelli che commerciavano sotto il palazzo blu cobalto, e quelli del palazzo verde pisello cercarono di scalzare quelli del palazzo rosa fucsia. In breve, non fidandosi assolutamente più gli uni degli altri, quei ragazzi che erano stati compagni di scuola da bambini, si armarono per difendere i propri commerci e finirono per spararsi, la notte, dai tetti. Spararono e ancora spararono finché qualcuno con la mira migliore colpì il bersaglio ed il bersaglio cadde rumorosamente a terra sul marciapiede davanti al palazzo azzurro cielo. Si udirono sirene di ambulanze, grida, pianti di madri e strepiti di padri. Poi, nel silenzio della notte, si udirono altri spari, altri pianti, strepiti e promesse di vendetta.
 
Portarono il Sindaco sul luogo del fattaccio. Era l’alba e la facciata azzurro cielo del palazzo, si confondeva con lo sfondo. Era così azzurra, che se non ci fosse stata quella macchia di sangue che colava dal tetto, si poteva provare ad attraversarla come fanno i fantasmi coi muri. Le gocce rosse erano cadute sull’insegna al piano terra. Un’insegna scrostata davanti al muro dipinto di fresco azzurro, dov’era ancora leggibile la parola: Teatro.
I cittadini, fattisi tutti a cerchio attorno al Sindaco, lo guardarono muti con occhi grigi e volti scrostati dal brutto risveglio e dall’angoscia per i loro figli. Erano grigi e scrostati peggio dei muri, soprattutto perché si stagliavano contro l’azzurro frivolo di quello spicchio di città, mentre loro avevano dentro il grigio della paura.
Ben presto vennero arrestati molti di quei ragazzi appassionati alle avventure di strada. Le avevano combinate troppo grosse. Li portarono nella prigione della città. Era tanto grigia e scrostata che a tutti parve di essere proprio come a casa loro. E proprio dentro la prigione, trovarono qualcosa che non avrebbero mai immaginato ci potesse stare: un teatro. Lì incontrarono poeti e attori che venivano ad insegnare a quei ragazzi troppo avventurosi, il gioco di vivere le avventure senza però far male a nessuno. Anzi, divertendosi. I ragazzi delle brutte avventure, presto divennero così appassionati per quello che vedevano e per quello che facevano sotto i riflettori davanti al pubblico, che pensarono tutti quanti la stessa cosa: se avessi conosciuto il teatro da bambino, non sarei andato a cercare le avventure per strada; comunque, meglio tardi che mai.
I ragazzi scrissero al Sindaco perché andasse a vederli nel loro teatro in prigione. Nella lettera breve e con poca grammatica - fra un grazie, un ossequi, un però - stava scritto proprio così: meglio tardi che mai. Il Sindaco lesse. La faccia scrostata dalle preoccupazioni si fece curiosa e decise di accogliere l’invito. Andò il giorno stesso a vedere i ragazzi nel loro teatro in prigione. Rise di cuore, e persino, negli occhi, il grigior s’inumidì. Fece applausi allo spettacolo, si congratulò con tutti, poi tornò al Municipio e convocò subito i Consiglieri. Chiese loro con voce severa – Chi è mai quel cretino che ha lasciato morire i teatri della nostra bella e grande città? Il Consigliere al Pensamento guardò il Consigliere al Ripensamento, questi lanciò un’occhiata al Consigliere alle Correzioni in Corso d’Opera, costui rivolse lo sguardo al Consigliere ai Rimedi e infine, tutti quanti scrutarono il volto scrostato del Consigliere agli Estremi Rimedi. Fu lui ad aprire la bocca per dire qualcosa, ma subito la richiuse. Allargò le braccia e sospirò.
 
*
[N.d.N.N.] L’Autore - che scopertamente si cela sotto lo pseudonimo di Fabio Cavalli - fu a lungo dibattuto sul proporre un altro finale a questa favola. In tale finale alternativo, i ragazzi senza teatro e fiabe, accoglievano nella loro prigione il sig. Sindaco, domandandosi se fosse venuto per visitarli o per restare. Si dà il caso che l’Autore, occupandosi da molto tempo proprio di portare il teatro nelle carceri, e frequentando spesso un Carcere noto ai più, abbia visto entrare di recente parecchi Consiglieri municipali, venuti non in visita, ma proprio per restare lì, forse per parecchi anni. Così, quel finale alternativo, parve all’Autore troppo banalmente realistico, e preferì concludere la favola con braccia larghe e sospiro sconsolato.
 
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Fabio Cavalli, genovese, autore, regista, attore, produttore, Direttore Generale del Centro Studi Enrico Maria Salerno, docente a contratto presso il DAMS dell’Università Roma Tre, responsabile del Teatro Libero di Rebibbia, coautore del film Cesare deve morire dei fratelli Taviani – Orso d’Oro al Festival di Berlino. Rappresenta il movimento italiano di Teatro in Carcere al Tavolo Cultura, Istruzione e Sport degli Stati Generali per l’Esecuzione Penale (nuova riforma penitenziaria) presso il Ministero della Giustizia.
 
 
Foto: Teatro Libero di Rebibbia – La Tempesta di Shakespeare-Eduardo – Regia F.Cavalli – Foto Dal Pozzolo
 
La rubrica 'La parola agli artisti' nasce in collaborazione con ArtVerona