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Ercolano Felix

  • Pubblicato il: 03/06/2011 - 08:23
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Stefano Baia Curioni
Ercolano

Uno scavo profondamente diverso da quello Pompei, non aperto e collocato in alto rispetto alla città moderna, ma chiuso in basso, una cava mineraria tagliata profondamente in un conglomerato urbanistico la cui caoticità e illeggibilità sono quasi leggendarie.
La città nel 79 a.C. è stata vetrificata da una nube ardente improvvisa, calata senza lava come l’urto di una bomba. Mentre a Pompei in questi anni è stato difficilissimo riuscire a far collaborare pubblico e privato, non solo per attività di servizi al pubblico, ma soprattutto per le attività di conservazione e di gestione del sito, Ercolano invece costituisce un esempio insperabile del contrario. Perché? Cosa possiamo imparare? Forse ragionare su questo esempio può aiutare a trovare una bussola tra crolli pompeiani, sponsorizzazioni del Colosseo, privatizzazioni vere o presunte della gestione del nostro patrimonio.

I fatti. David Packard, della famiglia dei grandi industriali statunitensi, con la sua Fondazione (Packard Humanities Institute) finanzia la biblioteca della British School of Rome. Siamo alla fine degli anni novanta. Innamorato dell’archeologia chiede consiglio ad Andrew Wallace-Hadrill, all’epoca direttore della British School, riguardo alla possibilità di finanziare gli scavi di Villa dei Papiri a Ercolano. In sopralluogo e davanti allo stato di abbandono dell’intera città antica, si convince di un progetto diverso: intervenire con un sostegno mirato alla tutela. L’idea convince anche Piero Guzzo, sovrintendente di Pompei, e nel 2001 l’Herculaneum Conservation Project parte con una lunga fase di studi e progetti pilota condotta da un gruppo misto, principalmente italiano, di archeologi, architetti, conservatori, altri tecnici e project manager. Lavorando in simbiosi con i colleghi della Soprintendenza, realizzano una collaborazione che porta alla luce in breve tempo un approccio sistematico, complessivo e efficace su tutto lo scavo del sito. Nel 2004 dopo l’introduzione del Codice Urbani, si definisce un contratto di sponsorizzazione che consente al privato di intervenire a sue spese con interventi di conservazione, su tutta l’area archeologica. Oggi a dieci anni dalla partenza, con un investimento di 15 milioni di euro (deducibili fiscalmente in un Paese nel quale le tasse vengono pagate), il lavoro svolto può essere considerato un successo e probabilmente uno dei principali esempi di positiva collaborazione pubblico-privato nella conservazione sistematica e di lungo periodo di un intero plesso archeologico.
Le domande.

Come mai lo stesso gruppo di funzionari (Piero Guzzo in particolare e Stefano De Caro) riescono a costruire questa situazione a Ercolano mentre a Pompei hanno avuto difficoltà? O forse potremmo girare la domanda, perché Packard sceglie Ercolano?
La risposta più plausibile è pratica: Ercolano è molto più piccola e controllabile. Lo scavo è un decimo dell’area scavata di Pompei, è possibile un intervento pensato come integrazione sistematica tra un privato e il pubblico che probabilmente è una condizione cruciale di successo.

Quali sono stati gli elementi pratici che hanno consentito la riuscita, in tempi relativamente brevi, di un’operazione che ha contribuito a invertire un trend che vedeva il sito decadere per visitatori e per condizioni di conservazione e, soprattutto, che sta lasciando approcci alla manutenzione programmata che saranno sostenibili dell’ente pubblico dopo la partenza del privato?
Da quel che si può capire in primo luogo la consapevolezza che l’intervento privato deve essere mirato simultaneamente a salvaguardare/valorizzare il bene e anche le capacità operative del partner pubblico (ovvero il sistema complessivo in cui opera). Non c’è azione privata di lungo termine se il pubblico non regge. In questo caso sono state valorizzate le metodiche e le competenze della sovrintendenza pompeiana portate da Piero Guzzo e dai suoi collaboratori, ma sono state contestualizzate in un project management capace (significativo il ruolo di Jane Thompson) e svincolato dai problemi degli appalti pubblici (questo uno dei vantaggi della presenza di risorse private e della British School). In secondo luogo la decisione di costituire un’istituzione permanente, The Herculaneum Centre, che crea un ponte con il Comune di Ercolano e tiene viva l’attività di ricerca, il fundraising e soprattutto l’idea di rinforzare i legami tra scavi e tessuto territoriale (con la comunità e la città di Ercolano). Anche se una misurazione degli effetti di questa presenza è forse ancora prematura.

Quali sono state le scelte che hanno favorito il successo?
Lavorare insieme nella consapevolezza di essere ingaggiati responsabilmente nel pubblico interesse, avere un approccio che valorizza il territorio, puntare sui giovani, fidarsi dei funzionari della Sovrintendenza. La gestione del patrimonio culturale implica la sovrapposizione di ruoli pubblici, che restano di pubblica utilità anche quando ci si relaziona con i visitatori e territori, e ruoli/competenze private. Quanto più le due funzioni si separano tanto più l’azione si disarticola, diventa complessivamente antieconomica e socialmente inadeguata. Ma esistono molti casi contrari. Molti episodi in cui la commistione ha dato luogo a rendite e inefficienze. In questo caso il senso della responsabilità sociale da parte del privato ha svolto un ruolo importante. La comunicazione, la voglia di apparire è rimasta molto sullo sfondo. Sono condizioni difficili di una strada ancora lunga da percorrere. Ma solo passando da esse è possibile che la speranza oggi suscitata dalla sponsorizzazione del Colosseo possa trasformarsi in un autentico cambiamento.


Stefano Baia Curioni, Centro Ask Università Bocconi di Milano
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(X Rapporto Annuale Fondazioni)